"». Il manifesto,
È un crocevia classico che appassionò Togliatti, che in questo si pose in netta discontinuità con l’anticoncordatario e «illuminista» Gramsci, come ricorda Giuseppe Vacca. E che tornò con forza in Berlinguer.
Il libro ripropone un momento significativo del confronto: il carteggio che nel 1977 vide impegnate le penne del vescovo di Ivrea Bettazzi e il segretario del Pci. Accanto alla convergenza individuata attorno ai condivisi «contenuti umanistici» o al riconoscimento del valore della persona, il dibattito mise in luce anche una contraddizione. Quella tra l’autodefinizione del Pci come partito laico e pluralista, con l’articolo 5 dello statuto che invece prevedeva il canone del marxismo-leninismo.
Era la celebre questione del «trattino» che per alcuni mesi vide incrociare le spade alcuni filosofi comunisti e che fu archiviato, precisa Vacca, nella revisione statutaria del 1979. Il nodo più rilevante comunque verteva sulla conciliabilità tra l’identità comunista, protesa alla critica del capitalismo in nome di istanze generali di liberazione umana, e le analoghe tensioni per il trascendimento del presente che si affacciavano nel mondo della fede, dal «laburismo cristiano» di Dossetti, al fermento dei movimenti di base sino alla proposta esplicita delle Acli di una nuova società socialista.
Su questo possibile momento di confluenza, all’interno dei grandi valori costituzionali della solidarietà e della persona come valore, aveva insistito già Togliatti, in assemblea costituente. E ancor prima, nel discorso al teatro Brancaccio di Roma nel 1944, si era spinto a proporre alla Dc «un patto comune di azione, per un programma comune».
A Bergamo nel 1963 il leader del Pci annunciò una critica della società del consumo, fonte della incomunicabilità sostanziale dell’uomo moderno, che anticipava il richiamo di Berlinguer all’austerità quale occasione per ripensare radicalmente il modello di sviluppo, gli stili e i valori di vita.
Domenico Rosati scorge una affinità tra la proposta berlingueriana di austerità come contestazione dei pilastri della società borghese e l’annuncio di Moro della stagione dei doveri. Su questi lidi di censura dell’edonismo, in nome di una emergenza antropologica, c’è il rischio di smarrire il senso anche positivo del consumo ai fini della costruzione della soggettività (il consumo con il suo nichilismo mercantile è ciò che salva il capitalismo, lo intuì già Tocqueville; e non è anche per l’incapacità di garantire il consumo di massa che invece crolla il comunismo?). Ma lo scopo della riflessione sull’austerità come «occasione» non era quello di imporre una povertà generale ma di definire il progetto di un nuovo ordine sociale con altre compatibilità, con altre qualità riconosciute del vivere collettivo.
La specificità del contributo di Sardo è che la riproposizione del tema della fede (la sua domanda iniziale è: perché solo in Italia esiste una robusta componente cattolica che non si riconosce con la destra, come accade in tutti gli altri paesi?) serve per interrogarsi sul senso della eredità del comunismo italiano dopo la fine del Pci.
Perché quello che è scomparso è la traccia di un mondo, i segnali di un pensiero, i luoghi di una comunità, travolti da quello che Sardo chiama «il riformismo subalterno» che sfida identità, memorie, cultura politica, modello di partito, radicamento sociale, idea di società.
«Quando c’era Berlinguer la politica sapeva ragionare», osserva Rosati. Oggi, con il divorzio tra politica e ragione, avanza un nichilismo sorridente che costringe gli avanzi impotenti di una grande tradizione critica ad obbedire a un tweet, a scorgere carisma in una camicia bianca, a riverire gli imprenditori, che si sa sono «gli eroi del nostro tempo», a rompere con il movimento operaio come terra insignificante, che neppure merita rappresentanza.
Riferimenti
Nell'archivio di eddyburg abbiamo un'ampia raccolta di scritti di e su Enrico Berlinguer.