Il manifesto, 27 maggio 2014, con postilla
I poveri sondaggisti anche questa volta avevano immaginato un altro mondo (l’astensione a valanga, il testa a testa tra Renzi e Grillo…), ma a parziale discolpa della loro inaffidabilità bisogna dire che sono stati sommersi, più che dal ridicolo, da una vera e propria onda anomala, apparsa a una certa ora della notte accanto alla casella del Pd: 40,8%. Quando un partito in un anno quasi raddoppia c’è molto da capire ma una cosa è chiara: siamo di fronte a un risultato elettorale che cambia i connotati a tutto il sistema politico.
In realtà questa febbre a 40 realizza la famosa vocazione maggioritaria di Veltroni, con ex dc e ex pci nucleo centrale di un trasversalismo destinato a produrre una mutazione genetica. Ha la febbre alta il paese che, dopo Berlusconi, dopo Grillo conferma l’anomalia italiana affidandosi al leader vincente, alla stabilità di governo.
Da oggi abbiamo davanti una sfida per tutti. A cominciare dall’uomo solo al comando che deve governare tenendosi in equilibrio sull’imponente onda anomala che egli stesso ha sollevato, dimostrando di saper gestire un sostanziale monocolore: la cura prevede le riforme costituzionali di stampo presidenzialista, i sindacati al tappeto con l’imposizione del lavoro precario per tutti. Da domani Renzi non potrà più tirarsi fuori dai disastri del paese addebitandoli ai suoi rottamati predecessori.
Il populismo di governo ha pagato più del populismo di opposizione, e dunque è una sfida anche per Grillo. L’ex comico ha lavorato per il nemico provocando la reazione del “voto utile” contro le urla e gli insulti. Molti, a sinistra, preoccupati di disperdere il voto, si sono turati il naso e hanno votato Pd per scampare un pericolo maggiore. Grillo deve scegliere se continuare a invocare improbabili caroselli intorno al Quirinale, se insistere con la politica del “vaffa” o traghettare i sei milioni di voti (un potenziale grandissimo) in una strategia parlamentare capace di trasformare la forza elettorale in alleanze, battaglie e obiettivi concreti. In Italia come in Europa.
Il trionfo renziano è, infine, una sfida per la sinistra di Tsipras. Dopo aver vinto la scommessa europea con i tre parlamentari italiani eletti a Strasburgo, ora le donne e gli uomini che in pochi mesi hanno creato questa esperienza politica dovranno capire come collocarsi nell’inedito scenario italiano.
L’analisi del voto rileva un potenziale molto al di là della sofferta soglia del 4% (il 5 a Palermo, l’8 a Bologna, il 6 a Roma il 9 a Firenze), testimoniato anche dal consenso ai candidati (molti i giovani) e ai capilista. Senza maratone televisive, forti del prestigio personale e delle lotte sul territorio hanno oltrepassato le 30 mila preferenze. Vincere controcorrente è un buon segno.
L'autrice afferma che le donne e gli uomini della lista di Tsipras «dovranno capire come collocarsi nell’inedito scenario italiano». Mi sembra che molti elementi della scelta siano già chiari. Quelle donne e quegli uomini si collocano a sinistra, dalla parte della maggioranza del popolo, quella che paga il prezzo maggiore a causa delle scelte funeste dei governi degli stati europei, e della stessa loro espressione sovranazionale: quelli che non hanno trovato lavoro o l'hanno perduto, quelli cui è stato ridotto l'accesso al welfare o al godimento della pensione. Si collocano dalla parte di quella miriade di associazioni, comitati, gruppi di cittadini che si sono uniti in mille avventure di difesa di beni comuni, a livello locale o associati in reti a livello nazionale o sovranazionale, che hanno imparato a denunciare, protestare e proporre insieme per una città più equa e più bella. Si collocano sulle posizioni di una sinistra radicale, nel senso che vuole andare alla radice delle cose per combattere le cause di fondo che hanno generato la crisi del sistema e la sofferenza dei più: una posizione, quindi, anticapitalista particolarmente contraria alla forma attuale che il sistema capitalistico ha assunto: il "finanzcapitalismo". Sono chiare anche le proposte precise che quelle donne e quegli uomini hanno sostenuto sia quelle per le cose da fare con conseguenza più vicine nel tempo che in quelle in prospettiva. Sarebbero note a tutti se i media avessero fatto il loro lavoro e non si fossero appiattiti sulle esigenze del Palazzo e su quelle della "pronta cassa" e avessero dato spazio alla presentazione e alla discussione dei programmi.
Molte cose, però, bisogna ancora sceglierle, e alcune contraddizioni superate, se si vuole dare un futuro all'esperienza della lista Tsipras.
Intanto, bisognerebbe porsi alcune domande. Come mai il voto ottenuto dalla lista Tsipras è inferiore alla somma dei voti ottenuti in precedenza dai due partiti che erano entrati, insieme ai gruppi di cittadini, a sostegno della lista? Come mai così pochi voti sono venuti dal bacino costituito dai voti espressi in occasione dei referendum in difesa dei beni comuni e delle mille battaglie locali o su singoli temi? Che ruolo ha svolto la presenza di PRC e SEL nella lista, che da una parte ha fatto prevalere in molti potenziali elettori lo spirito dell'"antipolitica", dall'altro lato ha portato alla lista un contributo d'impegno personale e organizzativo senza il quale non si sarebbe raggiunto nemmeno il numero di firme necessario per la presentazione della lista? Che peso ha avuto, sull'altro versante, la difficoltà dei movimenti di superare il carattere meramente locale o settoriale della singola iniziativa per cogliere il nesso tra le diverse questioni, e comprendere che i mille anelli che imprigionano la possibilità di una società migliore sono parte di una sola catena, e quindi possono essere affrontati solo con una visione (e un'organizzazione) politica dei problemi?
Per rispondere a queste domande occorre certamente riferirsi al quadro generale: al perché del trionfo di Matteo Renzi e della sua conchiglia, il PD, e al perché del fallimento della formazione che ha dato voce più matura e ampia alla protesta (nonché dell’aberrazione rappresentata dall’ancora cospicuo numero di italiani che vota per il reo di evasione fiscale plurimiliardaria). E bisogna poi domandarsi in che modo superare quella che è senza dubbio la causa prima dei limiti della vittoria della lista Tsipras: il tradimento dei media, il silenzio gettato sulle proposte, e sulla stessa esistenza della lista Tsipras. Il peso di questo tradimento è testimoniato dal vistosissimo divario tra i voti ottenuti dalla lista nelle città, dove funziona la comunicazione tradizionale, e quelli raccolti nel resto del territorio, dove l’unica voce è la grande stampa e la televisione. Ecco alcuni esempi: nel Veneto, 2,7 %, a Venezia, 5,83%, Padova 5,62%, Vicenza 4,62; Emilia-Romagna 4,07%, Bologna 8,89%; Trentino-AA 6,66%, Bolzano 8,92%; Friuli-VG 3,70%, Trieste 5,95%; Lombardia 4,93%, Milano 6,48%, Toscana 5,12%, Firenze 8,91% Lazio 4,68 %, Roma 6,16%; Campania 3,80%, Napoli 5,67%. Ma sarebbe interessante fare un'analisi seria della distribuzione territoriale dei voti. Da essa risulterebbe comunque con evidenza che la prima domanda nella quale dovrebbe rispondere chi volesse proseguire l'esperienza della lista Tsipras è: come attrezzarsi per superare il deficit d'informazione: dando per scontato il tradimento dei media (salvo recupero quando si sarà sconfitta l'egemonia del neoliberismo). La discussione è aperta. (e.s.)