Internet ha bisogno di una Costituzione? La domanda è attuale dopo le notizie di iniziative censorie del governo cinese, e addirittura della cooperazione offerta da un portale americano, Yahoo!, per l´arresto di un dissidente. Ed è una domanda che non può essere elusa con l´argomento che ogni tentativo di imporre regole alla Rete è impossibile o non necessario. Internet è il più grande spazio pubblico che l´umanità abbia conosciuto, dove ogni giorno milioni di persone si scambiano messaggi, producono e ricevono conoscenza, costruiscono partecipazione politica e sociale, giocano, comprano e scambiano beni e servizi. Può tutto questo essere abbandonato alle prepotenze dei regimi autoritari o alle convenienze del mercato?
I fatti. Aveva cominciato qualche mese fa Microsoft accettando di mettere in guardia i propri utenti cinesi dall´usare nelle loro comunicazioni elettroniche parole come libertà, democrazia, partecipazione. Più pesantemente, Yahoo! ha fornito le informazioni necessarie per rintracciare una e-mail che un giornalista, Shi Tao, aveva mandato negli Stati Uniti, riferendo un avviso del governo ai giornalisti sui pericoli della presenza dei dissidenti nell´anniversario di piazza Tienanmen. Shi Tao è stato poi condannato a dieci anni di prigione per diffusione di notizie ritenute segrete. Infine, come ha ampiamente raccontato Federico Rampini su Repubblica (26 settembre), è arrivata una legge che sottopone a stretto controllo le comunicazioni su Internet, autorizzando solo quelle "buone", per evitare che attraverso la Rete si diffonda un contagio democratico che possa far crescere il peso delle organizzazioni di volontariato, consenta mobilitazioni tra gli oltre cento milioni di navigatori cinesi e produca così non solo dissenso, ma rivolte. Si deve concludere che Internet è per sua natura democratico, è incompatibile con i regimi autoritari?
Quest´insieme di vicende mostra con chiarezza come non si possano analizzare i problemi di Internet partendo dalla tradizionale interpretazione libertaria, che vede la Rete come spazio intrinsecamente anarchico, per sua natura insofferente d´ogni regola, capace di ristabilire autonomamente la libertà violata. Ma, per giustificare la "delazione" del giornalista, uno dei fondatori di Yahoo! ha dichiarato che la sua azienda rispetta le regole del paese dove opera. Le regole, dunque, ci sono, pesanti, e vengono rafforzate da inquietanti alleanze tra Stati e imprese, divenendo strumenti limitativi della libertà.
Pensare a regole giuridiche di segno opposto diviene una necessità, quasi un obbligo democratico. Ma ci si imbatte subito in ostacoli concreti, levati in ogni campo contro i tentativi di far nascere garanzie giuridiche adeguate alla realtà di un mondo globalizzato e di nuovi spazi senza confini, come Internet: la sovranità degli Stati nazionali e la radicata abitudine delle imprese transnazionali di pretendere di essere esse stesse i produttori delle norme che le riguardano.
Non ci resta che arrenderci, o fidarci solo nelle virtù di Internet? Guardandosi intorno, si scorgono altre possibilità. Un acuto analista, Franco Carlini, propone una reazione sociale. Sfruttare subito le opportunità offerte dalla stessa Rete, la sensibilità dei naviganti e le possibilità di mobilitazione immediata, rispondendo così a tutti i messaggi che giungano da una casella Yahoo!: "il suo messaggio viene respinto, ma saremo lieti di leggerlo quando proverrà da un servizio di mail diverso da Yahoo! e rispettoso dei diritti umani". In Italia lo stanno facendo aderenti a Magistratura Democratica e l´associazione Peacelink offre una casella di posta elettronica a chi abbandona Yahoo!. In assenza di norme di garanzie, i cittadini sparsi nel mondo cercano di incarnare una sorta di contropotere.
Iniziative del genere, che sfruttano ogni varco di Internet, sono state definite "strategie da bracconiere" e, in altre situazioni, hanno prodotto effetti significativi, com´è accaduto con il boicottaggio di imprese transnazionali che sfruttavano il lavoro minorile, e oggi Reporters sans frontières fornisce istruzioni per diffondere informazioni in Rete senza farsi scoprire. Qui tutto è più difficile per l´esistenza di uno Stato nazionale deciso a tenere una linea dura e per l´interesse di Yahoo! a conquistare l´enorme mercato cinese. Tuttavia, se la reazione proposta riuscisse a raggiungere una sufficiente massa critica, avrebbe sicuramente un peso non soltanto simbolico: per questo non convince la tesi di chi sostiene che è preferibile accettare quel che fa Yahoo! piuttosto che abbandonare gli utenti cinesi ad un monopolio nazionale assai più pressante. Già l´aver sollevato il problema, ad ogni modo, mette in evidenza il rischio concreto di una "censura di mercato". Un tema, questo, sul quale da tempo ho cercato di richiamare l´attenzione e che non può più essere eluso, dal momento che gli usi commerciali della Rete hanno superato quelli civili, prospettando così rivolgimenti profondi della stessa natura di Internet.
Le possibilità di successo delle strategie dal basso crescono se hanno alle spalle anche strategie istituzionali. Quando parlo di una Costituzione per Internet, non penso evidentemente ad un documento simile alle costituzioni nazionali, ma alla necessità di definire i principi che possono trasformare in diritti le situazioni di quanti usano la Rete. E, non essendo pensabile una assemblea costituente che proclami questi principi, è necessario seguire sentieri diversi, cogliendo le varie opportunità via via presenti nelle aree del mondo.
Un buon punto di partenza può essere costituito dalla Carta dei diritti fondamentali dell´Unione europea, dove il diritto alla protezione dei dati personali viene riconosciuto appunto come un autonomo diritto fondamentale. Questo vuol dire andare oltre la tradizionale nozione di privacy e considerare la tutela forte delle informazioni personali come un aspetto ineliminabile della libertà della persona. Ricordare questo fatto è importante, perché l´Unione europea costituisce oggi la regione del mondo dov´è più elevata la tutela dei dati personali, e questa scelta sta influenzando le decisioni di molti altri paesi.
Nella Conferenza mondiale sulla privacy, tenuta a Venezia nel settembre del 2000, il Garante italiano lanciò il progetto di una Convenzione internazionale, ora ripreso dalla Conferenza mondiale appena conclusasi a Montreux. Arrivare a questo tipo di documento richiederà certamente le tradizionali e lunghe negoziazioni tra governi. Ma esige intanto che tutti i soggetti coinvolti nella gestione di Internet (Stati, cittadini, providers, produttori, imprese, autorità garanti) comincino a rafforzare e a far rispettare le regole sovranazionali ormai contenute in molti documenti, a sperimentare codici di autodisciplina "di nuova generazione" (nel senso che non sono il prodotto esclusivo degli interessi di settore, ma nascono dalla collaborazione tra questi e soggetti pubblici), a verificare quali problemi possano essere risolti attraverso una migliore progettazione e un miglior uso delle stesse tecnologie, contribuendo così a definire sperimentalmente quale dovrebbe essere il campo di una futura Convenzione.
Lungo questa strada, non dovrebbe essere perduta l´occasione che a novembre verrà offerta dal World Summit sulla società dell´informazione, che si terrà a Tunisi per iniziativa delle Nazioni Unite. Si è proposto, infatti, che lì venga approvata una Carta dei diritti per la Rete, che parta dalla constatazione che Internet sta realizzando una nuova, grande ridistribuzione del potere. Per evitare che prevalgano le logiche censorie, è tempo di affermare alcuni principi "costituzionali" come parte della nuova cittadinanza planetaria: libertà di accesso, libertà di utilizzazione, diritto alla conoscenza, rispetto della privacy, riconoscimento di nuovi beni comuni. E a Tunisi si dovrà decidere se la gestione tecnica di Internet dovrà passare dagli Stati Uniti alle Nazioni Unite.
Ma l´Unione europea, che può essere il motore di questo processo ed ha assunto una posizione coraggiosa sul tema della gestione di Internet, sta vivendo una stagione che rischia d´essere dominata unicamente da preoccupazioni riguardanti la sicurezza. Rampini ricorda che "le autorità di Shangai hanno installato telecamere negli Internet café e registrano i documenti di chi entra". E´ quel che sta accadendo anche in Europa, mentre la Commissione di Bruxelles, soprattutto sotto la spinta della Gran Bretagna, propone di ridisegnare in modo restrittivo il quadro normativo riguardante le comunicazioni telefoniche e quelle attraverso la posta elettronica e Internet, cominciando dai tempi di conservazione dei dati che le riguardano. Il Parlamento europeo e le autorità garanti stanno reagendo, sottolineando che siamo di fronte a diritti fondamentali, che non possono essere compressi senza alterare i caratteri democratici delle nostre società.
In questo conflitto prende corpo proprio la dimensione costituzionale di Internet. E la giusta proposta di una protesta capillare contro Yahoo! deve valere, a maggior forza, nei confronti di regole europee che vanno ben oltre le esigenze di tutela della sicurezza.