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Mario Rigoni Stern
Uno stato sociale
5 Dicembre 2007
Recensioni e segnalazioni
“E’ forse meglio essere custodi che proprietari”. Così si conclude la bella intervista di Marco Paolini al grande scrittore veneto, a proposito degli usi civici del suo “Altopiano dei sette comuni”.

Il testo inserito di seguito (segnalato e scandito da Paolo Berdini per i lettori di eddyburg.it) è tratto dal volume Mario Rigoni Stern, nella collana Ritratti della Fandango libri. Il ritratto di Rigoni è curato da Carlo Mazzacurati e Marco Paolini. Il primo è il regista del dvd allegato al libro; il secondo l’intervistatore. Il capitolo è intitolato “Uno stato sociale”. Riprende un tema – quello del rapporto tra proprietà, comunità e territorio - affrontato spesso nel sito.

Paolini. Senti, ma lavorare al catasto in Altipiano vuol dire anche non avere a che fare con un tessuto di proprietà come in altre parti del paese, perché qui c’è qualcosa che forse non c’è in altre parti d’Europa.

Rigoni Stern. Si, infatti, io penso che per il novanta per cento, o quasi, la proprietà sia della comunità.

P. Cosa vuol dire, chi è la comunità?

RS. Siamo noi, i residenti, noi originari. In questo Altipiano, quando i nostri antenati hanno deciso di vivere qui non avevano padroni. Soltanto sembra che Cunizza da Romano, quello che Dante mette in Purgatorio, abbia lasciato agli abitanti il feudo, che non aveva nessun valore, perché quassù non veniva nessuno. Allora queste proprietà sono nostre, le proprietà private, che attualmente sono limitate al territorio attorno alle contrade, erano anche queste proprietà della comunità, soltanto che venivano concesse e dissodate dalle famiglie che vivevano lì.

P. Che cosa vuol dire proprietà della comunità, vuol dire che non sono di nessuno?

RS. No, sono nostre. Ci sono quelli che dicono che sono demaniali, ma il demanio è un ente, è lo stato, è qualcosa di astratto. Noi siamo concreti, siamo persone che hanno la proprietà di queste montagne.

P. Quindi cosa potete farne o cosa non potete farne?

RS. Possiamo solo amministrarle come a noi pare giusto, usare le entrate per le cose che sono necessarie.

P. Ma sembra una cosa utopica.

RS. No, con l’entrata del bosco nel dopoguerra abbiamo costruito il nostro ospedale, senza interventi dello stato, senza interventi o aiuti di provincia o regione: tagliando alberi, e purtroppo ne abbiamo tagliati tanti, perché ci sembrava in quel momento che l’ospedale fosse importante per noi.

P. Dopo la Prima guerra?

RS. La Seconda guerra mondiale.

P. E prima della Seconda guerra mondiale, prima dei danni anche dell’altra guerra, che cosa facevate con i soldi?

RS. I soldi del legname servivano per amministrare i cittadini, servivano per pagare i maestri, per pagare i medici.

P. Cioè pagavate i maestri e i medici con i soldi del legname?

RS. Con i soldi della proprietà collettiva, serviva per pagare il segretario comunale, serviva per costruire le case necessarie alla gente: una casa di riposo, un asilo infantile, provvedere per la manutenzione delle strade e c’era anche un aiuto per i meno abbienti.

P. Uno stato sociale?

RS. Uno stato sociale. Era usanza, ad esempio, a chi era povero o alle donne rimaste vedove, prima dell’invero dare farina e formaggio sufficienti per arrivare in primavera

P. In qualche modo c’è un rapporto tra questa organizzazione sociale e l’uso che si fa dell’ambiente?

RS. Ci mancherebbe, è essenziale, per il fatto che se una cosa è amministrata bene dura e ha un reddito. Una cosa amministrata male si spreca in fretta.

P. Ma chi decide per esempio?

RS. Decide la comunità.

P. E chi sono?

RS. Quelli che sono eletti. Un tempo erano eletti dai capofamiglia, venivano eletti ogni quattro anni, e le cariche pubbliche non potevano essere rielettive, chi era stato eletto per un mandato doveva ritirarsi e lasciare spazio agli altri.

P. Ma questa organizzazione dell’Altipiano dei sette comuni non andava a intralciare l’organizzazione dello Stato, di cui faceva parte l’Altipiano?

RS. Venezia ci aveva lasciato tutte queste libertà, fino alla sua caduta. Infatti i nostri prodotti, che erano lana, ch’erano legname, ch’erano marmi, ch’erano carne che veniva dalle greggi e dagli allevamenti, venivano esportati nel territorio della repubblica di Venezia ed anche oltre senza nessun gravame.

P. E dopo Venezia è continuato comunque?

RS. Dopo Venezia sono arrivati gli austriaci. Gli austriaci in parte hanno conservato, ma in parte no, perché hanno iniziato con i catasti, con l’esigere il prediale.

P. Che cos’è il prediale?

RS. E’ la tassa che si paga sul terreno, perciò anche le terre di proprietà della comunità pagavano un prediale verso lo stato, che esigeva una tassa da tutti i proprietari.

P. Eleggevate anche il parroco?

RS. Sì, ed era un’antica consuetudine che il parroco veniva scelto dalla gente, dai capofamiglia che lo votavano. Ed è successo anche che dei parroci proposti non sono stati accolti.

P. Ancora adesso?

RS. C’è ancora il diritto di votazione del parroco.

P. Oltre al parroco, una parte di questo sistema di organizzazione sociale è ancora vivo con tutti i cambiamenti che ci sono stati?

RS. Adesso ci sono le previdenze sociali, le pensioni, i contributi, gli operai eccetera. E’ molto cambiato, naturalmente.

P. Ha una funzione questa organizzazione?

RS. Ha la funzione della conservazione di questo patrimonio, sono convinto che se questo patrimonio della comunità fosse diviso tra i comproprietari, nel giro di brevi anni verrebbe intaccato in materia notevole, perché ci sarebbe chi lo vuole sfruttare troppo e chi lo abbandonerebbe.

P. Ma qui nessuno vuol cambiare?

RS. No, abbiamo il diritto di uso civico e questo diritto consente ad ogni cittadino di dire la propria cosa e di opporsi se una cosa funziona male.

P. Siete proprietari ma in un certo senso diventate custodi.

RS. E’ forse meglio essere custodi che proprietari.

Vedi anche: Magnaghi, Il territorio come bene comune

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