Articoli di Emma Mancini, di Amnesty International Italia, di Giovanni Bianconi, Ivan Cimmarusti, da il manifesto, corriere della sera, Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2017
il manifesto
L’ULTIMO TRUCCO DI AL-SISI:
STRINGERE IL CERCHIO SU ABDALLAH
di Emma Mancini
«Caso Regeni. Spunta il video girato dal capo del sindacato ambulanti: Giulio rifiuta di dargli denaro. La vendetta come movente: lo show del Cairo scorda i depistaggi di polizia e governo»
Fuori è già buio: il volto di Giulio Regeni occupa lo schermo della microcamera nascosta addosso a Mohammed Abdallah, il capo del sindacato degli ambulanti egiziani. È il tardo pomeriggio del 6 gennaio, luogo dell’incontro è il mercato di Ahmed Helmy al Cairo.
Per la prima volta sentiamo la voce di Giulio, lo vediamo gesticolare mentre cerca di frenare l’arroganza dell’uomo che – dicendosi poi orgoglioso di averlo fatto – lo ha denunciato alla polizia egiziana come spia. Anche stavolta, però, nel nuovo tassello dell’intricato puzzle di depistaggi egiziani c’è qualcosa che non va.
Il video, secondo gli esperti e gli investigatori italiani, è stato girato con una minicamera in dotazione alle forze di sicurezza. È appuntata sul vestito di Abdallah e riesce a riprendere per due ore, un tempo troppo lungo per un normale telefono.
Eppure, a settembre il procurato generale del Cairo Sadek riferì alla Procura di Roma che la polizia indagò per soli tre giorni su Giulio (su segnalazione di Abdallah) a partire dal 7 gennaio. I conti non tornano.
In un articolo dell’8 dicembre il manifesto riportava i dubbi mossi da una fonte della Procura di Roma: gli inquirenti avevano visionato il video e già ritenevano possibile il coinvolgimento della polizia.
In secondo luogo il video, più che mettere in cattiva luce o generare sospetti sul giovane ricercatore italiano, svela lo spirito di corruzione che muove il capo del sindacato: è Abdallah che insiste per avere denaro per sé e la famiglia, è Giulio che lo respinge fermamente.
«Non posso usare soldi per nessuno motivo, sono un accademico – dice Giulio – Sono un ricercatore e mi interessa procedere nella mia ricerca. E mi interessa che voi come venditori ambulanti fruiate del denaro in modo ufficiale».
Regeni continua: per poter avere fondi dalla britannica Antipode Foundation, serve un progetto chiaro, «idee e informazioni prima del mese di marzo» sul sindacato e sulle sue «necessità». Informazioni per un progetto di sviluppo e non per intelligence straniere.
Per questo l’uscita del video proprio in questo momento, a due giorni dal sesto anniversario di piazza Tahrir e ad uno dalla scomparsa di Giulio, il giorno dopo il via libera egiziano agli investigatori italiani a visionare (dopo un anno di dinieghi) le immagini delle telecamere di sorveglianza nella zona di Dokki al Cairo, sembra voler stringere il cerchio.
Non tanto sulla polizia, quanto su Abdallah, che viene dipinto come l’istigatore delle indagini, per mera vendetta o perché a caccia di credibilità all’interno dei servizi segreti. Riportava ieri Agenzia Nova sulla base di fonti citate dal sito Veto Gate – che le immagini sarebbero state rese pubbliche su ordine specifico dello stesso Sadek.
Non a caso domenica l’agenzia di Stato egiziana Mena, dando notizia della consegna dei video delle telecamere di sorveglianza, ripeteva che dopo tre giorni di indagini la polizia si disinteressò a Regeni perché non rappresentava una minaccia. Dimenticando di citare, però, l’ultima chiamata di Abdallah a Giulio, il 22 gennaio, prontamente girata alla Sicurezza Nazionale.
È ovvio che il regime del presidente-golpista al-Sisi stia tentando ancora una volta di allontanare da sé le responsabilità politiche dell’omicidio di Regeni, mandando in prima linea Abdallah e qualche poliziotto mela marcia che lo avrebbe aiutato nella vendetta.
Ma alcuni pezzi del puzzle non possono essere cancellati, a partire dai primi depistaggi fino alla strage di 5 egiziani incolpati della morte di Giulio e al teatrino del ritrovamento dei suoi documenti in casa della famiglia di uno di loro. Ma soprattutto i segni inconfutabili delle torture sul suo corpo.
il manifesto
VERITA' PER GIULIO,
DOMANI IL GIORNO DELLA MOBILITAZIONE
di Amnesty International Italia
Mercoledì 25 gennaio sarà trascorso un anno esatto dalla scomparsa di Giulio Regeni al Cairo. Nonostante siano passati 365 giorni, la verità è ancora lontana. Per continuare a chiedere «Verità per Giulio Regeni» Amnesty International Italia ha organizzato una giornata di solidarietà e mobilitazione.
L’appuntamento principale è all’Università La Sapienza di Roma: la manifestazione negli spazi esterni alle spalle del Rettorato (o in caso di maltempo nell’aula T1 della facoltà di Giurisprudenza, piazzale Aldo Moro 5) si aprirà alle 12,30 con il saluto del Rettore, prof. Eugenio Gaudio.
Interverranno Stefano Catucci, del Senato Accademico Sapienza; Antonio Marchesi, presidente Amnesty Italia; Patrizio Gonnella, presidente Coalizione italiana per le libertà e i diritti civili; Giuseppe Giulietti, presidente Federazione nazionale della stampa italiana; Carlo Bonini, giornalista de La Repubblica.
Nel corso della manifestazione lo scrittore Erri de Luca e gli attori Arianna Mattioli e Andrea Paolotti leggeranno estratti dei diari di viaggio di Giulio Regeni. Interverranno, in collegamento telefonico, i suoi genitori. I partecipanti mostreranno cartelli col volto di Giulio Regeni e numeri da 1 a 365, l’anno trascorso in assenza della verità.
Le adesioni:
A buon diritto, ARCI, Articolo21, Antigone, Associazione Amici di Roberto Morrione, Associazione Italiana Turismo Responsabile, AOI – Associazione delle Organizzazioni Italiane di Cooperazione e Solidarietà Internazionale, Associazione Stefano Cucchi Onlus, Associazione Studentesca «Sapienza in Movimento», CGIL – Area delle politiche europee e internazionali, Cild, Cittadinanzattiva, Conversazioni sul futuro, Coordinamento della Rete della Pace, Cospe, CPS, Focsiv, FNSI – Federazione nazionale della stampa italiana, Iran Human Rights Italia, il manifesto, Italians for Darfur, la Repubblica, Legambiente, LINK-Coordinamento Universitario”, Nexus Emilia Romagna, #NOBAVAGLIO pressing, Radio Popolare, Rai Radio 3, Un ponte per…
La sera a Roma (a San Lorenzo in Lucina, da confermare), Brescia, Bergamo, Rovigo, Pesaro, Pescara, Bologna e Trento verranno accese delle fiaccole alle 19.41, l’ora in cui Giulio uscì per l’ultima volta dalla sua abitazione.
corriere della sera
SPUNTA UN VIDEO SEGRETO DI REGENILA PROVA DEL DEPISTAGGIO EGIZIANO
di Giovanni Bianconi
«Giulio appare come una persona specchiata che aveva solo scopi di ricerca».
Roma. Il video girato di nascosto dall’ex capo del sindacato autonomo dei venditori ambulanti, Mohamed Abdallah, durante un colloquio con Giulio Regeni, diventa un’altra prova delle bugie della polizia egiziana e dei depistaggi messi in atto per occultare la verità su quanto accadde un anno fa al Cairo. È la dimostrazione che le comunicazioni delle forze di sicurezza alla magistratura egiziana, trasmesse dal procuratore generale della Repubblica araba Nabel Sadek al procuratore di Roma Giuseppe Pignatone e al sostituto Sergio Colaiocco, erano false.
Avevano detto che Abdallah, che prima s’era mostrato amico di Giulio e poi l’ha tradito dopo aver capito di non poter mettere le mani sui soldi che il ragazzo voleva chiedere per finanziare la sua ricerca e il sindacato, aveva denunciato Regeni il 7 gennaio 2016; che gli accertamenti della National Security durarono solo tre giorni, e già il 10 gennaio era cessato ogni interesse per l’italiano che si occupava dei problemi degli ambulanti. Questa seconda affermazione s’era già dimostrata non vera, visto che dai tabulati telefonici emergevano contatti tra Abdallah e gli agenti egiziani fino al 22 gennaio. Ora cade anche la prima, perché il filmato del colloquio risale al 6 gennaio, e Abdallah l’ha realizzato con un’apparecchiatura sofisticata fornitagli dagli stessi poliziotti; l’ha detto lui, e si capisce dalla qualità delle immagini e dall’inconsapevolezza di Giulio di essere ripreso mentre parla. Niente a che vedere con l’utilizzazione di un telefonino di cui ha parlato la polizia del Cairo.
Dunque l’attenzione degli investigatori egiziani per il ricercatore dell’università di Cambridge cominciò almeno due giorni prima di quanto ammesso finora, e proseguì fino alla vigilia del sequestro di Regeni, scomparso dopo essere uscito di casa per andare a un appuntamento e rapito non davanti all’abitazione, bensì due fermate di metropolitana più avanti. Era il 25 gennaio di un anno fa, giorno delle manifestazioni per celebrare la rivolta di piazza Tahir, anniversario citato nel colloquio tra Giulio e Abdallah. Il sindacalista chiedeva soldi prima di quel giorno, ma lui — che stava cercando di ottenere un finanziamento di 10.000 sterline dalla britannica Antipode Foundation — gli aveva fatto capire che non sarebbe stato possibile.
La magistratura egiziana ha già individuato, e comunicato ai pubblici ministeri romani, i nomi di sette appartenenti alla Polizia municipale (due) e alla National Security (cinque) che hanno avuto a che fare con gli accertamenti su Regeni e con l’invenzione della falsa pista dei criminali comuni, uccisi e indicati come responsabili del sequestro e dell’omicidio di Giulio.
Può essere che il video diffuso ieri in Egitto sia stato reso pubblico con l’intento di sviare l’attenzione dalle indagini avviate su queste persone (alcune già interrogate), e dimostrare che Regeni fosse una spia al servizio di chissà chi, o comunque una persona ambigua. Invece emerge una realtà ben diversa.
Giulio appare per quello che era, una persona specchiata che non aveva altri scopi se non quelli di proseguire la sua ricerca. È ciò che dice esplicitamente al sindacalista: «Sono un ricercatore e mi interessa procedere nella mia ricerca-progetto. Il mio interesse è questo. E mi interessa che voi fruiate del denaro in modo ufficiale, come previsto dal progetto e dai britannici». Ma Abdallah voleva quei soldi per sé, cercava «una scappatoia per poterli usare a fini personali», e Giulio scrisse sul computer che era una «miseria umana». Poi cominciò l’indagine della polizia.
Il Sole 24 Ore
REGENI,L'ULTIMO VIDEO PRIMA DELLA MORTE
di Ivan Cimmarusti
«Omicidio al Cairo. Nel filmato il ricercatore respinge la richiesta di denaro da parte del capo degli ambulantiRegeni, l’ultimo video prima della morte»
Ripreso con una microcamera dal sindacalista che lo denunciò ai servizi egiziani
Venduto ai servizi segreti egiziani per ciò che in realtà non era: una spia britannica. Il capo del sindacato indipendente Mohamed Abdallah controllava Giulio Regeni per conto della National Security e lo riprendeva con telecamere abilmente nascoste tra i vestiti per incastrarlo. Il particolare è stato rivelato dallo stesso sindacalista in un verbale d’interrogatorio alla Procura generale cairota.
Questo c’è dietro il video diffuso ieri dalla televisione di Stato egiziana, in cui si vede Abdallah che chiede con insistenza le 10mila sterline che il ricercatore di Udine attendeva dalla fondazione inglese Antipode, che stava finanziando uno suo studio sui sindacati egiziani. Giulio non ci sta: quei soldi hanno uno scopo didattico. Quella fermezza di Abdallah nel volersi impossessare del denaro, però, nasconderebbe una precisa strategia del servizio segreto civile cairota, che aveva schedato Giulio come una spia straniera. Ma andiamo con ordine. Il video, della durata di circa due ore, è finito già da tempo sulla scrivania del procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e del sostituto Sergio Colaiocco. Sono i particolari a fare la differenza: la registrazione è fatta con un apparato di evidente qualità, ben posizionato e nascosto tra i vestiti del sindacalista. Attivato tempo prima dell’incontro, segno che Abdallah non era nelle condizioni di controllarlo direttamente.
L’incontro avviene pochi giorni prima del 25 gennaio 2016, data della scomparsa di Giulio e anniversario della rivoluzione egiziana del 2011. Nello spezzone andato in onda si sente la voce di Abdallah dire «mia moglie ha il cancro e deve subire un’operazione e io devo cercare denaro, non importa dove». Regeni gli replica: «Il denaro non è mio. Non posso usare i soldi per nessun motivo perché sono un accademico e sulle relazioni all’istituto britannico non posso scrivere che voglio utilizzare questo denaro a titolo personale. Impossibile, se succede è un gran problema per me».
Aggiunge che «i soldi non arrivano attraverso “Giulio” ma attraverso la Gran Bretagna e il Centro egiziano che lo dà agli ambulanti». Alle insistenze di Abdallah, Regeni ribatte comunque che «ci saranno molti progetti ai quali parteciperanno tutti i paesi del mondo» e che quindi «bisogna cercare di avere idee e ottenere informazioni prima del mese di marzo» su «quali sono i bisogni del sindacato», anche a livello di «soldi». Anche se quest’ultima parola non è chiara, si conferma che Regeni stava proponendo un finanziamento di 10mila sterline a favore delle iniziative del sindacato, nuovo, ufficioso e inviso alle autorità.
Un incontro che, sostanzialmente, ha segnato la condanna a morte del povero studioso italiano. I rapporti di Abdallah con il servizio segreto civile sono continui e serrati. Dagli uffici della National security, infatti, partono telefonate verso l’utenza del sindacalista l’8, l’11 e il 14 gennaio. Altre telefonate, invece, le fa lo stesso Abdallah verso funzionari del servizio segreto egiziano.
Comunicazioni in cui si sarebbe parlato proprio di Regeni e di quel denaro di provenienza britannica che voleva devolvere al sindacato indipendente. Il 25 gennaio successivo è la principale ricorrenza in Egitto: l’anniversario della rivoluzione del 2011. Regeni è sotto controllo, anche se una indagine «formale» delle autorità egiziane era stata già chiusa.
Quel giorno deve incontrare il docente italiano al Cairo Gennaro Gervasio, per andare a una cena di compleanno del professore Kashek Hassamein, noto per la sua opposizione al governo di Al Sisi. A quell’appuntamento Giulio non arriverà mai.
Il suo corpo sarà ritrovato il 3 febbraio successivo sull’autostrada che collega il Cairo con Alessandra d’Egitto. L’esame autoptico della salma ha confermato le violenze inflitte al ricercatore, barbarie che portavano la firma «di un professionista della tortura», come era spiegato nella perizia depositata ai magistrati della Procura di Roma. Ora non resta che attendere gli esiti delle consulenze sulle videocamere di sorveglianza della metro del Cairo, dove con tutta probabilità potrebbero essere immortalate le immagini dei carnefici di Giulio.