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Dolores Hayden
Una guida allo Sprawl
10 Settembre 2004
Megalopoli
Estratti da: Dolores Hayden, A Field Guide to Sprawl, Norton & Co., New York-London 2004, un glossario illustrato e critico dei neologismi e dell'ambiente che gli americani considerano ahimé "quotidiano". Con qualche consliglio perché non sia più così (fb)

Questo pezzo doveva, in origine, essere una recensione a un libro uscito qualche settimana fa. Poi ho pensato che probabilmente molti lettori di Eddyburg avevano già letto la recensione (un po’ modaiola ma esaustiva a modo suo) di Patricia Leigh Brown su La Repubblica/New York Times del 30 giugno scorso. E alla recensione si è sostituita questa proposta di estratti dalla prima parte “teorica” del volume, alla quale segue un dizionario illustrato (da magnifiche/tragiche foto aeree) dei neologismi da sprawl suburbano. E guardando certi panorami pedemontani o di frangia rappresentati nelle foto di Jim Wark, qualche segno anche all’osservatore europeo sembra familiare. Purtroppo. (fb)

Titolo originale del capitolo Decoding Everyday American Landscapes – estratti e traduzione di Fabrizio Bottini

Una guida pratica allo Sprawl?



Parole come città, suburbio e campagna, non colgono più la realtà dell’urbanizzazione negli Stati Uniti. La maggior parte degli americani abita paesaggi metropolitani complessi, stratificazioni di zone omogenee, strisce e centri commerciali, parchi industriali e terziari, autostrade.

La diffusa insoddisfazione per l’edilizia speculativa ha generato molte critiche, ma spesso mancano termini precisi per definire gli elementi fisici dello sprawl. Se gli storici dell’arte scrivono dizionari illustrati di architettura, e gli urbanisti definiscono gli usi del suolo con termini legali, i costruttori creano un gergo vivace per discutere i loro progetti. Il vocabolario essenziale per dibattere le questioni correnti dell’edilizia comprende non solo parole familiari, come lottizzazione, strada, parcheggio, ma anche i termini più esotici di growth machine [il meccanismo inesorabile della crescita quantitativa n.d.T.], ruburb [gioco di parole che sta per “suburbio rurale”], category killer [tipo di mega negozio specializzato discount], privatopia, duck [edificio che serve anche da insegna architettonica della funzione contenuta], tower farm [raggruppamento di ripetitori per telecomunicazioni].

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Lo spazio costruito esprime le priorità materiali e politiche di una società. Sparpagliate per il paesaggio, le forme di insediamento residenziali e commerciali tipicamente americane e auto-orientate sono spesso chiamate sprawl. Il Collegiate Dictionary Merriam-Webster decima edizione definisce sprawl un verbo transitivo: “causare il distendersi in modo casuale o disordinato”. È una buona definizione generale, perché si concentra sul processo. Lo sprawl è una crescita non regolata che si esprime come disordinato uso del suolo e di altre risorse, oltre che abbandono di aree edificate di vecchia data. Mentre gli analisti delle politiche dibattono la cause e conseguenza dello sprawl, molti pianificatori e ambientalisti usano correntemente definire il fenomeno come processo di urbanizzazione su larga scala che produce un edificato a bassa densità, sparso, discontinuo, dipendente dall’auto, abitualmente alla periferia di sobborghi di più vecchia data in declino, o centri città in riduzione.

Durante la seconda metà del ventesimo secolo, gli Stati Uniti sono divenuti prevalentemente suburbani: le autostrade interstatali hanno dominato l’intervento pubblico, mentre l’edilizia orientata all’uso dell’automobile e a quello dei parcheggi, con zone residenziali omogenee, grandi catene di ristorazione fast-food, zone a uffici, centri commerciali, domina quello privato. Nel 2004, le località di tipo suburbano hanno superato quelle urbane in numero di residenti, elettori, offerta di nuovi posti di lavoro. Lo sprawl produce paesaggi ad una scala più adatta alle automobili e ai camion che agli esseri umani, paesaggi caratterizzati da ampie strade, nastri commerciali senza fine, piccoli baccelli di insediamenti monouso (come lottizzazioni residenziali o centri commerciali) e poco spazio aperto pubblico. La storica Lizabeth Cohen ha delineato come gli Stati Uniti si siano sviluppati in una “repubblica di consumatori” nel periodo seguente la seconda guerra mondiale, una società basata sul consumo di massa di automobili, abitazioni, beni industriali, molti di questi progettati per una rapida obsolescenza. Lo spreco evidente è parte dello sprawl, come si può vedere nel cattivo uso della terra, con i cimiteri delle automobili, le discariche traboccanti, l’esportazione dei rifiuti. Il visibile deterioramento dell’ambiente è pure una parte essenziale dello sprawl, che appare in forma di antichi sobborghi in decadenza, edifici abbandonati, sistemi di trasporto collettivo in declino o abbandonati. Nonostante lo sprawl possa apparire abbastanza ovvio allo sguardo nelle periferie metropolitane, dove la nuova edilizia speculativa è comune, i centri città più vecchi pure rivelano gli effetti dello sprawl, perché in un’economia organizzata su nuove costruzioni e rapida obsolescenza, le zone urbanizzate sono spesso lasciate andare in pezzi.

Osservare lo sprawl come processo è un esercizio di comprensione dell’habitat. C’è bisogno di capacità di osservazione, e di ascolto. Come storica delle città, e architetto di formazione, per prima cosa ho imparato a individuare i segni dell’edificazione che arriva in spedizioni sul campo ai tempi dell’università. Una ruspa che scava buchi per un test di drenaggio in una zona residenziale indica che qualcuno sta chiedendo l’autorizzazione per un edificio o un quartiere. Mucche a pascolare vicino a cartelli che recitano “Lotto in vendita, Destinazione commerciale”, seguiti dai paletti da geometra tra l’erba, e dall’installazione di impianti illuminanti da autostrada lì vicino, significa cambio di destinazione da agricola a grande negozio discount o centro commerciale. Spesso la velocità delle demolizioni e delle costruzioni sorprende i miei vicini. Gli uffici urbanistici locali archiviano autorizzazioni e progetti, ma pochi residenti li studiano con diligenza. Quando compare la scritta “Chiusura per fallimento” su attività a gestioni familiare che hanno prosperato per decenni sulla piazza del villaggio o sulla via principale, di solito è troppo tardi perché i comuni cittadini possano intervenire.

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La Guerra dello Sprawl

La Real Estate Research Corporation pubblicò The Costs of Sprawl nel 1974, un monumentale rapporto sui problemi creati ad abitanti e governi locali dallo sviluppo non pianificato dell’urbanizzazione residenziale e commerciale a bassa densità. Nel 1998 The Costs of Sprawl-Revisited ampliava queste considerazioni. Ma la critica più acuta dello sprawl, negli anni ’70 fu la monografia di Mark Gottdiener, Planned Sprawl: Private and Public Interests in Suburbia, un’analisi dell’edificazione a Long Island. Gottdiener esaminava la speculazione nell’industria edilizia, concludendo che gli ambienti edificati che apparivano visivamente caotici erano spesso il risultato di deliberate strategie di impresa per massimizzare i profitti. Egli sosteneva che lo sprawl avesse radici profonde nella politica economica del capitalismo avanzato, dove la produzione di spazi vendibili o affittabili univa gli interessi delle banche, delle assicurazioni, dell’impresa edilizia.

Fra gli anni ’70 e ’90 molti gruppi si sono cimentati nella guerra allo sprawl, come il Sierra Club, il Lincoln Institute of Land Policy, il National Trust for Historic Preservation. Hanno difeso le frontiere della crescita in Oregon, salvato fattorie in Vermont, combattuto battaglie contro i negozi big-box nello Iowa. Il Natural Resources Defense Council ha scritto: “L’urbanizzazione a sprawl divora fattorie, pascoli e foreste, trasformandoli in nastri commerciali e lottizzazioni che servono più alle automobili che agli uomini”. Negli anni Novanta mentre la crescita economica alimentava uno sviluppo incontrollato sulle fasce esterne di tutte le maggiori aree metropolitane, gli ambientalisti hanno costruito sfide legislative allo sprawl, sostenute sia dai Democratici che dai Repubblicani a livello locale, statale e federale. Cento organizzazioni hanno formato una coalizione: Smart Growth America.

Mentre gli attivisti parlavano con fiducia di smart growth, di sprawl-busting, di sprawl-solving, le loro vittorie stimolavano i conservatori a riorganizzarsi, in particolare dopo l’elezione a Presidente di George W. Bush nel 2000. Molte lobbies economiche come la National Association of Realtors e la National Association of Home Builders si sono unite alle associazioni anti- sprawl per tentare di persuaderle ad adottare punti di vista più favorevoli al mondo degli affari. Allo stesso tempo, i think-tanks di destra, come Heritage Foundation e Reason Public Policy Institute, hanno orientato i propri sforzi alla difesa dei diritti di proprietà privata, e alla promozione di principi di “libero mercato”. Secondo loro, lo sprawl deve essere capito, come entusiastica suburbanizzazione. I conservatori sottolineano come, visto che tanti americani scelgono di vivere nei suburbi, lo sprawl deve essere popolare. Giustificano il fenomeno come effetto del libero lavorio delle forze di “libero mercato”, senza chiedersi come i sussidi federali ai costruttori e proprietari immobiliari abbiano alterato i meccanismi di mercato per più di mezzo secolo.

Il dibattito sullo sprawl si sta intensificando. I ricercatori conducono studi statistici per definirlo in termini quantitativi, analizzando densità di popolazione e distanze da aree consolidatamente urbanizzate. Allo stesso tempo, architetti, paesaggisti e urbanisti stanno sviluppando studi qualitativi per determinare le preferenze visive dei cittadini, in quanto parte della pratica di progetto per migliori quartieri. Molti progettisti enfatizzano il desiderio di molti abitanti per quartieri che siano simili alla cittadina tradizionale, con piazze verdi comuni da villaggio, ampi marciapiedi, stili edilizi tradizionali, alberature abbondanti. In Suburban Nation: the Rise of Sprawl and the Decline of the American Dream, lo studio di architettura di Miami di Andrés Duany, Elizabeth Plater-Zyberk e Jeff Speck, paragona la città americana a “una frittata non cucinata: uova, formaggio, verdure, un pizzico di sale, ma ognuno consumato crudo e a parte”. Si auspica la “creazione fisica di una società”, e la soluzione è “una miscela integrata di usi diversi dello spazio”, da realizzare attraverso la progettazione di quartieri tradizionali. Anche i californiani Peter Calthorpe e William Fulton sostengono il mixed-use nel loro Regional City, aggiungendo considerazioni più ampie sui trasporti metropolitani e la conservazione energetica. Tutti questi autori chiedono una pianificazione a scala regionale, coinvolgimento dei cittadini, iniziative pubbliche dimostrative utilizzando le proprietà immobiliari governative ai vari livelli.

Data l’enfasi sulle soluzioni in positivo, nella cultura architettonica e urbanistica, gli aspetti visivi della cultura dello sprawl hanno ricevuto troppa poca e continua attenzione. Gli architetti non hanno dissezionato in profondità le forze economiche che stanno alle spalle delle componenti costruite dello sprawl. A cominciare da God’s Own Junkyard: the Planned Deterioration of America’s Landscape di Peter Blake, pubblicato nel 1963, predominano le polemiche. Combattere lo sprawl non è solo un problema di contrastare una cattiva progettazione con una buona progettazione, creando di colpo una comunità. C’è bisogno di una più sostenuta critica economica e politica delle cause che sottostanno a quegli ambienti aridi e invivibili. La cultura visiva dello sprawl deve essere letta come rappresentazione materiale di una politica economica organizzata attorno ad un meccanismo di crescita insostenibile

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Nota: purtroppo per motivi di spazio e copyright le bellissime immagini dello sprawl dovrete vedervele direttamente sul libro (fb)

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