La legge delega varata ieri dal Consiglio dei ministri per la riforma delle forze armate conferma le anticipazioni delle scorse settimane fatte dal ministro-ammiraglio Di Paola alle Commissioni Difesa di Camera e Senato e dal Consiglio Supremo della Difesa: tagli in 10 anni al personale militare e civile della difesa (33mila addetti in meno) per avere più risorse da destinare alle armi e alle operazioni militari all'estero.
Infatti non si parla complessivamente di tagli alla spesa ma - dice Di Paola - di «bilanciare la spesa militare in senso virtuoso» (cioè meno soldi per gli stipendi e più risorse per le armi) per una riforma da fare, bontà sua, «senza richiedere risorse aggiuntive». E Di Paola ha aggiunto che non si tratta di un intervento «lacrime e sangue»: quelle infatti le versano già operai e pensionati, mentre i generali possono sorridere ancora una volta. I tagli al personale delle Forze Armate sono buona cosa, ma se ne possono fare tranquillamente il doppio e non è necessario aspettare 10 anni per farlo, mentre un operaio a Pomigliano o a Termini Imerese il posto di lavoro lo perde in un giorno.
Mentre si tagliano, massacrandole, le spese agli enti locali, al welfare, al lavoro, alle pensioni dovremmo pure ringraziare il ministro della difesa perchè propugna una riforma «senza chiedere risorse aggiuntive». Ci mancherebbe pure che ne volesse altre di risorse oltre ai 25 miliardi che la Difesa spende ogni anno per le forze armate e ai 10miliardi che si sperpereranno nei prossimi anni per i 90 cacciabombardieri F-35. E mentre su un altro tavolo, quello della Fornero, è l'articolo 18 (quello dello Statuto dei lavoratori) ad essere sotto attacco, sul tavolo del ministro Di Paolo è l'articolo 11 della Costituzione che va a farsi benedire. Cosa hanno a che fare con quegli articoli della Costituzione che dicono che «l'Italia ripudia la guerra come mezzo per dirimere le controversie internazionali» (art. 11) e che compito delle forze armate è la «difesa della patria» (art. 52), i 90 cacciabombardieri d'attacco F35 (arma del primo colpo, il famigerato first strike, capaci inoltre di trasportare ordigni nucleari), fiore all'occhiello del nuovo modello di difesa proposto dal ministro della difesa?
Il bilanciamento della «spesa militare in senso virtuoso» significherà sostanzialmente un aumento della spesa per i sistemi d'arma (come appunto i cacciabombardieri F35, ma anche le fregate Fremm e Orizzonte, i sommerbili U-212) e per le missioni militari all'estero dentro un modello interventista delle forze armate italiane che segue fedelmente la logica e la strategia della Nato. Queste altro non sono che una sorta di «mobilitazione permanente» contro i «nuovi nemici»: Islam, nuove potenze globali (Cina, Russia, India, ecc.), terrorismo internazionale, detentori (da cui dipendiamo) delle materie prime, come il petrolio e il gas. Invece di investire nella prevenzione dei conflitti, nella cooperazione internazionale e nella sicurezza comune, continuiamo ad armarci fino ai denti, per la felicità di Finmeccanica e di tutta l'industria militare italiana.
Più che una riforma, questa è una controriforma. Altro che «grossa innovazione» come l'ha definita il Ministro-Ammiraglio, che più tecnico non si può. È una controriforma perché spenderemo tanti soldi in più per le armi, perchè le nostre forze armate avranno sempre di più un ruolo interventista, perchè saremo a ricasco della Nato e perchè in questo modo l'articolo 11 della Costituzione sarà svuotato di senso, nella forma e nella sostanza. Di Paola e i generali saranno soddisfatti, ma c'è poco da cantar vittoria. Sicuramente non lo fa il paese e non lo fanno le tante persone (operai, pensionati, giovani) che non sanno come far fronte a questa crisi così drammatica. L'unico modo per affrontare «la spesa militare in senso virtuoso» è ridurla, destinando i risparmi al lavoro, al welfare e ai giovani. Il premier Monti, così attento al rigore e alla lotta alle corporazioni, di fronte agli interessi della «casta delle stellette» ha alzato arrendevolmente bandiera bianca. E questo non è un bene per il paese.