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Annamaria Arlotta
Un prodotto chiamato donna, il corpo acefalo della pubblicità
19 Aprile 2017
Donna
Questione di genere. Esplicita («montami a casa tua») o subdola (l’uso maschile e femminile dei tablet), lo spot made in Italy è inchiodato allo stereotipo».
Questione di genere. Esplicita («montami a casa tua») o subdola (l’uso maschile e femminile dei tablet), lo spot made in Italy è inchiodato allo stereotipo».

il manifesto, 19 aprile 2017

Quando si pensa alla pubblicità sessista vengono in mente donne in pose provocanti e doppi sensi squallidi. «Te la do gratis/ perché pagarla di più/ tu dove glielo metteresti/ montami a casa tua» e simili, ricorrenti slogan. O si immaginano pezzi di corpi femminili associati a prodotti, per esempio le bocce da bowling di una ditta di Messina, o dei grandi hamburger di un locale di ristorazione, sovrapposti ai seni. Sono casi abbastanza chiari, la volgarità è palese.Ma il sessismo può assumere forme eleganti, raffinate.

Mentre non usa porre oggetti davanti alla faccia o in testa a un uomo, alla donna si mette di tutto, dalle scarpe ai paralumi che le coprono il volto (Arredamenti Pezzini) dalle tazzine di caffè della Lavazza ai piatti della collezione dei supermercati Simply, o all’insalata della Fiera del gusto di Gorizia. O magari le si nasconde il volto con una papera di gomma. Spesso, anziché nasconderle il viso, lo si elimina proprio, e l’immagine pubblicitaria consiste di un corpo acefalo.
Un’altra forma di sessismo è la scelta del carattere della donna.
Se non è sexy o dolce moglie e mammina, negli spot televisivi diventa emotiva, aggressiva, imprevedibile, infantile, o con un misto di queste caratteristiche, a cui viene aggiunta a volte la connotazione sessuale. Esempi. Canone Rai: uomo posato, donna infantile e isterica. Costa crociere: donna che sfrutta la sessualità per attirare l’attenzione dell’uomo e poi diventa violenta. Golia: bambina deficiente.

Diversi uomini trovano queste pubblicità offensive per loro. Sono d’accordo. Non si accorgono, tuttavia, che la donna, lungi dall’essere vincente, è rappresentata come mentalmente instabile. Non ci sono vincitori in questi spot, solo perdenti.
Poi c’è la caratterizzazione dei bambini, con stereotipi a go-go: le bambine interessate al loro aspetto, passive e sorridenti, desiderano essere ballerine e principesse. I bambini amano l’avventura, vogliono diventare esploratori o astronauti e sono mostrati con oggetti come binocoli o timoni, in movimento.

A volte, per fortuna, si reagisce: nel 2015 uscì uno spot della Kimberly-Clark per i pannolini Huggies in cui si diceva «lei penserà a farsi bella, lui a fare goal». La pagina facebook della ditta fu sommersa dalle critiche, moltissime di giovani papà e mamme, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ricevette tante segnalazioni di sessismo, e la Kimberly-Clark fu costretta a modificare il costosissimo spot.

Nella pubblicità italiana lavori domestici e cura dei figli sono puntualmente appannaggio della donna. «Emozioni che si tramandano» recita lo slogan del detersivo Scala, con una mamma e una bambina sorridenti con le ramazze in mano.
Ma ci sono anche modi più subdoli nell’attribuire attitudini femminili e maschili secondo stereotipi antiquati. Tempo fa un opuscolo della Samsung pubblicizzava un computer mostrando un uomo, vestito, con lo sguardo intento di chi sta lavorando, e una da donna semivestita e sdraiata sul letto. Il testo chiariva che “lei” può usare il portatile per chattare, fare shopping e guardare film. Dunque il messaggio è che l’uomo guadagna, lei spende, si dedica ad attività superficiali ed è sempre sexy. Un altro esempio di attribuzione di attitudini diverse è la “cassetta degli attrezzi” del 2016 della Lycia: per la donna nella cassetta ci sono i trucchi e per l’uomo gli attrezzi da lavoro. Anche in questo caso, per fortuna, c’è stata una forte reazione di critica. La ditta non ha modificato l’immagine ma si spera che non ripeta l’errore in futuro.

Uno degli aspetti più subdoli del sessismo è la ricerca dell’aderenza di forma e colore tra la donna e il prodotto. L’acqua Brio blu della Rocchetta ne è un esempio.

Quando la vincitrice di Miss Italia 2013 fece da testimonial per questa pubblicità il fotografo Ico Gasparri, da decenni impegnato nel contrasto alla pubblicità sessista, rivolgendosi alle aspiranti Miss, scrisse: «Guardate a cosa hanno portato i tanti sforzi, i probabili sacrifici personali e familiari, le tante aspettative della vostra collega vincitrice dell’edizione 2012: a fare la bottiglia di acqua minerale! Ad assumerne i colori, a interpretarne l’effervescenza e la briosità, ancheggiando, saltellando e contorcendosi in improbabili pose da pubblicità all’italiana».
Altri esempi di aderenza tra donna e prodotto sono il chicco di caffè sul volto di una ragazza per la Pellini, il logo della Abarth sul collo della modella in uno spot della Fiat, la donna-supposta di glicerina dello spot di Eva Q, e i chicchi di caffè al posto dei peli dell’inguine di una donna nuda per il caffè Godo.

L’aderenza si estende poi al carattere, che serve a rappresentare le diverse caratteristiche di un prodotto alimentare, come nella pubblicità dell’olio Bertolli dove tre gemelle rappresentano i gusti.
Nel nostro Paese, dove persiste la visione del ruolo ancillare della donna, la pubblicità la usa per attirare l’attenzione, rallegrare, stimolare l’erotismo, a far identificare il prodotto con piacere, allegria, spensieratezza. Alle donne acquirenti si chiede di immedesimarsi con le modelle seducenti o con le mammine felici. E le stesse ditte che, come la Muller, all’estero promuovono una figura di donna moderna, e nelle cui pubblicità compaiono donne di tutte le età, di fisici diversi, vestite normalmente, in Italia si ostinano a «far l’amore con il sapore».

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