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Manuela Pivato
Un’alluvione chiamata turismo
16 Agosto 2009
Vivere a Venezia
Per ricordare la seconda minaccia di morte che grava su Venezia (dopo il MoSE). Da la Nuova Venezia del 5 novembre 2006

Quarant’anni dopo, l’alluvione è corporea, asciutta e costante. E’ fatta di milioni di passi che consumano, di mani che toccano, di umori che corrodono ma che rendono talmente bene e in modo talmente ecumenico da farla sembrare un’alluvione salvifica. La prima contraddizione è la più fragorosa. Con i 15 milioni di turisti che arrivano ogni anno in laguna ci mangiano in molti, e in molti ci banchettano, quindi è assai dura per la stragrande maggioranza dei veneziani dire che i turisti sono sgraditi o, peggio, nocivi.

I turisti ci sono sempre stati ma poichè il numero dei veneziani si è dimezzato mentre gli spazi della città sono rimasti pressochè uguali, la differenza al netto se la sono pappata i foresti. Nessuno, a onore del vero, li ha fermati. Venezia, anzi, continua ad accoglierli come se non avesse aspettato altro tutta la vita, sgranando una varietà di attrazioni come fosse una maga che fa giochi di prestigio su se stessa.

Con tre stanze e un bagno decente, oplà, gli appartamenti si trasformano in bed & breakfast. Con sette stanze si ha diritto a un alberghetto. Con un palazzo dismesso si può ambire a un albergone a cinque stelle. Compri un cinema e fai un ristorante. Prendi una panetteria e la converti in un emporio di maschere. Hai un banchetto della frutta e spunta un trabiccolo di souvenir. Incredibilmente, sembra che ancora ci sia posto per tutti.

Però fino a un certo punto. Gli stessi albergatori ora guardano perplessi al proliferare dei bed & breakfast. Mille posti letto in più in un anno, così, come fosse niente. A modo suo, tuttavia, il B&B ha ancora qualcosa di umano perchè per legge nel B&B il veneziano dovrebbe anche abitarci. Nell’appartamento invece no e ogni appartamento in più per i turisti è un appartamento in meno per i residenti.

Ora che il problema del turismo è anche e soprattutto fisico è rispuntata la manfrina del ticket. La città, corentemente, si è subito spaccata e si è fatto un gran baccano puramente teorico anche se il sindaco Cacciari propende per il sì visto che nelle casse del Comune non c’è un euro.

Prima, però, dovrà farla digerire a categorie - come ad esempio quella degli esercenti - refrattarie a tassare ulteriormente i turisti che saranno anche sporcaccioni però a Venezia pagano anche l’aria che respirano. Per interrompere il meccanismo perverso che lega la città ai suoi ospiti qualcuno dice che ci vorrebbe un genio o un pazzo che non guarda gli interessi di nessuno. Qualcuno, come spiega Franca Coin, in grado di rompere l’immobilismo che paralizza Venezia. «Ho grande rispetto per Cacciari, però qui non succede nulla - dice Franca - Un turismo con 15 milioni di visitatori è una ricchezza fantastica ma perchè nessuno è in grado di gestirla?».

Prendi i rifiuti. La sola Piazza San Marco produce ogni giorni venti metri cubi di monnezza prodotta dai turisti. In tutto il centro storico sono 70 mila tonnellate all’anno. Ogni pendolare costa a Vesta un euro al giorno. Però per fare la pipì non in un sottoportico, ogni pendolare spende un euro a minzione. A fine giornata è un salasso.

Quarant’anni dopo, per l’acqua alta ci sono sedici sirene, un centralino automatico, cinque chilometri di passerelle, stivali di gomma floreali col tacco e Sms che arrivano in tempo reale a 7.300 abbonati. Per l’alluvione fisica ci sono sei vigili a Piazzale Roma e sei in Piazza San Marco. Ci sono cartelli che suggeriscono il comportamento da adottare ma, poco elegantemente, sono stati attaccati sui bidoni delle immondizie.

Ieri, 4 novembre di quarant’anni dopo, la massima era di 77 centimetri. Con la minima, i palazzi mostravano le gengive nere delle fondamenta ma ai turisti piacevano lo stesso anche perchè la foto era gratis.

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