Se dopo le elezioni regionali erano suonati i campanelli d’allarme, dopo il voto comunale si sono messe all’opera proprio tutte le campane. Innanzitutto per Renzi e per il suo partito, che adesso non prova neppure a minimizzare e parla apertamente di «una sconfitta».
L’altro elemento rilevante del voto è l’errore di sottovalutare l’avversario dandolo per sconfitto in partenza o considerandolo facilmente battibile. Come sempre, come fin dall’esordio del berlusconismo, a destra non trova casa il virus del tafazzismo, tipica patologia della sinistra, e quando è il momento le divisioni si annullano e il cartello si mostra compatto.
Il tafazzismo, invece, ha contagiato il Movimento dei 5Stelle, conquistato dal tanto peggio tanto meglio. Nella speranza di raccogliere i frutti che gli avversari (tutto il Parlamento) non sono in grado di riprendere. Ma questo riguarda il futuro. Qui e ora va detto che se il M5S strappa qualche importante comune segnando un’altra tappa del suo radicamento, resta che il Movimento soprattutto si distingue per fare da spalla al centro-destra. Come dimostra in pieno il caso Venezia.
Non votare Casson significa non sostenere un personaggio - un magistrato - e una politica - onestà e mani pulite - che rientra perfettamente nella cultura pentastellata. Se le scelte avvenute alle regionali erano oltremodo legittime - un’organizzazione che raccoglie un consenso ampio, deve essere ambiziosa - quella di non partecipare al ballottaggio veneziano è distruttiva e autodistruttiva.
Ma chi deve preoccuparsi più di tutti è il premier/segretario. Dopo questo importante voto amministrativo Renzi dovrebbe prestare meno attenzione alla grancassa mediatica che gli suona la serenata e avere maggior cura alla realtà del paese per quella che è. Se il Pd perde sia con un candidato di sinistra che con uno di destra, vuol dire che lo sfondamento al centro è una chimera e la riconquista di un consenso a sinistra un’illusione. Anche perché l’unico dato nazionale incontrovertibile, indiscutibile e apparentemente anche invincibile resta l’astensionismo. Che colpisce tutti, politica e antipolitica, destra e sinistra.
La fuga dalle urne e l’emorragia di voti del Pd smentiscono le magnifiche sorti delle furbizie costituzionali (l’Italicum) e delle scorciatoie liberiste (jobs act). Del resto la tragedia delle migrazioni, che attraversa i nostri territori mettendo in forse persino la frontiera dell’umana solidarietà, è testimonianza sufficiente per consigliare di tornare con i piedi per terra.
La storia si ripete: Felice Casson affonda un’altra volta nel ballottaggio. E se nel 2005 era un «derby» con la filosofia amministrativa di Massimo Cacciari targato Margherita, domenica la sconfitta dell’intero centrosinistra ha spalancato le porte di Ca’ Farsetti a Luigi Brugnaro, alla Lega Nord, al “civismo” di Francesca Zaccariotto e ai rigurgiti di fascismo.
L’ex pm e senatore Pd “dissonante” è stato condannato dalle urne la seconda volta senza appello. Una notte da incubo, fin dai primissimi risultati. Un verdetto che brucia ogni certezza e squaderna l’abisso. Con Casson che va k.o. dieci anni dopo, s’inabissano la «ditta» d’altri tempi, l’eredità rossoverde e perfino il popolo della sinistra. Nel deserto di Zaialand ci si può a mala pena arroccare nei municipi periferici (Treviso, Vicenza, Belluno), perché l’«effetto Bitonci» è dilagato da Padova a Rovigo mentre la «catastrofe Moretti» ha travolto anche Venezia.
Il risultato del ballottaggio è impietoso. Lo scarto finale è 6.567 voti, cifra che non ammette repliche. Solo la marcia trionfale di Brugnaro (il figlio del poeta-operaio, che ora è paròn di Umana, della Reyer, della Misericordia e della città…) dal quartier generale in Calle del Sale fino alla stanza dei bottoni sul Canal Grande. E il silenzio di Casson che via Twitter ringrazia i sostenitori e si eclissa.
È davvero l’ammainabandiera di Venezia “rossa” con Giovanni Battista Gianquinto, poi “riformista” con Gianni Pellicani e “democratica” con Cacciari, Paolo Costa e Giorgio Orsoni. È una svolta davvero storica, perché bisogna risalire al 1990–93 per ritrovare un sindaco diverso: Ugo Bergamo, notabile Dc, non a caso riemerso fra i supporter di Brugnaro.
In due settimane, laguna e terraferma hanno maturato il drastico cambio di scenario, non solo politico. Brugnaro ha convinto perfino sestrieri come Castello, “roccaforti” come Marghera e l’intero Lido. E con il 10% in meno di votanti rispetto al primo turno, la coalizione di centrodestra si è paradossalmente imposta senza nemmeno fare il pieno dei propri consensi. Brugnaro ha chiuso con 54.405 preferenze contro le 47.838 di Casson. Ma sulla carta gli apparentamenti avrebbero dovuto sommare ai 34.790 voti fucsia, i 14.482 della Lega e gli 8.292 della Civica Zaccariotto per un totale di 57.564.
Al contrario, lo schieramento Civica Casson, Pd, Verdi, Sel, Socialisti e Cd partiva dai 46.298 voti del primo turno. Ma è lampante che quei 1.540 elettori in più di domenica non hanno compensato gli astensionisti incalliti e nemmeno i «traditori» nel segreto dell’urna. I primi incarnano forse l’effetto Mose, ma anche la disillusione nei confronti del Pd nazionale e lagunare. Ma gli altri rivelano il bizantinismo business oriented di lobby, salotti e mandarini che fin dalle Primarie hanno messo sabbia nel motore di Casson.
Non è un mistero per nessuno che a Venezia (e nel Veneto) il «sistema Galan»contasse sulla concertazione formato Consorzio Venezia Nuova. Da almeno un anno erano al lavoro, su opposte sponde, i vecchi “referenti” dei nuovi equilibri. Hanno sbaragliato il campo e si preparano ad un lustro all’insegna della sintonia fra il governatore post-leghista Luca Zaia e il sindaco post-berlusconiano Brugnaro. Forse, non è un caso che i rispettivi “partiti elettorali” abbiano monopolizzato i consensi tanto alle Regionali come alle Comunali…
Venezia, poi, riassume la più devastante deriva demokrac. Il partito collassato ben prima e peggio di Ale Moretti e Casson. L’eredità europea dissipata ad ogni angolo del Nord Est (sintomatico Portogruaro, dove Maria Teresa Senatore umilia il designato Pd che aveva 17 punti di vantaggio). E la deriva impazzita dei sindaci anti-migranti, sceriffi e decisionisti che riduce a simulacro iscritti, circoli e dirigenti.
«Il Pd a Venezia ha raccolto quel che ha seminato» sintetizza Tommaso Cacciari, attivista del laboratorio Morion e del Comitato No Grandi Navi. Tant’è che in terraferma, nel centro storico e nelle isole nessuno punta l’indice su Casson e tutti preferiscono aprire la caccia ai «battitori liberi» targati Pd. Sussurri e grida su vendette personalizzate, indicazioni eretiche alla guardia imperiale dell’ex Pci, addirittura voti di scambio nel ballottaggio di project, appalti e cantieri.
Intanto, a Venezia si riparte dalle municipalità (5 di centrosinistra, solo Favaro con Brugnaro). E dalle 883 preferenze di Nicola Pellicani, sconfitto alle Primarie da Casson e poi capolista della sua lista civica.
Equidistante. Dall’inizio alla fine. Senza sconti né rimpianti. Davide Scano, 39 anni, avvocato, sposato con due figli, non accetta imputazioni per la conquista di Venezia da parte del centrodestra. Anzi, difende senza appello la strategia “grillina” dentro e fuori le urne: «A chi dice che la sconfitta è colpa nostra replico, in tutta sincerità: è una vera sciocchezza. Casson, Pd e centrosinistra non hanno certo perso per il Movimento 5 Stelle. Respingo al mittente questa “ricostruzione” a nome di tutto il nostro gruppo».
Allora perché Casson ha perso la sfida di domenica?
A tanti era risultato assai poco credibile l’impianto del centrosinistra. Neppure al ballottaggio il candidato e ciò che gli sta dietro hanno potuto convincere. Significa, se mai, non aver colto e capito che i segnali di cambiamento maturati a Venezia sono più forti del pantano in cui si dibatte il Partito democratico.
Eppure Casson aveva sottoscritto le vostre cinque richieste-chiave…
In tutta la campagna elettorale si è mosso preoccupato di non scontentare nessuno. E non ha mai dimostrato, davvero e fino in fondo, un impeto di coraggio o un’iniziativa decisa nei confronti del passato o di alcuni “settori” della sua coalizione. Tant’è che già al primo turno il centrosinistra ha scontato un altissimo tasso di astensioni.
Ha pesato lo “scandalo Mose” che giusto un anno fa aveva costretto il sindaco Giorgio Orsoni alle dimissioni?
Non solo. Il vero punto è che i giornali nazionali e locali non hanno raccontato Venezia, perfino al di là degli arresti e delle indagini della Procura. Il Comune viene infatti da decenni di pessime amministrazioni: concentrate sulle connivenze con le categorie e sul clientelismo. Era tutto ingessato, mentre si buttavano soldi dalla finestra.
Perché, secondo il M5S, nemmeno un ex pm e un’alleanza all’insegna della della massima trasparenza bastavano a “salvare” Venezia?
Abbiamo calcolato che dal 2007 a oggi è stato svenduto patrimonio comunale per complessivi 500 milioni: azioni Save e delle Società autostrade, ma anche palazzi e altri immobili. Attualmente, Ca’ Farsetti è sommersa da debiti per un miliardo e mezzo di euro, di cui 200 milioni sono i famigerati derivati. Poi c’è il Casinò che va a ramengo a causa delle clausole contrattuali dei dipendenti per cui non si può nemmeno puntare sui nuovi giochi che ora vanno per la maggiore. Senza dimenticare un altro dato eloquente: a Venezia si spendono due milioni di euro all’anno in consulenze esterne, anche se ci sono 3.300 dipendenti comunali più altri 7 mila delle società partecipate.
Scusi, Scano, ora che farete?
Noi siamo post-ideologici. In aula con le due colleghe elette faremo opposizione più seria, perché anche propositiva. Ci votano come “cani da guardia”, ma a Venezia non siamo neofiti e possiamo contare su una rete ormai consolidata di cittadini attivi.
Niente sconti nemmeno a Brugnaro?
Lui ha provato spesso ad ammiccare, anche prima del ballottaggio. Peccato che soltanto la sua vecchia idea di urbanistica e la partita delle Grandi Navi non lasciano margini né dubbi al nostro giudizio.
Ma, insomma, qual è stata la vera chiave di volta del ballottaggio?
Porto e aeroporto, soprattutto, direi. Da una parte, quel che ruota intorno alla Marittima. E dall’altra il “giro” del Marco Polo, compresi i progetti nel quadrante Tessera. Noi, comunque, aspettiamo Brugnaro anche sulle nuove linee del tram ex Lohr, visto che i costi sono lievitati da 127 a 208 milioni. Il nuovo sindaco, forse un po’ mal consigliato, sostiene che occorre portare il tram fino all’ospedale. Peccato che nella vera città metropolitana basta già la fermata del Smfr, senza bisogno di dirottare tante altre linee di trasporto pubblico.