il manifestola Repubblica del 30 giugno 2013
LE TARDIVE rivelazioni dei due artificieri arrivati per primi in via Caetani la mattina del 9 maggio 1978 sono importanti perché contribuiscono a rafforzare un’idea. Quella che sugli ultimi giorni, e in particolare sulle ultime ore di Aldo Moro, le autorità governative italiane, le gerarchie vaticane e il fronte brigatista abbiano stretto un durevole patto del silenzio, della reticenza e dell’oblio. Il primo testimone ha dichiarato di essere giunto sul posto alle ore 11 e di avere constatato che il sangue era ancora fresco, il secondo di avere scorto una o due lettere sul sedile della macchina di cui si è perduta ogni traccia.
In effetti, le dinamiche della morte di Moro costituiscono forse il momento più oscuro dell’intera vicenda, giacché la versione ufficiale fornita dai brigatisti in sede processuale e memorialistica continua a fare acqua da tutte le parti. Anzitutto perché l’autopsia ha stabilito che Moro è stato ucciso intorno alle 10, mentre le Brigate rosse hanno sempre sostenuto di averlo trucidato all’alba e poi, con il cadavere ancora caldo, si sarebbero assunte l’incredibile rischio di trasportarlo dalla periferia di Roma in via Caetani, ossia in uno dei luoghi tra i più controllati dai servizi segreti durante la guerra fredda: a pochi metri da una base del Sisde attiva in Palazzo Caetani; sotto il campanile di una Chiesa ove erano istallati ripetitori per intercettare la vicina sede del Pci; a poche decine di metri dal Ghetto ebraico, una zona presidiata dal Mossad per evitare attentati palestinesi.
Inoltre, fino a oggi appariva del tutto inverosimile che le Brigate rosse avessero lasciato intorno alle 8 di mattina il cadavere di Moro incustodito e poi avessero atteso oltre quattro ore prima di avvisare Francesco Tritto con la celebre telefonata di Valerio Morucci. Infine bisogna ricordare che sul cadavere di Moro, in corrispondenza dei fori dei proiettili, furono trovati dei fazzolettini per tamponare la fuoriuscita del sangue, un macabro particolare sfuggito alla ricostruzione di Germano Maccari, Mario Moretti, Maria Laura Braghetti e Prospero Gallinari, ossia coloro i quali avrebbero dovuto compiere una simile drammatica operazione.
Basti pensare che a tutt’oggi non si conosce l’esecutore materiale dell’assassinio in quanto coesistono tre versioni diverse che lo elevano, sul piano antropologico, al rango di un omicidio rituale: in base ai processi sarebbe stato Gallinari; nel ricordo di Moretti, lo stesso Moretti; secondo Lanfranco Pace, Maccari. Tre mani diverse per un omicidio politico rivendicato dalle Br, che nelle ultime ore dovette subire una torsione imprevista e imprevedibile. E così Moro fu consegnato beffardamente cadavere nelle ore in cui l’entourage di Paolo VI e il ministro Cossiga si attendevano la sua liberazione.
Il manifesto
Via Caetani 35 anni dopo «Cossiga vide il cadavere prima della telefonata Br»
di Andrea Colombo
A prenderla per buona la notizia è effettivamente clamorosa: il corpo di Aldo Moro sarebbe stato ritrovato, il 9 maggio 1978 in via Caetani, con circa un'ora di anticipo sulla telefonata con cui Valerio Morucci, alle 12,13, avvisò il professor Franco Tritto dell'avvenuta esecuzione. L'allora artificiere Vito Antonio Raso sostiene ora di essere arrivato in via Caetani molto prima, in seguito a una segnalazione anonima che denunciava la presenza di una macchina forse esplosiva, e di aver scoperto prima delle 12 il cadavere del presidente della Dc. Non solo: l'allora ministro degli interni Francesco Cossiga sarebbe arrivato molto prima dell'orario ufficiale, intorno alle 14, addirittura prima della scoperta del corpo, insieme al capo della Digos romana Spinella e al colonnello dei carabinieri Cornacchia, braccio destra del generale Dalla Chiesa.