LA GRANDE Paura del contadino padano sta in quella cornice sfocata dall’afa e sbiadita dai miasmi delle campagne che vela le montagne lontane e le rende ancor più enigmatiche: «Gh’è pü acqua», non c’è più acqua, da quei monti remoti non ne vien più giù, da quelle valli che intuisci appena mentre l’orizzonte trema per la calura eccessiva ne arriva sempre di meno, anno dopo anno, estate dopo estate.
La Bassa ha sempre più sete, le colture intensive pretendono sempre più irrigazioni.
L’estate torrida del nostro scontento ha prosciugato 4.500 chilometri di fiumi per far funzionare i condizionatori delle città, questo dicono nei mercati e nelle piazze, se continua così sarà tutto un deserto. I parroci invocano la Madonna del Santuario di Caravaggio che protegge gli automobilisti ma anche gli assetati (dar loro da bere, in verità, è una delle opere di misericordia corporale). Eppure, non è così semplice l’equazione della Grande Paura. È più complessa. Per certi aspetti, addirittura paradossale.
Contempla, per esempio, un Grande Mistero. Come quello di Tovo. Un paesino di 580 anime che si trova in mezzo a montagne storicamente gonfie d’acqua, otto chilometri oltre Tirano, verso Bormio. Ebbene, le tubature dell’acquedotto comunale spesso restano a secco. L’acqua scarseggia, "le fonti si sono inaridite", constata amaramente il sindaco Gianbattista Pruneri, per lui le ragioni di questa penuria sono climatiche e politiche: «Poca neve, poca pioggia e sfruttamento selvaggio delle risorse idriche da parte delle società idroelettriche». I tovaschi l’acqua la pigliavano in Valle Maurena e Valle Campaccio. Un giorno è apparsa una "presa", che alimenta una piccola centralina: «Non bastavano già le altre grosse captazioni», sbotta il sindaco Pruneri, «l’Aem è il padrone di tutte le nostre acque - aggiunge - da Tirano allo Stelvio noi ci dobbiamo arrangiare». Ma questo, il contadino padano non lo sa: lui semplicemente ragiona sul fatto che il Po è una striscia fangosa e che i canali hanno autonomia per soli 14 giorni.
La Valtellina ha sempre accusato Milano di colonialismo energetico, fin dalla fine dell’Ottocento. Ma l’acqua abbondava e bastava per tutti. Oggi l’acqua comincia a mancare già in montagna, mentre i bacini delle centrali devono essere riempiti più che si può, per evitare il black out di un anno fa. Il resto, quindi, è letteralmente distillato: «È il regime delle priorità energetiche, il business della bolletta sta mettendo in ginocchio campagne e valli». Il sindaco Pruneri è stato costretto ad emettere un’ordinanza zeppa di divieti e di inviti a risparmiare sull’uso civile dell’acqua (l’acquedotto chiuso da mezzanotte alle sei del mattino), «come me decine e decine di altri sindaci hanno dovuto fare lo stesso». La Cov di Tovo (Cooperativa ortofrutticola dell’Alta Valtellina) teme per le sue coltivazioni (130mila quintali di mele): l’irrigazione è stentata, lo tsunami torrido che ha sconvolto l’Italia del Nord ha innescato una perniciosa spirale, qui l’allarme idrico è subito allarme agricolo, qui si comincia a capire che le grandi città pretendono troppo, ormai.
«Noi eravamo e siamo ancora il Kuwait dell’acqua», spiega il valtellinese Giovanni Bettini, emerito professore universitario e membro della commissione scientifica di Lega Ambiente. La parabola dell’acqua prodiga viene è presto detta: «Noi riforniamo Milano e gran parte della Lombardia. Le nostre fonti - continua l’imperterrito Bettini - riempiono miliardi di bottiglie di acqua minerale. La Cima Piazzi è forse la montagna più vista d’Italia, perché sta sull’etichetta della Levissima». L’Adda non fa in tempo a nascere che subito entra tutto nelle turbine delle centrali Aem, poi in forma di rigagnolo prosegue verso Colico dove viene "ulteriormente macinato", prima di finire nel lago di Como. La vogliono tutti, quest’acqua valtellinese, attorno ad essa si scatena una formidabile competizione economica: proprio perché di questa benedetta, santissima acqua ce n’è sempre di meno. Vale miliardi di euro, caro contadino padano. Meno acqua c’è, più costa. I mercanti dell’acqua badano ai loro conti. Certo, non sono loro a manipolare il clima. In Valtellina, i ghiacciai dell’Ortles e del Cevedale si sono dimezzati. La piovosità è bruscamente diminuita ed è sempre più capricciosa, imprevedibile. Non parliamo della neve: rara come i diamanti. Se non c’è, la si fabbrica. Coi cannoni alimentati a caro prezzo da laghetti artificiali. Lo sci ha ormai costi sociali sempre più assurdi. Insomma, un ciclo infernale.
Spostiamoci in Piemonte. Fra otto mesi Torino celebrerà le sue Olimpiadi invernali. «Quando eravamo ragazzi, c’erano qui attorno i ghiacciai dell’Agnello, del Sommelier, del Galambra - ricorda Luigi Chiabrera, presidente della comunità montana delle valli olimpiche che sostanzialmente sono la Valsusa e la Val Chisone - oggi quei ghiacciai sono spariti. Noi siamo rimasti a guardare. Io sono di Avigliana. Vicino c’è scorre il Sangone. Una volta era un fiume: ci si andava persino a fare il bagno. Oggi è un torrente in secca. Quando piove a dirotto, torna ad essere per qualche ora un fiume in piena. Sopra Avigliana ci stanno due laghi naturali. La loro acqua serviva e serve ai contadini delle Gerbole. Adesso non gli arriva quasi più: tra i laghi e le coltivazioni, decine di captazioni abusive, anche di fabbriche. Ci manca la cultura dell’acqua. Non abbiamo saputo conservare le zone umide, abbiamo favorito lo squilibrio ambientale. L’acqua è sacra, bisogna tutelarla. Abbiamo paesi che d’inverno restano a secco, la siccità nel tempo della neve, non è una cosa sulla quale si può scherzare».
Non scherza, infatti, il contadino padano. La sua Grande Paura è fatta di verbi come razionare, come ridurre. Il lessico di questi giorni è un tam tam di "rilasci" (quello delle acque provenienti dai canali di irrigazione), di "contingentamento" e di "piovosità" (-70 per cento rispetto alla media stagionale). E tuttavia, sotto sotto, se non affiora l’acqua dalle fontanazze, affiora invece l’irrazionale, chiamala se vuoi speranza. Sui giornali locali, tra i soliti annunci dei maghi e quelli delle agenzie matrimoniali, si comincia a leggere antiche e mai sopite proposte: "Offresi rabdomante".
L'immagine delle Nozze tra la terra e l'acqua, di P.P Rubens, è tratta dal sito www.ibiblio.org