Ci sono almeno due buone ragioni per sostenere la proposta avanzata da Carlo Petrini su Repubblica del 18 gennaio ( in consonanza con quanto scriveva Paolo Berdini sul manifesto) nella quale il presidente di Slow Food invoca una moratoria generale nel consumo di suolo in Italia. La prima di questa riguarda la natura del fenomeno. La distruzione del territorio, la cementificazione del suolo agricolo è un fenomeno pressoché irreversibile. Una volta ricoperto di alsfalto o di manufatti quel territorio sarà perduto all'agricoltura e all'ambiente chissà per quante generazioni. Non è la stessa cosa per altri fenomeni. I colpi inferti all'Università pubblica in questo ultimo decennio, ad esempio, e lo stesso ddl della Gelmini, possono essere sanati, anche in tempi relativamente brevi, se uno schieramento politico democratico cancellerà, con una iniziativa legislativa, questa pagina infausta della nostra storia recente. La partita che si gioca sul territorio ha un'ampiezza temporale che trascende la nostra vita. Petrini spiega bene le ragioni profonde di questa difesa. Il manifesto del 28.11.2010 ha dedicato ampio spazio al tema, sotto la sigla del “nuovo ambientalismo” introdotto da Asor Rosa e Viale. Ma occorre ritornare sull'argomento.
E' noto che gli economisti di tutte le fedi e tendenze, vedono nell'industria delle costruzioni il cosiddetto “ volano” “per fa ripartire la crescita”, come se la presente crisi fosse una “congiuntura” qualsiasi. Quindi, oggi incombe sul nostro territorio una minaccia supplementare. Ebbene, io credo che occorre battere questa argomentazione sul suo stesso terreno. Essa è infatti figlia dell'attuale capitalismo del breve termine, che guarda all'immediato, a quello che potrà incassare domani o dopodomani, senza nessuna considerazione non dico dell'avvenire, ma di quello che accadrà fra 5-10 anni. Anche se i suoi menestrelli non fanno che inneggiare al grande futuro della modernità che ci attende. Agli economisti e ai costruttori si può ricordare che il restauro delle nostre città, il rifacimento di tante nostre desolate periferie, potrebbero costituire opportunità di investimento senza consumare altro suolo. Non minori occasioni potrebbero offrire oggi le piccole opere, destinate a bonificare e riparare gli innumerevoli habitat devastati della Penisola.
Ebbene, ciò che occorre dire con chiarezza, sul piano strettamente economico, è che una tendenza inarrestabile dall'industria manifatturiera è quella di produrre merci con sempre meno valore. L'aumento crescente della produttività, l'entrata in scena sul mercato mondiale dell'industria cinese e asiatiche, del Brasile, fra poco dell' India, stanno già producendo un effetto ben noto: la riduzione del fenomeno della scarsità che dà valore alle merci. I capi di abbigliamento che ormai si possono comprare sulle bancarelle anche a pochi euro testimoniano di questa realtà già in atto. Certo, l'industria innoverà continuamente i suoi prodotti, per creare una scarsità artificiale, ma un oceano di merci invendute dilagherà intorno a noi a prezzi popolari. E' questo il destino della produzione manifatturiera nei prossimi anni: inseguire una novità, una unicità di prodotto nel mare delle merci standardizzate con sempre meno valore.
Esattamente per questa ragione, in Italia, dovremmo guardare al nostro territorio come a un patrimonio destinato a vedere crescere esponenzialmente il suo valore: valore che nella nostra epoca tenderà sempre più a rifugiarsi nei servizi e nei beni industrialmente non riproducibili. Il pregio del territorio da noi è già elevato per ragioni demografiche e per le devastazioni accumulate, in certi casi è unico per ragioni naturali, storiche ed estetiche, ma diventerà ben presto inestimabile per via della domanda mondiale che ne farà richiesta. Milioni di nuovi ricchi, russi, cinesi, brasiliani, ecc vorranno ben presto possedere una villa sulle Langhe, in Val d'Orcia, nelle Cinque terre, sul Lago di Como, vicino ai templi di Paestum o di Agrigento, per passarvi una settimana l'anno o per godersi una dorata vecchiaia. Ma verranno in Italia anche per poter godere dei nostri formaggi, del sapore della nostra frutta, per l'eccellenza dei nostri vini, per la straordinaria varietà delle nostre cucine locali. Vale a dire, ci chiederanno tutto ciò che è frutto del nostro suolo agricolo, quello che noi continuiamo a distruggere per alimentare lo sviluppo.
E' evidente, dunque, che abbiamo di fronte una grave minaccia, ma anche una grande opportunità. Il nostro suolo diventa sempre più prezioso e occorre pensare a forme collettive di accoglienza per chi ne fa domanda. Ma dobbiamo trovare forme concertate di decisione democratica del suo uso – non solo a livello locale - per rispondere a una così vasta ed elevata pressione. Altrimenti, nel giro di qualche decennio, tutto sarà compromesso e forse perduto.
La seconda ragione per sostenere la proposta di Petrini riguarda la modalità del fare oggi politica. Su questo punto occorrerà ritornare con altra lena. Ma intanto chiediamoci: che cosa possono fare in positivo le tante organizzazioni attive oggi nei territori del nostro Paese, spesso protagoniste di esperienze di vera democrazia partecipata a livello comunale? Come superare la drammatica separatezza che domina la scena italiana: tra la straordinaria, benché frantumata e dispersa, conflittualità sociale e la sua rappresentazione e voce nel cuore dello Stato? Oggi non possiamo contare su un partito d'opposizione, che non solo non riesce a svolgere la sua funzione istituzionale, ma non possiede nè la cultura, né l'orizzonte progettuale per questo genere di problemi. Occorre allora pensare a strumenti sempre più mirati di pratica politica, in cui dalla società si entra direttamente nelle istituzioni, mirando a trasformare i bisogni popolari e le ragioni delle lotte in leggi generali cogenti per tutti. Quel che oggi infatti occorre aggiungere alla vasta e dispersa sinistra sociale disseminata nei territori, o divisa in varie istituzioni, è la capacità di percorrere il tratto finale del conflitto politico: vale a dire la capacità di imporre scelte di governo. La mobilitazione per l'acqua pubblica, ad esempio, va esattamente in tale direzione. Certo, non sempre si presentano situazioni e possibilità così limpide per far valere lo strumento referendario. Ma occorre rammentare che la nostra Costituzione prevede la legge di iniziativa popolare: uno strumento che gli esperti dovrebbero aiutarci a utilizzare anche per la salvezza del nostro territorio: bene comune per eccellenza. E' vero che a valle si troverà poi la strozzatura di un Parlamento indifferente o apertamente ostile. Ma non bisogna dimenticare che le lotte così finalizzate hanno il merito di unificare le forze, di radunare conflitti e speranze sotto un orizzonte comune. E al tempo stesso schiudono tra le masse popolari e il ceto politico di governo divaricazioni sempre più nette e alla lunga insostenibili.
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