Ho letto il commento di eddyburg sulla proposta di legge Mariani di riforma del governo del territorio ( eddytoriale n. 102) e lo condivido quasi completamente. Penso che siano stati introdotti sostanziali correttivi alla precedente proposta. Trovo giusti anche i rilievi avanzati, sia di tipo linguistico (ma poi non tanto), sia quelli relativi alla delega alle regioni di argomenti che dovrebbero essere invece stabiliti a livello nazionale (come la salvaguardia e il rispetto degli standards).
C’è però un punto che mi sembra sottovalutato. Si tratta del tema del ruolo del privato nell’attuazione della pianificazione operativa aperto dall’art. 20 denominato “concorrenzialità”. L’articolo, pur ribadendo la “titolarità pubblica della pianificazione del territorio”, consente alle regioni di istituire “forme di confronto concorrenziale” “obbligatorie” per “promuovere e selezionare capacità e risorse imprenditoriali e progettuali private e pubbliche, garantendo pubblicità e trasparenza del processo, nonché un equo trattamento della proprietà e assicurando la coerenza con il piano strutturale”.
Mi sembra un argomento della massima importanza e delicatezza che non viene regolato con la precisione necessaria. Anche nelle relazioni di accompagnamento della proposta di legge questo punto è inspiegabilmente taciuto.
E’ ovvio che una nuova forma di coinvolgimento dei privati nell’attuazione dei piani, rispetto a quella tradizionale, può essere molto utile, ma credo che si debba definire un equilibrio intelligente senza rinunciare al coordinamento pubblico delle iniziative, pena l’unità della manovra di pianificazione alla scala urbana complessiva.
Peraltro le due regioni “rosse” (Emilia Romagna e Toscana) hanno già inserito questo dispositivo nelle loro leggi di governo del territorio. Le prime sporadiche applicazioni tuttavia, a quanto mi risulta, sono discutibili. In Toscana ci sono Regolamenti urbanistici che hanno aperto una complicata fase di trattative e altri che hanno introdotto norme ambigue come le “aree a previsione urbanistica differita”, per le quali l’approfondimento delle indicazioni del Piano strategico (localizzazione delle edificazioni, degli spazi pubblici e delle infrastrutture, ripartizione delle funzioni, modalità di realizzazione) è rinviata al bando di avviso pubblico.
Segnalo due punti che mi sembrano importanti per i dubbi che sollevano.
Il primo riguarda il “progetto di città”, che la legge ribadisce essere di titolarità pubblica, ma che al contempo affida ai privati nella parte operativa, conculcando l’idea che al pubblico competa solo la definizione, sempre più vaga, “strutturale“ e “strategica” del piano.
Questa linea, che mi sembra generalizzata nell’area milanese, è stata difesa nelle regioni “rosse” con lo slogan “piano pubblico e progetti privati”: è una linea che contrasta con la tradizione della pianificazione urbanistica e con i risultati del dibattito culturale e della prassi del buongoverno delle città europee degli ultimi trent’anni, come dimostrano le più acclamate esperienze (da Barcellona a Parigi e alle altre città francesi e spagnole), nelle quali le grandi operazioni di trasformazione urbanistica hanno avuto sempre oltre ad una forte regia pubblica anche un “disegno” pubblico delle localizzazioni e delle modalità di trasformazione. Abbandonare il controllo delle localizzazioni e delle modalità di trasformazione ai privati perché non si riesce ad operare con gli strumenti intermedi tradizionali di attuazione mi sembra un’approssimazione molto riduttiva, con due rischi: da un lato quello di non considerare gli effetti sociali ed ambientali complessivi delle trasformazioni (che solo un punto di vista generale può prendere in considerazione); dall’altro quello di sminuire il valore innovativo della perequazione trasformandola da strumento che dovrebbe garantire un organico disegno urbanistico con la distribuzione equilibrata di vantaggi e oneri in semplice patto economico fra operatori.
Il secondo punto riguarda i principi di “concorrenzialità” e “trasparenza”.
Siamo sicuri che la trasposizione di un dispositivo tipo appalto dei lavori pubblici alla sistemazione delle città (cioè ad azioni di grande complessità con riflessi sulla struttura sociale ed economica) possa funzionare meglio di quanto gli appalti funzionino oggi e in condizioni di maggior “trasparenza”? E’ giusto non definire i criteri di selezione delle diverse proposte e lasciare che ogni regione decida magari delegando ai comuni per quel malinteso principio di “federalismo” oggi tanto in voga? E’ giusto non introdurre, parlando di “trasparenza”, degli obblighi di reale partecipazione non tanto dei proprietari e degli imprenditori interessati alle operazioni, ma degli abitanti coinvolti? Ed è giusto generalizzare l’attuazione dei piani in quel modo o non è meglio limitarla a casi precisi e pensare a munire i comuni di strumenti e mezzi più idonei alla trattativa definendo forme di rafforzamento delle strutture tecniche (ad esempio, nel caso di comuni piccoli, forme di associazionismo obbligatorio ed economicamente assistito, compartecipazione delle altre istituzioni per il principio di sussidarietà, ecc.)?
Infine, non credo ci sia bisogno di insistere sul fatto che sguinzagliare lo strumento dell’avviso pubblico fra privati per l’attuazione delle previsioni (come una specie di “asta dei diritti edificatorii” come è stata definita) senza disciplinarlo adeguatamente rischia di ingenerare uno stato di confusione e di incertezze (criteri di giudizio e di selezione fra le proposte, varianti ai piani, trattativa continua) che possono aprire la porta a pressioni indebite.
Penso comunque che su questi argomenti sia necessario e urgente raccogliere altri elementi di valutazione. Ti segnalo al riguardo che al dipartimento di urbanistica e pianificazione del territorio dell’università di Firenze intendiamo promuovere un seminario sul tema del rapporto pubblico/privato verso la fine di maggio del quale a parte ti invio il programma in bozza.
Le preoccupazioni di Marco Massa sono del tutto condivisibili. Si dimentica spesso in Italia che la proprietà immobiliare non è l'impresa, e che è sbagliato voler introdurre regole proprie del mercato concorrenziale in un ambiente economico che del mercato concorrenziale ha poco o nulla. Comunque, la p.d.l. firmata dall'on. Mariani e da moltissimi altri deputati dei DS e di DL è stata - da nostre informazioni - ulteriormente modificata. Speriamo di poterla mettere a disposizione dei nostri lettori nei prossimi giorni. Allora la valutazione potrà essere più completa.