UIl manifesto, 15 marzo 2013
Che il Presidente della Repubblica si preoccupi di conservare l'equilibrio tra i poteri dello Stato fa parte delle sue funzioni fondamentali. Che cerchi di incanalare nell'alveo costituzionale situazioni pericolose per le istituzioni democratiche è comprensibile. Ma francamente e con tutto il rispetto dovuto ad un Presidente che ha saputo svolgere il suo ruolo in maniera equilibrata e positiva, il primo dei due comunicati, emesso al termine dell'incontro con la delegazione del Pdl sembra rispondere più ad una logica di equidistanza che di equilibrio. E contiene una dose di ambiguità, che ha permesso interpretazioni disparate e sbilanciate delle sue parole. Intanto il Presidente riprende nel suo messaggio posizioni note e già manifestate in passato sul senso di equilibrio e di responsabilità e sulla necessità di evitare conflitti tra politica e magistratura.
Ma la situazione che doveva a fronteggiare non era quella di un conflitto provocato da posizioni assunte dalle due parti, da richiamare entrambe all'ordine e al rispetto della Costituzione. No. Il contesto era quello di una intimidazione al potere giudiziario, più precisamente a giudici che stanno conducendo processi prossimi al giudizio finale, condotta da un folto gruppi di parlamentari che sono penetrati nel palazzo di giustizia di Milano e sono arrivati fino all'aula in cui si sta svolgendo uno di quei processi. Qui c'è poco da disquisire: siamo ai limiti dell'eversione costituzionale. E che in futuro potrebbe legittimare altri gruppi sostenitori di imputati a occupare le sedi degli uffici giudiziari e a intimidire i magistrati. Insomma sono il potere giudiziario e la sua indipendenza ad essere sotto tiro. E allora va bene l'equilibrio, ma non l'equidistanza. Il "rammarico" per la manifestazione doveva consistere in una ferma e netta condanna a difesa dell'indipendenza della magistratura e doveva essere la questione centrale sulla quale il Capo dello Stato, anche nella sua veste di Presidente del CSM, doveva mettere l'accento.
In secondo luogo i riferimenti alla magistratura, al suo dovere di agire con equilibrio e di rispettare i diritti della difesa e i principi del giusto processo in astratto sono certo condivisibili. Ma il guaio è che essi non potevano fare astrazione dalla situazione concreta che si era determinata e quindi riaffermarli in quella situazione correva il rischio, che poi si è tradotto in realtà nelle interpretazioni date dal PDL e da Berlusconi, ma anche nello sconforto che si è manifestato all'interno della magistratura, di lasciar intendere che i magistrati che stanno facendo i processi, o almeno alcuni di loro, li stanno conducendo senza rispettare appieno i diritti e i principi succitati. E allora sarà bene ricordare che l'ingorgo processuale che si è determinato a carico dell'imputato Berlusconi è derivato dal fatto che leggi varie ad personam e continue manovre dilatorie hanno fatto sì che processi nati in momenti diversi e per reati diversi sono arrivati a convergere temporalmente all'indomani delle elezioni. Quanto poi al legittimo impedimento, più volte e ripetutamente invocato dalla difesa, è opportuno ricordare che la legge del 2010, che stabiliva un trattamento di favore per i membri del Governo, è stata prima sfrondata dalla Corte Costituzionale, poi abrogata da uno dei referendum del 2011 con la maggioranza del 94,6% dei voti. E quindi ai titolari di cariche pubbliche si applica il diritto comune, che prevede certo il legittimo impedimento per il cittadino impossibilitato a partecipare all'udienza, ma anche che il giudice possa far accertare l'effettiva sussistenza e consistenza dell'impedimento. Cosa che il tribunale di Milano ha fatto e che l'ha indotto tra l'altro, disattendendo l'opinione dei PM, a rinviare per due volte l'udienza. Altro che accanimento giudiziario!
Infine la parte sicuramente più ambigua del comunicato presidenziale è quella che sostiene la necessità per il PDL "di veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già in pieno svolgimento" e in particolare agli adempimenti costituzionali previsti fino a metà aprile. Cosa significa? Forse che i giudici dovevano rinviare a quella data le future udienze, resuscitando il legittimo impedimento previsto da una legge cancellata dal corpo elettorale non per situazioni concrete ma per periodi prolungati di tempo? Il Presidente ha contestato questa interpretazione con una lettera a Repubblica, un quotidiano certo non sospettabile di ostilità nei suoi confronti. Ma la sue prime parole si prestavano o no ad un'interpretazione che è stata data non solo da Repubblica, ma anche da organi di stampa e esponenti del PDL e da molti magistrati? Tant'è che, appena il tribunale di Milano ha fissato il nuovo calendario delle udienze, è stato subito accusato di avere violato le indicazioni date dal Capo dello Stato. Ora il Presidente ci dice che così non è e questo è un bene e ne va preso atto. Ma in questa vicenda c'è un bene supremo da tutelare: l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla giurisdizione, che non può essere inflessibile per i poveri Cristi e di mani larghissime per gli imputati "eccellenti". E ancora c'è da tutelare lo Stato costituzionale di diritto, che non può consentire a nessuno di dichiarare che la magistratura è peggiore della mafia e che chi è stato votato dal popolo non deve rispondere dei reati commessi. Sono certo che il Presidente Napolitano, che ho avuto modo di apprezzare durante la mia permanenza al CSM, condivide quei beni supremi e nella sua lettera a Repubblica li ribadisce. Ma se dovesse continuare l'aggressione del PDL alle istituzioni giudiziarie, non è possibile alcuna via di mezzo: le parole del Presidente dovrebbero risuonare alte e forti in difesa dell'indipendenza della magistratura messa sotto attacco.