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Tomaso Montanari
Velata o velina? Raffaello, un’“escort” al ballo di Montecarlo
26 Settembre 2011
Beni culturali
Continua l’abuso del nostro patrimonio culturale ormai ridotto a deposito di beni di lusso pronti per il noleggio. Da Il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2011 (m.p.g.)

Il ritratto dovrebbe essere esposto nel principato in un galà dedicato a Firenze. L’arte a noleggio dei privati, proprio come vuole una proposta di legge di Scilipoti.

Il ministero dei Beni culturali ha definito un “evento di portata storica” la spedizione a Cuba di un ‘Caravaggio’ che non è di Caravaggio; un alto prelato italiano sta cercando di spedire la Madonna di san Giorgio di Giotto a Mosca per ‘impreziosire’ le celebrazioni legate all’edizione dei testi di un concilio dell’VIII secolo; la Velata di Raffaello parteciperà al Ballo del Giglio del 2011, in un albergo di Montecarlo; i Baccanali Ludovisi di Tiziano saranno esposti ad Arcore, nella sala del bunga bunga, per evidenti affinità iconografiche.

Una sola di queste notizie è falsa: ed è l’ultima. Ma è falsa solo perché i Baccanali appartengono al Prado, che è un museo serio di un paese serio. Invece il prossimo 14 ottobre l’Hotel de Paris di Montecarlo ospiterà il Ballo del Giglio, che sarebbe la versione dedicata a Firenze del Ballo della Rosa voluto da Grace Kelly. Il programma prevede – tra un incontro di imprenditori, una colazione di lavoro e lo spettacolo dei Bandierai – l’esibizione di “un capolavoro della Galleria degli Uffizi”, che dovrebbe essere scortato dal sindaco Matteo Renzi. Fonti del Mibac rivelano che quel ‘capolavoro qualunque’ sarebbe stato alla fine identificato nella Velata di Palazzo Pitti, per la cui spedizione si sarebbe in attesa dell’autorizzazione ministeriale.

Se quella autorizzazione arriverà, e se vedremo davvero Raffaello al Ballo del Giglio, allora si sarà toccato il punto più basso della storia del patrimonio artistico italiano: un punto dopo il quale si potrà solo usare la Dafne del Bernini come una bambola gonfiabile, approfittando della bocca spalancata.

Le soprintendenze sono ormai infatti state ridotte a uffici tecnici: si chiede loro solo se il supporto materiale dell’opera d’arte che si desidera spostare è in grado di affrontare il viaggio. E se la risposta è che Raffaello non si rompe, ebbene si pensa di poterlo sbattere ovunque, a fare qualunque cosa. Non so se gli organizzatori del ballo verseranno un obolo al Polo museale fiorentino, ma in ogni caso l’operazione è rubricabile sotto la specie del noleggio a ore. E l’idea di noleggiare a privati le opere d’arte che appartengono alla collettività rappresenta eloquentemente il tono morale e il livello culturale dell’Italia del tardo berlusconismo: al punto che l’uomo simbolo di questa mirabile congiuntura, l’onorevole Domenico Scilipoti , ha trasformato questa idea in una proposta di legge per cui “le opere d’arte, inclusi reperti archeologici e similari, possono essere offerti in noleggio per un periodo prefissato di dieci anni tramite asta pubblica da gestire per via telematica”. L’obiettivo sarebbe quello di “valorizzare le opere d’arte che giacciono inutilizzate o sottoutilizzate in depositi museali o in altre sedi, promuovendo, attraverso il loro noleggio per un periodo decennale, l’arte e la cultura italiane nel mondo e, allo stesso tempo, contribuendo a ridurre il debito pubblico”. Non capacitandosi del fatto che Tremonti non sia corso a congratularsi con lui, poche settimane fa il tenace Scilipoti lo ha formalmente interrogato in Parlamento, riproponendogli questa genialata. E non si sa davvero se sia più madornale la bestialità di pensare che le opere d’arte si debbano “utilizzare”; quella di considerare i depositi dei musei non quei magazzini di sapere e di storia che sono, ma cantine polverose e inutili; oppure l’idea che uno partecipi a un’asta telematica e poi si veda consegnare a casa – non so – una Immacolata in marmo del Seicento, un polittico a fondo oro del Trecento o un set di vasi greci. Ma ancora: uno potrebbe noleggiare un fonte battesimale romanico per il battesimo del nipotino, un’alcova barocca per la prima notte di nozze, una scultura del Novecento per un cocktail in giardino (No Arturo Martini, no party). Ma, al di là del folklore , ciò che nella proposta di legge Scilipoti, si legge benissimo è il principio di fondo: privatizzare, selvaggiamente, il patrimonio artistico di questo Paese.

Il primo risultato di una simile legge sarebbe massacrare la dignità dell’arte figurativa. Che in Italia non è mai stata lo svago di alcuni raffinati perditempo, non un ornamento moralmente neutrale con cui ‘impreziosire’ la vita di magnati facoltosi e ignoranti: no, l’arte figurativa è stata per secoli uno dei linguaggi (il più alto forse) in cui rappresentare e condividere la storia, l’identità, l’anima della comunità civile. Trattare le opere somme di questa tradizione come orsi ballerini che si aggirano per i cocktail col piattino delle offerte tra le zampe significa umiliarle fino a privarle di quei poteri di umanizzazione ed educazione intellettuale e morale che le rendono presenze uniche e insostituibili nella nostra vita spirituale.

Il secondo risultato sarebbe infliggere l’ennesimo colpo al patto costituzionale che ci fa civili: per Costituzione, la Velata di Raffaello appartiene a tutti i cittadini italiani, indipendentemente dal reddito e dalla cultura. Mai come in questo momento di crescenti sperequazioni economiche, la natura di bene comune del patrimonio artistico può giocare un importante ruolo perequativo. Ma noleggiando un quadro di quell’altezza vertiginosa a una brigata di ricchi cafoni che si permettono di trattarlo come una musica di sottofondo per il loro galà, lo Stato riesce nel miracolo di trasformare proprio quel patrimonio nell’ennesimo fattore di diseguaglianza, ingiustizia e diseducazione.

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