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Piero Bevilacqua
Un problema chiamato Partito Democratico
19 Luglio 2012
Piero Bevilacqua
Ricordo che l'idea ispiratrice da cui nasce il Partito Democratico, arriva storicamente…

Ricordo che l'idea ispiratrice da cui nasce il Partito Democratico, arriva storicamente tardi, quando il bipartitismo di tipo angloamericano, a cui esso si rifà, era in conclamato declino e ormai andava svuotando, in quasi tutti i paesi in cui si era affermato, la sostanza della vita democratica: l'effettività della rappresentanza dei cittadini e la partecipazione popolare. Una Grande Trasformazione si è consumata infatti nell'ultimo trentennio negli assetti tradizionali delle democrazie rappresentative: la scomparsa di fatto della figura del partito di opposizione. L'eclisse della “competizione di classe” tra i grandi partiti politici - surrogata da una semplice “competizione elettorale” - ha spinto sempre più verso una una gestione monopolistica del potere. Il sociologo americano Richard Sennet ha paragonato la sostanziale identità di posizioni fra partiti di governo e di opposizione alla funzione che ha il telaio nell'industria automobilistica. Le grandi fabbriche producono un medesimo telaio per tutte le automobili, ma poi vi aggiungono vari optionals – dorature, dice Sennet - per rendere diversificati i prodotti destinati al pubblico, ma che sono sostanzialmente simili, come i programmi elettorali dei partiti.

Tale trasformazione, che ha lasciato i lavoratori senza rappresentanza e favorito la diffusione della disuguaglianza sociale, costituisce una componente politica fondamentale all'origine della Grande Crisi. Sotto l'apparenza della varietà delle sigle governa un' élite di ceto politico che opera come una moderna oligarchia. La grosse Koalition in Germania, nel 2005-2009, e oggi il governo Monti sono delle emersioni che rendono visibile una tendenza, operante da tempo, verso il “partito unico”. Un partito unico a due teste, ma sempre più simile, in forme aggiornate, a quello dei totalitarismi del XX secolo.

E questo è un folgorante paradosso: mentre tutte le voci del coro incitano alla competizione, infallibile regolatrice perfino dei rapporti fra persone, i gestori del potere supremo, quello che si fa stato, vale a dire i partiti, tendono a configurarsi come monopoli. Detentori unici delle decisioni in cui la competizione è finta.

Dunque, il PD che voleva rendere più dinamica ed efficiente la nostra democrazia, porta in realtà un tardivo contributo alla riduzione dei suoi spazi. Ricordo che esso si è imposto violentemente al ricco arcipelago di culture politiche che contrassegna l'Italia, con un disegno semplificatore che forzava caratteri storici insopprimibili. E senza un'idea della loro possibile valorizzazione.

Ora, a parte la litigiosità irresponsabile della sinistra minoritaria, è anche giusto ricordare che il PD ereditava un partito il quale, dopo lo scioglimento del PCI, aveva progressivamente abbandonato la rappresentanza diretta degli interessi operai e popolari e annacquato progressivamente la propria funzione di partito di opposizione. Si potrebbe fare un lungo elenco di scelte molto significative di tale percorso. Ogni potere, allorché vede eclissarsi le ragioni ideali che l' hanno fatto sorgere, rivolge tutte le proprie residue energie al compito unico della propria sopravvivenza. Ma oggi questo processo di avvizzimento storico si svolge entro una nuova geografia dei poteri mondiali. I centri transazionali dell'economia finanziaria non solo scorazzano per il mondo e condizionano apertamente la vita degli stati. Essi oggi formano personale per il ceto politico o trasformano gli esponenti del ceto politico in loro personale. E' la nota pratica del revolving door, la porta girevole, che fa passare le persone dalle banche ai partiti e dai partiti alle banche. Ne “ Il volto dei signori del debito” – su Le Monde Diplomatique. Il manifesto di giugno 2012 - G.Geuens ha fornito un quadro impressionante di questa disinvolta incestuosità civile che ormai tocca tutti i partiti del mondo e anche gli esponenti della socialdemocrazia europea, non esclusa quella scandinava.

Nessuno, tuttavia, creda che siamo di fronte a una semplice “questione morale”. La questione è eminentemente politica: quanto più i partiti politici perdono consenso tra i ceti popolari, a causa delle restrizione delle politiche di welfare, tanto più chiedono risorse al potere economico- finanziario per mantenere la base clientelare del loro consenso.

Occorre tuttavia tenere presente anche la specifica storia italiana. Il discredito profondo e senza precedenti che oggi circonda i partiti è continuazione di una vicenda pluridecennale. Non siamo mai usciti da un lungo ciclo di svalutazione della funzione dei partiti politici. Qualcuno si ricorda della virulenta stagione di critica alla partitocrazia negli anni '80? Una invadenza delle forze politiche che tendevano a occupare ogni spazio visibile di potere. Tangentopoli sembrò interrompere e spezzare quella trama sotterranea che soffocava l'Italia. Ma, com'è noto, fu solo una pausa. Anche Berlusconi, che in quanto imprenditore doveva incarnare l'alternativa ai burocrati di partito, ha inaugurato una nuova e più larga e ramificata invadenza delle élites politiche nella vita del Paese. E' storia nota.

Ma, mentre il PCI dei primi anni '90 apparve ai margini del sistema affaristico, oggi il PD appare parte interna al quadro, anche se non sempre in forme che assumono rilievo penale. Chi ha un minimo di esperienza delle politiche di amministrazione locale sa bene quali intrecci legano gli amministratori del PD agli affari, soprattutto al mondo delle costruzioni. Non mancano, ovviamente, gli amministratori bravi e onesti, anche giovani, che rinnovano una tradizione a suo modo esemplare. Ma non costituiscono, come un tempo, l'indirizzo dominante delle politiche locali di questo partito. Nel Mezzogiorno capita spesso che gli amministratori del PD siano al di sotto, per qualità culturale e civile, degli standard medi del ceto politico nazionale.

Oggi, il progressivo venir meno della funzione di forza d'opposizione da parte del PD si può constatare in un esito davvero paradossale della storia recente del nostro Paese. L'Italia ha uno dei debiti pubblici più elevati del mondo e un welfare che era in costante ritirata già prima della crisi presente. Al tempo stesso vanta una distribuzione sperequatissima fra i redditi delle famiglie, i salari agli ultimi posti dei Paesi Ocse, disoccupazione e precarietà fra le più elevate degli stati industrializzati. Chi ha vigilato sulle spese dello stato? Chi ha tenuto d'occhio le tendenze distributive della ricchezza prodotta? Chi si è fatto carico di quanto stava accadendo a un paio di generazioni di giovani privati di ogni prospettiva?

Ebbene, dovrebbe apparire evidente che questo partito, così com'è oggi, rappresenta una delle più rilevanti concause del declino storico del nostro Paese. Innanzitutto per la drammatica inadeguatezza culturale del suo gruppo dirigente. Qualcuno ha mai sentito i suoi maggiori esponenti discutere di assetto delle città e di questioni urbanistiche, del sistema nazionale della formazione e di 'Università, dei problemi drammatici del territorio italiano, della difesa del nostro paesaggio agrario e dei beni artistici, della potenzialità della nostra agricoltura? Non pretendiamo, ovviamente che si occupino di riscaldamento climatico e della distruzione degli ecosistemi. Ci mancherebbe! Ma oggi nessuno sa che progetto di società vuol proporci il gruppo dirigente di questo partito, a quale nuovo assetto dovrebbe aspirare l'intero apparato produttivo del Paese, in un momento così grave. Che cosa ha da dire sul destino che attende i ceti medi? E che analisi ci offre del Mezzogiorno. Che cosa propone a milioni di giovani laureati senza lavoro? Non è il caso di infierire sul tema dei diritti civili.

Non è tutto. Oggi questo partito comincia a rappresentare una agente attivo di arretramento della democrazia italiana. Culturalmente subalterno alle ideologie neoliberiste, esso tende ad accettare gli “stati di necessità”imposti dall'avversario e dunque manipolazioni gravi della nostra Costituzione. La modifica dell'art. 81 e l'inserimento dell'obbligo di pareggio di bilancio nella nostra Carta, che priva i cittadini del diritto di referendum confermativo, è una ferita grave. Mentre sono in discussione altri assetti della nostra Costituzione e dei nostri ordinamenti, come l'art. 41 della Carta e l'art. 18 dello Statuto dei lavoratori(di fatto svuotato), insieme ad altri tentativi di manipolazione della forma di Stato di cui il Manifesto ha dato conto in questi giorni. La paura di assumere responsabilità di governo, di affrontare una competizione elettorale che nella primavera scorsa dava questo partito come vittorioso, conferma tale dato preoccupante della situazione italiana. Da anni la vita vegetativa del Partito Democratico corrisponde alla paralisi di ogni iniziativa politica dell' opposizione nel nostro Paese. Uno stallo che neutralizza tante energie riformatrici, che pure esistono al suo interno, e che genera frustrazione nel vasto popolo dei suoi elettori: una variegata platea di cittadini che non ha cessato di manifestare una fedeltà meritevole di ben altro ascolto.

Il come uscirne è uno dei più ardui rompicapo di questa fase. Forse si può delineare il problema, esprimere aspettative . La questione, credo, è la seguente: alla prossima scadenza elettorale occorrerebbe ridimensionare il peso del PD, inducendo un shock chiarificatore al suo interno, senza portare il centro-sinistra alla sconfitta elettorale. Tale evento potrebbe favorire un centro sinistra di tipo nuovo, in cui l'ipoteca moderata che Ds e Pd hanno esercitato nei precedenti governi non possa più esercitarsi. Ricordo che un governo di sinistra-centro, come sarebbe auspicabile, è uno strumento imprescindibile per rimettere in equilibrio la macchina economica nazionale. Tale operazione è infatti resa possibile solo da una rilevante redistribuzione della ricchezza fra le classi e le famiglie. Il Pd non possiede né la cultura né l'intenzione politica di un tale compito e ci trascinerebbe in una replica ancora più fallimentare di quelle conosciute in passato.

Difficile, ovviamente, il compito della sinistra radicale, difficilissimo quello di Vendola. L'incognita Grillo complica ulteriormente il quadro, sebbene sia difficile pensare che i rappresentanti del movimento Cinque Stelle possano fare peggio dei parlamentari del PDL e della Lega: avanguardie del più abietto Parlamento dell'Italia repubblicana. Nel nuovo Parlamento i vecchi giochi saranno più difficili. Ilvo Diamanti su Repubblica del 25 giugno ha prospettato un quadro numerico di difficile ricomposizione.

Occorrerebbe perciò una più forte avanzata della sinistra, in questa fase in cui l'egemonia moderata, anche quella del PD, è in rovina. La crisi è il collasso di un paradigma economico e di un assetto di potere di cui i partiti sono parte integrante. Ma a contrastare tale avanzata, a mio avviso, sono almeno due cause. La prima è l'incapacità, finora dimostrata, di offrire all'opinione pubblica un progetto credibile di nuova occupazione e ripresa economica. Abbiamo milioni di giovani disoccupati, provenienti da tutte le classi sociali, quindi la possibilità di guadagnare il consenso trasversale delle famiglie italiane e tuttavia nessuno accenna a un possibile progetto. Bisogna rammentarselo : il consenso a Monti, oggi in declino – e in parte la tenuta del PD - si fondano in buona parte sulla paura della maggioranza delle famiglie che temono, col tracollo dell'euro, di perdere i risparmi conquistati col lavoro di una vita. E a queste paure occorre saper parlare, mostrando alternative, sia pur minime. Temo che lo si farà solo in campagna elettorale, quando ogni voce contende verità all'altra, diventa confuso schiamazzo pubblicitario.

L'altro ostacolo, che si potrebbe più agevolmente superare, è l'assenza di accenni di autoriforma del ceto politico. Occorre che i dirigenti delle formazioni che non stanno in Parlamento non si facciano illusioni. Essi sono percepiti come vecchi partiti politici. Tale percezione ha inchiodato il Prc alle sue esigue percentuali, che non crescono nella Fds. Questo – in una misura che temo crescente – impedisce a SEL, tra altre cause, di espandere la sua influenza. Tali formazioni debbono togliersi di dosso l'odore di partito che si portano appresso. Non perché devono sciogliersi nei movimenti, ma perché devono cambiare le loro modalità di organizzazione. Con il passare dei mesi, in Italia, a tale odore si darà la caccia, e credo anche all'odore dei tecnici, quando disoccupazione, alti prezzi dei servizi, tassazione crescente mostreranno il fallimento di un ceto politico che ha allungato “nello spazio di una notte” le pensioni dei lavoratori e recalcitra a ogni forma di limitazione dei suoi privilegi. Sempre che lo scenario non sia più catastrofico. Il PD potrebbe pagare un prezzo rilevante per tutto questo, di cui finirà col portare piena responsabilità. Io credo che le formazioni minori debbano presentarsi agli elettori dichiarando in programma – Alba potrebbe svolgere un compito importante in tale direzione- la durata dei mandati parlamentari, la volontà di sottoporsi al monitoraggio dei propri redditi durante il mandato, di presentare una legge che fissi la quota massima di spesa per ciascun candidato nella campagna elettorale, le incompatibilità fra le varie cariche, e insomma la volontà di essere portatori di una politica come bene comune.

So bene che un governo di sinistra-centro non è la presa del Palazzo d'inverno. Ma a sinistra scambiamo agevolmente la forza delle nostre ragioni con la forza politica con cui dovremmo farle valere, che invece non possediamo. Una delle più limpide vittorie conseguite dai movimenti negli ultimi decenni, quella del referendum contro la privatizzazione dell'acqua, rischia di essere vanificata perché il potere, nelle istituzioni, ce l'hanno gli altri.

Un esito fortunato di tale strategia potrebbe favorire una svolta in Europa, in grado di emarginare la Germania e soprattutto di unificare le sinistre. Nell'attuale partita internazionale, mentre la finanza minaccia gli Stati, la concertazione fra tanti paesi europei avrebbe una forza straordinaria: perché c'è questo di singolare e poco esplorato nel rapporto tra debitori e creditori. Il creditore ha un bisogno vitale che il debitore goda di ottima salute, altrimenti può dire addio ai suoi soldi.

. www. amigi.org. L’articolo è inviato contemporaneamente al manifesto

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