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Francesco Pigliaru
Un vero PPR aiuta i comuni virtuosi
25 Novembre 2013
Sardegna
Il piano paesaggistico dovrebbe distribuire n modo equo i benefici che crea. D'accordo, ma può farlo da solo?
La Nuova Sardegna, 25 novembre 2013, con postilla

Le politiche che favoriscono l’interesse generale faticano a trovare un consenso ampio e duraturo, persino quelle che mettono in sicurezza un territorio e che aiutano a mitigare le conseguenze, sempre più frequenti e tragiche, dei cambiamenti climatici.

Sembra un paradosso ma non lo è. Anche le migliori riforme toccano gli interessi di qualcuno, e quel qualcuno si opporrà al cambiamento. Per esempio, sappiamo che il commercio internazionale fa bene ai Paesi che ne accettano le regole, ma poi andate nel Sulcis a dirlo agli operai dell’Alcoa, un impianto che la competizione globale ha condannato alla chiusura.

PPR, risultato storico
Il Piano Paesaggistico Regionale (PPR, in breve) rischia di essere vittima di questa sindrome. Il PPR è stato disegnato per favorire l’interesse generale. La sua adozione è un risultato storico per la Sardegna, una delle cose più lungimiranti mai realizzate nella nostra regione. Tenere alta la qualità del paesaggio ha infatti due enormi vantaggi. Primo, dà un beneficio diretto ai residenti. Non si tratta solo del poter godere ogni giorno della bellezza di un paesaggio. Stiamo imparando a nostre (e purtroppo crescenti) spese che si tratta anche di un piano essenziale per garantire la sicurezza del territorio, di una normativa autorevole senza la quale niente potrà fermare le speculazioni edilizie che prima o poi trasformano eventi climatici in enormi tragedie.

Secondo, in una regione a vocazione turistica il Piano paesaggistico rende competitiva la nostra offerta. Quando si tratta di esportare beni e servizi, le imprese sarde sono spesso in difficoltà per carenze di vario tipo. Ma nel turismo di qualità il fattore decisivo è la risorsa naturale e quella c'è, eccome. Il problema è conservarla con cura: più passa il tempo, più diventa la merce rara che un numero crescente di turisti è disposto a comprare ad alto prezzo.

Il Piano paesaggistico regionale favorisce dunque l'interesse generale, ma questo non basta a metterlo al riparo dal rischio di iniziative legislative che ne danneggerebbero gravemente la sua efficacia. Lobby di speculatori che desiderano rimuovere vincoli rigorosi e ragionevoli, e politici pronti a sostenerle non sono mai merce rara, in Sardegna come altrove. Il rischio vero è quelle lobby trovino consensi ampi anche da parte chi non ha interessi diretti a speculare sul paesaggio.

Questo pericolo esiste perché il PPR attualmente non distribuisce in modo equo i benefici che crea. Al momento della sua adozione il Piano paesaggistico regionale ha di fatto congelato la situazione esistente: qualcuno aveva costruito (quasi sempre molto e male) lungo le coste, altri erano stati più prudenti e conservativi. L'improvviso congelamento dello status quo ha generato un paradosso, che è la principale debolezza del piano. Immaginate un tratto della fascia costiera con due comuni confinanti, uno pieno di alberghi e di seconde case, l'altro con una costa in gran parte intatta. Garantire che la parte intatta rimarrà tale anche in futuro rende più competitiva l'offerta turistica di quel pezzo di Sardegna. Significa infatti dare la certezza che nelle vicinanze della vostra casa o del vostro albergo preferito ci sarà sempre un parco naturale di grande prestigio, cosa che stimola la domanda turistica di qualità e con essa i prezzi delle case, degli affitti, dei soggiorni nelle strutture ricettive.

Nella situazione attuale però i soldi generati da questo meccanismo vanno soprattutto al comune che ha speculato nel passato, quello nel quale i turisti devono risiedere. Poco o niente arriva al comune che ha preservato la qualità del proprio paesaggio. La sua scelta rischia così di favorire esclusivamente il vicino meno virtuoso. È facile intuire che, se questo problema non verrà affrontato, i nemici del Piano paesaggistico regionale potranno sempre contare sul sostegno politico di chi ritiene ingiusta l'attuale distribuzione dei benefici economici generati dal piano.

E questo è un rischio enorme: se riparte la speculazione sulle coste i sardi, nel loro complesso, ne avranno enormi svantaggi. Questa è una sfida importante per chi vuole difendere il PPR sardo migliorandolo: bisogna trovare il modo di distribuire anche ai comuni che hanno conservato la propria risorsa naturale i benefici che oggi arrivano soprattutto a chi, in passato, il paesaggio lo ha consumato.

Chi possiede una casa o un albergo paga imposte in proporzione a valori che crescono anche in funzione della qualità del paesaggio circostante. Il gettito di queste imposte dovrebbe rimanere in Sardegna, indipendentemente dal comune di residenza dei proprietari. E sarebbe bene che una parte di quel gettito venisse trasferita nelle casse dei comuni virtuosi, per convincerli concretamente che la loro scelta è stata quella giusta.

Un intervento di questo tipo, perfettamente giustificabile sul piano dell'equità, ridurrebbe il malcontento intorno al Piano paesaggistico regionale e toglierebbe spazio ai politici che su quel malcontento fanno sciaguratamente puntano le loro carte elettorali.
Postilla

Pigliaru ha perfettamente ragione: i benefici dell’utilizzazione di una parte del territorio dovrebbe appartenere a tutti coloro cui il territorio appartiene. Ma proprio sull’interpretazione di quest’ultima parola che si gioca la soluzione del problema. Nell’attuale regime giuridico sembra che il territorio, spezzettato in frammenti, appartenga ha chi ne è “proprietario”. Questo è un aspetto rilevante del regime economico-sociale capitalistico-borghese, nato e consolidato nel XVIII e XIX secolo. Il territorio da “bene” è stato tramutato in “merce”. La disequità segnalata da Pigliaru è un aspetto di questo quadro. Si è tentato di affrontarlo in diversi modi, tra l’altro con la fiscalità, la quale dovrebbe servire non solo a finanziare lo stato e il suo funzionamento ma anche a redistribuire la ricchezza. E ci si è lavorato in alcune esperienze di pianificazione territoriale (per esempio nella Provincia di Bologna).
Tuttavia anche in Italia si sta tentando di affrontare la questione in modo più radicale: nel senso di andare alla radice del problema. Una strada che mi sembra interessante è quella che, opponendo il concetto di bene” a quello di “merce” (ossia rivalutando il “valore d’uso” sul “valore di scambio” ) ragiona sul superamento delle vigenti forme dell’istituto giuridico della proprietà e sull’affermazione di istituti e pratiche coerenti col concetto di “bene comune e “bene collettivo”. Mi riferisco, in particolare, la lavoro della Commissione Rodotà e agli scritti di Paolo Maddalena, che da qualche decennio sta lavorando proprio sui i nessi dei concetti di “appartenenza” e “proprietà con le pratiche di tutela del paesaggio (come Pigliaru saprà, Maddalena, vicepresidente emerito della Corte costituzionale è il sostanziale autore "tecnico" della Legge Galasso).
Certo è che non è un piano paesaggistico lo strumento che può affrontare il problema e distribuire in modo equo i vantaggi che crea. Può dare un segnale e imprimere una direzione e innescare un processo, iniziando dal primo passo indispensabile: proteggere il bene dalla sua distruzione. Non a caso lo sgambetto che ha portato Soru alle dimissioni è stata la volontà, del suo stesso partito, di non completare il PPR con l’approvazione della disciplina degli ambiti interni. E non a caso il primo atto compiuto da Cappellacci è stato quello di distruggere l’Ufficio del piano, di impedire l’attivazione degli altri strumenti d’implementazione previsti. Loro si che sono dei furbacchioni. Ma non è detto che vincano sempre.

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