Un primato italiano: il paese nel quale la diseguaglianza tra ricchi e poveri è maggiore. Ma guai a rendere la fiscalità davvero progressiva, come comanda la Costituzione. .
L'Unità, 6 aprile 2013
Questa grande ricchezza privata, 8.600 miliardi di euro, quasi sei volte il Pil, è concentrata nelle mani di pochi: il 10 % delle famiglie ne possiede quasi la metà. Questo significa che 2,4 milioni di famiglie sono ricche di quasi 2 milioni di euro, mentre 12,3 milioni di famiglie sono «povere» con appena 70 mila euro.
Altra osservazione che spesso ci hanno fatto a Bruxelles, soprattutto tedeschi e olandesi: «Se voi italiani avete tanta ricchezza privata, perché non la chiamate a ridurre il debito pubblico?». In effetti, tutte le proposte avanzate da sindacati e partiti di centrosinistra per introdurre qualche misura di solidarietà a carico dei ricchi e super ricchi patrimoniale, contributi di solidarietà per pensioni e redditi alti, reddito minimo di cittadinanza si sono sempre scontrate con le opposizioni delle destra, sia quella politica che quella tecnica. Con il risultato che oggi, drammaticamente, dobbiamo registrare che almeno metà del Paese è colpita da una crisi economica di durezza senza precedenti, con redditi calati del 10 % in pochi anni, da sterilizzazioni di salari e pensioni e soprattutto da una disoccupazione crescente.
La drammaticità della situazione è in tre numeri: 31, 8 e 3,5. Trentuno sono i milioni di cittadini che posseggono solo il 10 % della ricchezza privata (70 mila euro in media a famiglia, come abbiamo detto) e fanno fatica ad arrivare a fine mese senza qualche dura rinuncia (interruzione del pagamento del mutuo, ritiro dei figli dall’università, niente ferie, etc.). Otto milioni di questi, inoltre, sono poveri «relativi», secondo l’Istat, quelli cioè che in base ad un «indice sintetico di deprivazione» non sono in grado di far fronte a una spesa imprevista, sanitaria o d’altro genere, e ben 3,5 milioni sono poveri «assoluti», pari ad una famiglia di due persone che vive con meno 800 euro al mese.
Di fronte a questa situazione, con un Indice Gini che misurando la diseguaglianza sociale ci piazza al picco più alto di questa imbarazzante classifica e a distanza siderale dai Paesi europei a più alta eguaglianza come Austria, Germania, Olanda, Francia, Svezia, Finlandia, Danimarca e Svezia, con tutto questo abbiamo meno contribuenti ricchi d’Europa (solo 215mila contribuenti superano i 150mila euro di entrate annue) e abbiamo attuato solo provvedimenti di risanamento finanziario ad alta iniquità: sono stati toccati redditi e pensioni da mille euro senza togliere niente ai grandi proprietari di ricchezza, ai percettori di pensioni d’oro e ai tanti casi di redditi cumulati di migliaia di super burocrati. Sono stati aumentati Iva, accise e tributi pesando in modo elevato sui redditi medi e bassi senza alcuna considerazione alle condizioni minime di sopportabilità di almeno metà della popolazione. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti, non può bastare piangere per casi di disperazione mortale che un Paese civile dovrebbe poter evitare e non è accettabile subire prediche da chi vorrebbe governissimi senza alcun obiettivo di eguaglianza.
«Eguaglianza» è una bella parola che troppi politici usano e pochi praticano. Questi sono gli effetti dell’avidità, ma anche dell’ignoranza. Anche in Germania e Svezia non mancano cittadini che puntano al massimo arricchimento, ma con una differenza, culturale, rispetto alla nostra classe dirigente: lassù hanno capito da tempo che nella società globale della conoscenza, le diseguaglianze sociali portano alla povertà collettiva. Guardate al Pil procapite e scoprirete che i Paesi a più alta eguaglianza sono diventati anche i più ricchi del mondo.