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Valentino Parlato
Una crisi da capire. Per resistere
5 Dicembre 2014
Articoli del 2014
«E la nostra Ita­lia di oggi? Che sta affon­dando nelle paludi acide di que­sta lunga e pro­fonda crisi? Mat­teo Renzi non durerà a lungo, ma a cosa aprirà le porte? Tempi peri­co­losi ci aspet­tano. Biso­gna resi­stere...». Il manifesto, 5 dicembre 2014

«La sini­stra ita­liana ha tar­dato molto a rico­no­scere la natura della crisi: in par­ti­co­lare il suo carat­tere strut­tu­rale e la sua dimen­sione mon­diale. Un ritardo che le ha impe­dito di pre­di­sporre gli stru­menti neces­sari per affron­tarla in modo ade­guato; e che spiega le dif­fi­coltà e lo smar­ri­mento in cui essa è venuta tro­van­dosi, mal­grado i suoi per­si­stenti suc­cessi, rispetto ai pro­blemi reali del paese e del mondo».

A leg­gere sem­bra un inter­vento di que­sti giorni. Si tratta invece dell’inizio della rela­zione di Lucio Magri (il secondo rela­tore era Vit­to­rio Foa) al semi­na­rio “Uscire dalla crisi o dal capi­ta­li­smo in crisi” tenuto ad Aric­cia l’8 e il 9 feb­braio 1975: quasi quarant’anni fa. Lucio Magri non era un pro­feta, ma ana­liz­zava e giu­di­cava lo stato pre­sente della crisi, nel 1975. L’attuale crisi sto­rica si era aperta già allora, ma fu assunta come una con­giun­tura, anche se seria, ma mai seria­mente ana­liz­zata e tan­to­meno affron­tata. Manca soprat­tutto l’analisi: anche oggi si ten­tano cure, ma senza un’accurata dia­gnosi del male. Un ten­ta­tivo è nel volu­metto “Una crisi mai vista”, pub­bli­cato a fine novem­bre dalla Mani­fe­sto­li­bri (si trova in edi­cola e in libre­ria) con con­tri­buti di Alberto Bur­gio, Pier­luigi Ciocca, Luigi Fer­ra­joli, Fran­ce­sco Indo­vina, Gior­gios Katrou­ga­los, Gior­gio Lun­ghini, Gio­vanni Maz­zetti, Enrico Pugliese, Guglielmo Ragoz­zino, José Maria Ridao. Dal quel 1975 si sono suc­ce­duti più di una decina di governi (fac­cio un po’ di nomi: Moro, Andreotti, Cos­siga, Spa­do­lini, Fan­fani, Craxi, De Mita, Amato, Ciampi, Prodi, Ber­lu­sconi e anche Monti).

Non tutti que­sti governi si sono com­por­tati allo stesso modo, ma nes­suno ha messo la crisi al primo posto della sua agenda e sta di fatto che stiamo affo­gando nel capi­ta­li­smo in crisi. La sini­stra è ridotta ai minimi ter­mini, par­titi dis­solti, sin­da­cati in crisi per la cre­scita della disoc­cu­pa­zione, le inno­va­zioni tec­no­lo­gi­che, le poli­ti­che dei vari governi, fon­da­men­tal­mente anti­o­pe­raie. L’attuale governo di Mat­teo Renzi pro­cede con misure rea­zio­na­rie, oltre che pro­vin­ciali. Anche la mon­dia­liz­za­zione viene affron­tata senza mini­ma­mente avere coscienza di come pro­gresso pro­dut­tivo e tec­no­lo­gie della comu­ni­ca­zione ci met­tono di fronte a una situa­zione del tutto nuova.

Crisi eco­no­mica, crisi finan­zia­ria, man­canza di una vera unità euro­pea – la Ger­ma­nia va per i fatti suoi — inde­bo­li­mento delle ban­che cen­trali, com­presa la Banca d’Italia, disat­trez­zate e impo­tenti di fronte alle novità della crisi. Su que­sto vor­rei citare il pre­zioso volu­metto di Pier­luigi Ciocca con un titolo di mas­sima ele­quenza: “La Banca che ci manca. Le ban­che cen­trali, l’euro, l’instabilità del capi­ta­li­smo”, pub­bli­cato da Donzelli.

In que­sto qua­dro dif­fi­cile, e anche peri­co­loso, non sono affatto da sot­to­va­lu­tare le ten­sioni inter­na­zio­nali (Ucraina) e il cre­scere dei flussi migra­tori verso paesi che non sono più in grado – come nel pas­sato – di uti­liz­zare que­sti aumenti di popo­la­zione, con la minac­cia di con­flitti pericolosi.

E la nostra Ita­lia di oggi? Che sta affon­dando nelle paludi acide di que­sta lunga e pro­fonda crisi? Mat­teo Renzi non durerà a lungo, ma a cosa aprirà le porte? Tempi peri­co­losi ci aspet­tano. Biso­gna resi­stere, e per resi­stere lavo­rare anche in pic­coli gruppi per un’analisi seria della crisi attuale, e su que­sto impe­gno for­mare mino­ranze attive che por­tino a ini­zia­tive poli­ti­che e cul­tu­rali, soprat­tutto per ten­tare di ripren­dere il cam­mino verso una società libera dalle catene di un capi­ta­li­smo in mas­sima crisi. Speriamo

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