blog di Walter Tocci, 22 giugno 2015
1. Assunzioni – E’ l’argomento più devastato dalla disinformazione. Intanto i posti disponibili non sono 100 mila ma circa 150 mila, come d’altronde ammise lo stesso governo nel documento iniziale della buona scuola. Ci sarebbero quindi la capienza e i soldi per assorbire già quest’anno quasi tutte le graduatorie a esaurimento, gli idonei e una parte degli abilitati, completando poi l’operazione con il piano poliennale.
Si poteva dare una risposta ai precari prima della “buona scuola”, come si fece guarda caso nei confronti degli imprenditori con il decreto Poletti approvato prima del Jobs Act. I fondi stanziati nella legge di stabilità consentivano di approvare già a gennaio una legge di poche righe per chiamare i nuovi insegnanti. Anche senza la legge bisognava comunque coprire 44 mila posti, anzi sarebbe un’omissione di atti d’ufficio non assumere nessuno. Le procedure dovevano essere attivate con largo anticipo, e invece si faranno le nomine in affanno ad agosto. Il governo rischia il caos all’inizio dell’anno scolastico per utilizzare i centomila come arma di pressione nell’approvazione di una legge sbagliata.
2. Autonomia. Si continua a ripetere che per fare le chiamate occorre il nuovo modello organizzativo della buona scuola. E’ falso. Già sono in vigore tutte le norme sull’organico dell’autonomia, sul potenziamento, sulle reti di scuole. Furono ben scritte nella legge n. 35 del 2012 sotto la guida di un sottosegretario competente come Marco Rossi Doria:
“Allo scopo di consolidare e sviluppare l'autonomia delle istituzioni scolastiche, .. secondo criteri di flessibilità e valorizzando la responsabilità e la professionalità del personale della scuola, con decreto del Ministro.. sono adottate.. linee guida per conseguire le seguenti finalità: a) potenziamento dell'autonomia delle istituzioni scolastiche.. ; b) definizione, per ciascuna istituzione scolastica, di un organico dell'autonomia, funzionale all'ordinaria attività didattica, educativa, amministrativa, tecnica e ausiliaria, alle esigenze di sviluppo delle eccellenze, di recupero, di integrazione e sostegno ai diversamente abili e di programmazione dei fabbisogni di personale scolastico; c) costituzione di reti territoriali tra istituzioni scolastiche, al fine di conseguire la gestione ottimale delle risorse umane, strumentali e finanziarie; d) definizione di un organico di rete per le finalità di cui alla lettera c) nonché per l'integrazione degli alunni diversamente abili, la prevenzione dell'abbandono e il contrasto dell'insuccesso scolastico e formativo, specie per le aree di massima corrispondenza tra povertà e dispersione scolastica”.
Il governo doveva quindi solo adottare le linee guida e procedere alle assunzioni. Ma era forse troppo semplice, ha preferito riscrivere le stesse norme in un confuso testo di cento pagine pur di poter dire che si faceva la riforma della scuola. Comunicare è sempre più facile che governare.
3. Alternanza scuola lavoro – Anche qui si tratta di una novità già vista. Il Parlamento aveva legiferato in materia (n. 128 del 2013), rinviando l’attuazione a un regolamento, ma il governo invece di scriverlo ricomincia da capo chiedendo una delega a scrivere il regolamento. Fa più notizia approvare una legge che attuarla. Bastava finanziare la norma esistente e occuparsi invece di come si innalza la didattica del saper fare. L’alternanza non va confusa con l’apprendistato, non è neppure un pendolo tra scuola e lavoro, ma una connessione cognitiva tra due diverse esperienze formative.
4. Più soldi agli insegnanti – I soldi promessi con la Card (spese per la formazione e la cultura) e l’incentivo individuale non compensano i tagli subiti in busta per i mancati rinnovi contrattuali e il blocco degli scatti. Bastava restituire il maltolto e gli insegnanti avrebbero speso gli adeguamenti salariali a loro piacimento. Non hanno bisogno dei consigli del governo per acquistare un libro o andare al cinema.
Sull’incentivo si sono dette tante sciocchezze. Non c’entra nulla con la valutazione, come spiegano bene gli esperti, si ridurrà a un compenso per le persone che coadiuveranno il preside nelle funzioni didattiche e gestionali, come previsto al comma 6 dell’articolo 9 del testo Camera. Anche questo strumento è già disponibile nella normativa vigente, con la retribuzione di incarichi e progetti finanziati dal Fondo MOF che però ha subito un taglio di circa il 50%. Bastava rimpinguarlo almeno con i 200 milioni previsti per l’incentivo e il governo si sarebbe risparmiato il conflitto con il mondo della scuola.
5. Cultura umanista(ica) – L’attenzione si è rivolta all’errore grammaticale dello speech presidenziale, ma è più grave il contenuto. Si complica la questione didattica invece di migliorarla. Sono ripristinate alcune discipline che erano state cancellate dalla Gelmini, dall’arte, alla musica, non la geografia chissà perché. È una meritoria intenzione ma il metodo è vecchio. Si aggiungono singole discipline che inevitabilmente vanno a restringere il tempo disponibile delle altre, senza una rielaborazione della metodologia. Si aggrava il difetto dell’attuale didattica, già troppo estensiva e poco intensiva. Il mondo nuovo richiede precisamente il contrario.
Questi cinque punti seguono le schema utilizzato dal Presidente Renzi per riassumere la “buona scuola”. Come si vede sono tutte vecchie novità, che riprendono le norme già in vigore e in molti casi le complicano inutilmente. L’unica vera novità è il potere del preside di nominare gli insegnanti. Si apre una breccia al clientelismo, all’aumento delle diseguaglianze, alle scuole di tendenza ideologica proprio mentre premono alle porte i fondamentalismi, come si è visto nella manifestazione dei cattolici integralisti. Soprattutto, la chiamata diretta conferisce al preside il potere illegittimo di derogare le graduatorie di merito certificate dallo Stato nei concorsi pubblici. L’insegnante perderebbe la titolarità della cattedra e quindi la libertà di insegnamento, come il lavoratore perde la tutele con il Jobs Act.
L’unica novità è l’applicazione ossessiva di uno solo al comando anche nel mondo della scuola. Nessuno dei veri problemi viene affrontato, né la riforma dei cicli, né l’abbandono degli studenti, né il neoanalfabetismo degli adulti. I centomila sono utilizzati come una clava per imporre scelte inutili o dannose. Uno, nessuno e centomila, è il titolo di un dramma che racconta lo smarrimento del protagonista.