La Rete dei comitati toscani per la difesa del territorio si è più volte schierata a sostegno della lotta contro la, Tav in Val di Susa. Non si tratta di un’adesione di principio, ma della condivisione dei dati e degli argomenti del movimento no-tav, offerti al pubblico e ignorati dalle “autorità”; e nello sfondo vi è un nodo politico che va oltre il problema delle inutili e devastanti grandi opere (non tutte, ma molte).
La Tav in Val di Susa è una questione emblematica a livello internazionale (come avrebbe potuto essere quella del Mugello a livello nazionale, un'occasione perduta). Chi tentasse di avere qualche informazione dall’Osservatorio preposto al controllo dei lavori, troverebbe, alla voce “Il progetto: a che punto siamo”, solo quattro paginette generiche: informazioni zero (ma un osservatorio non dovrebbe essere anche il tramite fra progetto e cittadini?). Quello che sappiamo è quanto viene pubblicato, senza smentita alcuna, dalle varie ramificazioni del movimento no-Tav. Chiunque abbia letto il dibattito, in particolare l'intervista a Marco Ponti, le osservazioni della Comunità montana, la lettera aperta indirizzata a Bersani da Ivan Cicconi, oltre i numerosi documenti ospitati da eddyburg, non può non dare ragione agli oppositori della Tav. Fra le tante informazioni due mi sembrano degne di essere sottolineate. La prima è che a seguito dell'accordo nel 2005 Raffarin-Berlusconi, si è stabilito che l'Italia pagherà i 2/3 del costo della tratta internazionale che è la più onerosa e il cui costo dichiarato dal ministro Tremonti (La Stampa 16/09/2010), è di 120 milioni di euro al km, ovvero 1.200 euro al cm (i risparmi solo su statali e pensionati?). La seconda è che l'alta velocità è prevista soltanto sul tratto italiano; non vi è quindi neanche l'alibi di dovere per forza completare un'opera internazionale con caratteristiche unitarie, dal momento che i francesi ben si guardano dal buttare via i soldi (ma in l'Italia non sono buttati, sono trasferiti ai soliti noti).
Tuttavia vi è un problema, a mio avviso, ancora più grave. Sono le 5 domande poste sul manifesto da Beni, Mattei, Pepino, cui nessuno ha dato risposta. Le domande sono molto semplici. Quale credibilità hanno le previsioni di traffico al 2020 e di trasferimento delle merci dalla gomma al treno che giustificherebbero l'opera? Quali sono i vantaggi in termini ambientali dato lo spaventoso impatto del cantiere? Chi paga i costi (20 miliardi naturalmente destinati a raddoppiarsi)? Per inciso, la Grecia – come ha rilevato Paolo Berdini - si è impiccata con le olimpiadi che dovevano modernizzare e sviluppare il paese. Infine: quale è il conclamato effetto positivo sull'economia locale?
A queste domande dovrebbe rispondere prima di tutto Cota, ma anche Chiamparino e lo stesso Bersani. Invece tutti recitano il mantra della modernizzazione e dello sviluppo. Perché lor signori non si degnano di rispondere, magari convincendoci delle loro buone ragioni? Forse perché hanno deciso che l'opera si farà nell'interesse dei costruttori (e delle caste partitiche) e non della collettività? Forse in tutto ciò pesa che la realizzazione della nuova galleria di servizio della Maddalena sia stata affidata alla cooperativa CMC di Ravenna (rigorosamente a trattativa privata)
Un'ultima curiosità, tutta toscana. Cosa risponderebbe il presidente Enrico Rossi investito dalle stesse domande? Sarebbe aperto – come spero - alle voci della società o si allineerebbe al partito dei costruttori (che poi è quello di D'Alema, Conti, Matteoli, Monte Paschi, cooperative, ecc., ecc., e, ahimè, temo anche di Bersani).