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Venezia: c’è chi rimpiange di non aver avuto l’Expo 2000
4 Aprile 2008
Terra, acqua, società
Tutti pentiti i politici veneziani di aver combattuto l’Expo nel 1990. Infatti, i danni che avrebbe fatto l’Expo li hanno fatti loro, negli anni successivi. Il Gazzettino, 4 aprile 2008. E una postilla

Ecco perché dobbiamo vergognarci

di aver detto "no"

Venezia 2000, Milano 2015. Tre lustri non sono niente, anche se è passato un secolo, la rabbia resta uguale. Sono contentissimo per Milano. 20 miliardi di euro e 70mila posti di lavoro, una vittoria italiana, una sconfitta per la turca Smirne. Con tutta la simpatia per Smirne città mediterranea. Mi offende sentire che Milano punterà in pieno sulla dimensione acquea dei Navigli. Sì, Milano punta sull'acqua per la futura Expo. Giuseppe De Rita uno dei principali intellettuali che si sbilanciarono assieme a Renzo Piano per Venezia oggi scrivono che " Venezia 2000 fu suicidata da una campagna di stampa ben concentrata da goliardiche raccolte di firme e dal prudente ritiro da parte del Governo di allora". Fu preferita Saragozza. La Venezia delle contesse e del Fronte del No vinse la sua partita. Anch'io che all'epoca scrivevo per il Gruppo dell'Espresso nei quotidiani locali, ho fatto parte a quella campagna. Una vera schifezza di cui vergognarsene. Con quei soldi, con il Magnete di Renzo Piano. con i grandi progetti, Venezia e il Veneto avrebbero bonificato Porto Marghera, restituito dignità al sestiere di Castello, recuperato in pieno l'Arsenale, fatto sistema tra le realtà urbane di Padova e Treviso. Oggi che Milano punta sulla sua acquaticità mi vengono in mente le Cassandre degli anni Novanta, i Soloni universitari di allora. Venezia avrebbe subìto la peste di 50 mila visitatori al giorno! Oggi che i turisti sono oltre 20 milioni quegli intellettuali anti-Expo dovrebbero fare pubblica ammenda. Abbiamo sbagliato. l piano urbanistico di Leonardo Benevolo del 1995 era illuminato e utile per la comunità veneziana. Quante occasioni perse dalla insipienza degli amministratori locali. Per curiosità storica ho recentemente letto le cronache del Gazzettino del 1955: alla inaugurazione del cavalcavia ferroviario di Mestre, raddoppiato, tagliava il nastro tricolore il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. I lavori erano stati coordinati dalla provincia di Venezia presieduta dal democristiano Armando Favaretto Fisca. Ebbene, il sindaco comunista Giobatta Gianquinto non vi partecipa per protesta perchè l'opera era "una cattedrale nel deserto". Opera inutile, per le auto private, come inutile era costruire le nuove autostrade. E' passato mezzo secolo e i tempi dettano giustizia. Del povero Giuseppe Volpi, sepolto per pietà ai Frari dalla volonta del futuro papa Giovanni XXIII°, fu scritto che "causò i disastri di Porto Marghera e l'acqua alta". Non è giunto forse il tempo di ripensare il nostro futuro?

(Maurizio Crovato)

Venezia "porto franco"?

Inizia a farsi strada un'idea di autonomia

(da.sca.) Potrebbe essere una nuova sfida per testare la forza della classe politica locale. Comunque un progetto di lungo respiro: Venezia porto franco o, comunque, con una qualche autonomia fiscale e legislativa che dia agli amministratori locali gli strumenti per governare meglio la città. Il tema era stato lanciato a gennaio dall'assessore Mara Rumiz proprio sul Gazzettino, ma non era stato raccolto, passato quasi sotto silenzio. L'assessore aveva citato Barcellona a proposito del tetto alla trasformazione degli edifici residenziali in turistici, un limite che la città catalana ha potuto applicare in forza di una sua autononomia legislativa.«Oggi - aveva detto Mara Rumiz - si deve dare un nuovo valore alla specificità veneziana, parlare non solo di trasferimenti finanziari, ma anche dell'introduzione di normative specifiche per la città, per garantire non solo la sua salvaguardia, ma anche per incentivare attività economiche diverse dal turismo, per portare nuova residenzialità».

Un appello alle forze politiche locali, che se a livello regionale puntano su un federalismo fiscale conaltre sfumature, a livello veneziano hanno glissato. Qualche giorno fa, però, sul sito di Fondaco, società che si occupa di comunicazione istituzionale e di marketing, l'amministratore Enrico Bressan ha ripreso la palla.

«Lo strumento fiscale - scrive Bressan - è l'unico in grado oggi di garantire e programmare il futuro di Venezia. Risorse finanziarie pubbliche per mantenere e valorizzare la città non ce ne sono e quindi è necessario, e non più rinviabile, pensare all'innovazione e a strumenti che possano generarne di alternative. Sono necessari interventi strutturali per evitare il continuo spopolamento ed avviare una stagione di progettazione. E l'unico modo per affrontare e risolvere questi problemi è quello che Venezia diventi fiscalmente zona franca».

«È necessario - aggiunge Bressan - un fisco capace di trattenere coloro che vogliono vivere in città: dall'esenzione totale per l'acquisto della prima casa all'esenzione totale per chi affitta, dalla deducibilità integrale del canone di locazione (sia per residenti che per studenti, questi ultimi finiti gli studi potrebbero decidere di fermarsi definitivamente a Venezia e facendo così magari qualche bella testa pensante anziché andare in cerca di nuovi lidi potrebbe rimanere qui) alla deducibilità totale per coloro che fanno interventi di restauro. Agevolazione massima per le aziende che desiderano aprire una loro sede in città (sia nel centro storico che nelle aree dove è necessaria la riqualificazione urbanistica) questa volta però in modo serio (sedi reali e non fantasma come avviene nei paradisi fiscali) con un periodo minimo garantito di residenza (10 anni) e l'obbligo di offrire nuovi posti di lavoro e quindi nuove opportunità per i giovani. L'esempio in Europa lo abbiamo: l'Irlanda. Da ultimo per reddito pro capite e prodotto interno lordo è diventato in pochi anni il Paese con il più alto tasso di sviluppo perché ha saputo attrarre con misure fiscali intelligenti la disponibilità di numerose multinazionali senza che l'ambiente subisse stravolgimenti».In conclusione, dice l'amministratore di Fondaco «prima dei soldi, è necessario attrarre intelligenze e competenze in forza delle quali individuare i migliori percorsi di sviluppo. Così Venezia può ritornare ad essere la città del futuro. L'invito che rivolgiamo alle istituzioni, a tutti i livelli, è quello di chiedere all'Unione Europea una deroga speciale per il territorio comunale di Venezia (forse in quella sede incontreremo maggiore sensibilità e quindi maggiore chance che tutto ciò si realizzi). Un provocazione, un'utopia, un sogno, forse di tutto un po' ma per raggiungere grandi risultati è necessario pensare in grande

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Tre aree: l'area delle ...

Tre aree: l'area delle nazioni, il network delle idee, quello della produzione. Un'invasione stimata tra i 45 e i 26 milioni di turisti tra il 1° marzo e il 30 giugno 2000, con una presenza media di 250mila persone al giorno. Erano questi alcuni dei dati dell'Expo 2000 che si sarebbe dovuta tenere a Venezia, un "sogno" che stimolò anche la fantasia dei creativi. Ci fu chi, come gli architetti Emilio Amnasz e Antonio Foscari, arrivò a immaginare uno stadio in mezzo alla laguna raggiungibile sia con l'auto che con la barca, spettacoli su padiglioni e teatri galleggianti, percorsi acquei illuminati. Si parlò di numero chiuso per regolare gli afflussi in città e accessi gestiti con sistemi elettronici. La sede strategica dell'Expo doveva essere l'area delle nazioni, prevista a bordo della laguna nella zona di Marghera o in quella di Tessera, con rivalutazione del waterfront.

Il network delle idee avrebbe invece dovuto trovare posto all'Arsenale, vero e proprio cuore della manifestazione in centro storico con dibattiti, confronti, centro di produzione, cervello operativo e sede espositiva. Il network della produzione, la sede espositiva vera e propria, avrebbe invece coinvolto il Veneto, soprattutto il sistema fieristico, da Verona a Padova. Il tema dell'Esposizione doveva essere l'equilibrio del sistema Terra, facendo di Venezia la città simbolo di una nuova cultura. Si parlava, allora, di risorse in arrivo per 5mila miliardi di lire dell'epoca, praticamente una mini Finanziaria.

L'intera manifestazione, poi, avrebbe avuto ricadute sul territorio, con l'acceleraizone del Piano regionale di coordinamento e del Piano regioinale dei trasporti. Per gestire i flussi si pensava a una ExpoCard per controllare gli arrivi nei giorni di maggiore affluenza. Tema tornato (o rimasto) d'attualità.

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«Venezia porto franco, ...

«Venezia porto franco, con una sua autonomia legislativa e fiscale? Una proposta difficile, quasi impossibile da far passare».Il vicesindaco Michele Vianello è scettico, perché si tratterebbe di una riforma pesante, per la quale la classe politica locale e italiana dovrebbe impegnarsi a livello europeo. Eppure, su un altro fronte, questo impegno c'è.Proprio ieri i presidenti di Friuli-Venezia Giulia e Veneto, Illy e Galan, hanno rilanciato l'Euroregione. Progetto istituzionale certo diverso da quello di una Venezia "a statuto speciale", però indicativo del fatto che, quando un obiettivo è condiviso, non esistono steccati di parte. L'importante, insomma, è crederci.E Illy ci crede a tal punto da affermare che «se non arriverà il "via libera" da Roma per l'Euroregione, noi la costituiremo lo stesso». Non solo, ma Illy ribadisce anche che continuerà «a essere al fianco di Galan e degli altri presidenti delle Regioni a statuto ordinario nel pretendere che il nuovo titolo quinto della Costituzione, modificato nel 2001, venga attuato pienamente, che significa anche realizzare il federalismo, incluso quello fiscale».

A dargli manforte, lo stesso Giancarlo Galan, il quale afferma di ritrovarsi «nell'ormai tradizionale sintonia accanto al Friuli-Venezia Giulia». Tuttavia, secondo il governatore, non basta l'impegno di Illy e Galan perché si realizzino Euroregione e federalismo fiscale».«Ciò che desidero per davvero - conclude Galan - è che attorno alla costituzione dell'Euroregione (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Carinzia, Slovenia, Croazia e Contea dell'Istria) si formi una forte unità tra tutte le forze politiche del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, e lo stesso avvenga a livello nazionale».

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«Per carità, "pentimento" ...

«Per carità, "pentimento" è una parola grossa. Però con il senno di poi la spinta modernizzatrice dell'Expo a Venezia poteva far comodo...».La vittoria di Milano nella competizione per l'Esposizione universale 2015 ha riaperto nel vicesindaco Michele Vianello e tra alcuni degli "exposcettici" una ferita non ancora così antica da essersi rimarginata, quella dell'Expo 2000. Resta ancora un pericolo evitato per Venezia o, alla luce delle lodi che piovono in capo al sindaco milanese Letizia Moratti, è diventata un'occasione mancata?Tra gli anni Ottanta e Novanta la città si logorò nel dilemma e alla fine i dubbi ebbero la meglio, scoraggiando il governo di allora a sostenere la candidatura veneziana. «Un caso unico - commenta oggi Nereo Laroni, sostenitore dell'Expo al fianco di Gianni De Michelis, eletto europarlamentare tra i socialisti proprio nel 1989 dopo l'esperienza di sindaco tra il 1985 e il 1987 - Ricordo politici locali e italiani spendersi addirittura contro Venezia...».

A una ventina di anni di distanza, c'è dunque chi rilegge le sue convinzioni di allora, come Vianello. O anche, in parte, come il viceministro ai trasporti Cesare De Piccoli, vicesindaco tra il 1987 e il 1990.

«Il "no" all'Expo allora era basato su due motivazioni - spiega De Piccoli - Il primo ideologico: c'era chi respingeva una certa idea di modernità. Il secondo, e io lo scrissi chiaramente all'epoca, era dovuto alla convinzione che Venezia non era compatibile con un evento simile, non lo avrebbe sopportato. Lo vediamo anche oggi: Venezia non regge il peso dei grandissimi eventi, figuriamoci un'Expo che in 4 mesi avrebbe portato in città 30 milioni di visitatori. Certo, il "no" giustificato con l'antimodernità non era però condivisibile. De Michelis forse vide in prospettiva, sbagliò chi sottovalutò la spinta propulsiva dell'Expo».

Michele Vianello invece conserva i ritagli e i documenti di allora, ha tenuto i verbali delle riunioni del Pci, i documenti, gli ordini del giorno in consiglio comunale.Oggi il Pci non esiste più. «E mi diverte vedere - insinua Laroni - che chi allora faceva parte del partito del "non fare", come Cacciari, oggi è diventato più morbido, presenta progetti su Tessera con la Save di Marchi. Perfino Bertinotti plaude al successo di Milano...».

«È vero - ammette Michele Vianello - l'Expo allora avrebbe dato alla città un'utile e necessaria spinta di modernizzazione, avrebbe portato a Venezia una grande firma come Renzo Piano, avrebbe innovato un tessuto infrastrutturale. Invece vent'anni fa hanno prevalso i veti ideologici. Perché? Per il semplice motivo che vedevamo nell'Expo un acceleratore di quei processi di degrado che poi, però, si sono verificati lo stesso».A partire dalla deriva turistica, che puntualmente c'è stata. Così scriveva nel 1990 il professor Edoardo Salzano, urbanista dello Iuav e fiero oppositore all'Expo: «Ora, dopo aver perso 5 anni a contrastare una proposta sbagliata, si può ricominciare a lavorare per risolvere i problemi, ma nella direzione opposta: per governare il turismo, anziché per esaltarlo, per difendere le attività ordinarie della città, per costruire le ragioni e le occasioni di uno sviluppo economico e sociale non effimero». Parole e speranze che oggi appaiono tradite dai fatti. E lo ammette lo stesso Salzano, che a 78 anni continua a studiare e a produrre idee con il suo sito web Eddyburg. «È vero - ammette Salzano - allora c'era quella convinzione, ma la città poi ha preso un'altra direzione. Personalmente sono deluso dalla classe politica che si è succeduta da allora, non si è saputo indirizzare la città verso uno sviluppo positivo, legato alla sua tradizione e alla sua vocazione. La deriva di Venezia ci è sotto gli occhi quotidianamente. Ho nostalgia dei "vecchi" amministratori, di Gianni Pellicani e anche di Gianni De Michelis che, Expo a parte, negli anni Settanta sapeva guardare lontano. Oggi manca proprio questo: la lunga prospettiva. La politica è diventa conquista di voti a breve termine».Tuttavia sull'Expo Salzano non ha cambiato idea. «Continuo a pensare che sarebbe stata un danno per Venezia - conclude - Anzi, a mio avviso è un pericolo anche per Milano. Il giorno dopo la notizia della vittoria, i terreni sui quali si costruirà avevano già decuplicato il loro valore. E penso alle conseguenze che l'Esposizione milanese potrà avere anche su Venezia».

Proprio per compensare questo impatto, il sindaco Cacciari ha chiesto che una parte delle risorse stanziate per l'Expo del 2015 arrivi anche a Venezia. «Più che soldi - corregge De Piccoli - coglierei l'occasione per mettere alla prova la classe politica del nord, lombarda e veneta, alla vigilia delle elezioni. L'Expo di Milano deve essere l'occasione per ricalibrare le priorità nelle infrastrutture. L'asse Torino-Milano ha già beneficiato dell'effetto Olimpiadi del 2006, ora le risorse a disposizione per l'Alta Velocità si destinino prioritariamente a completare il collegamento Milano-Venezia, finendo la linea mancante Verona-Padova. Si tratta di una decina di miliardi in gioco. Questa sarebbe una risposta concreta per far entrare nel gioco anche il Veneto e Venezia. È necessario entrare subito nel Comitato per l'Expo e far valere in quella sede le istanze del Veneto. A fianco di questo progetto, poi, viene da sè una seria organizzazione e gestione dei flussi, perché è impensabile che chi andrà a Milano nel 2015 non venga a fare una visita a Venezia».

L'Expo, dunque, come grande occasione. Anche se si tratta di quella di Shangai del 2010, dove Venezia è stata chiamata a partecipare con alcuni progetti. «Noto però - osserva Laroni - che tra i "fiori all'occhiello" di Venezia non è stato inserito il Mose. Strano: non vuol dire che, anche se Cacciari è contrario, non si possa presentare al mondo un'opera unica e altamente significativa come quella. E noto anche come si sia dimenticato che solo due settimane fa si voleva chiedere alla Fenice di non andare in tour in Cina per la repressione in Tibet, mentre ora si osanna la missione a Shangai. Evidentemente prevale l'opportunismo politico».

«E comunque - conclude Laroni - i fatti dimostrano che venti anni fa avevamo ragione. Oggi si sono presentati trionfalmente progetti come le bonifiche, il quadrante di Tessera, le varie infrastrutture, che l'Expo avrebbe accelerato. Invece tutto è stato ritardato di un ventennio...».

E a venti anni fa torna Mario Rigo, sindaco socialista tra il 1975 e il 1985, che ricorda come allora «non ci fu una posizione di contrarietà del consiglio comunale», ma un irrigidimento di Ca' Farsetti «perché - racconta Rigo - il progetto dell'Expo fu presentato a scatola chiusa, con una società di privati già costituita, senza alcun coinvolgimento del Comune».

«Cosa ben diversa - osserva Rigo - da quanto avvenuto con Milano, dove la spinta propulsiva è venuta proprio dal sindaco Moratti. Nel caso di Venezia il sindaco non venne assolutamente coinvolto, addirittura si era già dato l'incarico a Renzo Piano per il famoso "Magnete" che doveva diventare il simbolo architettonico dell'Expo 2000».

(Davide Scalzotto)

Postilla

C’è chi, come De Rita e Laroni, era già allora tra i promotori dell’Expo a Venezia. C’è chi allora l’aveva combattuta, e ora si pente. Nulla di male. I tempi sono cambiati, i principi pure. Il pensiero unico ha conquistato larghissima parte del mondo della politica (e non solo). In realtà è proprio nei primi anni 90, quando si evitò a Venezia la sciagura dell’Expo, che i tempi cambiarono. Le parole d’ordine che erano state di Craxi, e che Berlinguer aveva sdegnosamente respinto, divennero gli slogan di gran parte degli ex PCI. Una “modernizzazione” a base di grandi infrastrutture e di grandi occasioni d’investimento, un’omologazione che cancelli ogni diversità (anche se la diversità è quel gioiello d’equilibrio che si chiama Venezia), una rincorsa a inseguire tutto ciò che può aumentare il PIL (anche se, come il turismo, distrugge giorno per giorno ciò che tocca): questi i “valori” di oggi. Evidentemente diversi da quelli che si nutrivano quando si combatteva l’Expo; a meno che, già da allora non si ignorasse in nome di che cosa lo si faceva. (e.s.)

Qui l’editoriale de l’Unità con il quale si annunciava il ritiro della candidatura italiana all’Expo 2000

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