Huffington post, 28 luglio 2013
(Padre Paolo Dall’Oglio, Huffington Post Italia). Un lettore desidera “la risposta del prete” alla questione sulla legittimità dell’uso della forza da parte della comunità internazionale per favorire il successo della rivoluzione democratica e islamista siriana.
Comincerò da prete e finirò da siriano. Nel mio cuore non c’è contraddizione.
La Chiesa conosce per esperienza dolorosa bimillenaria la debolezza del suo insegnamento sulla guerra giusta e la legittima difesa. Tuttavia, nonostante le riflessioni forti e utili in senso opposto, l’Autorità magisteriale ecclesiale ha sempre ritenuto di dover reinterpretare i versetti biblici che sembrerebbero consigliare ai cristiani di sottomettersi inermi e miti a mafie, regimi, imperi, colonie, feudalesimi, sistemi razzisti e via spadroneggiando. La Bibbia, di per sé ben contraddittoria, è letta in modo compatibile con il riconosciuto diritto-dovere di favorire la giustizia e, al limite, difenderla e promuoverla con le armi, per evitare la vittoria duratura del sopruso istituzionalizzato.
Con inspiegabile ritardo, la Chiesa si è ormai convinta che la democrazia faccia parte dei diritti inalienabili delle persone umane e che quindi, se da un lato è sicuramente meglio quando la si può difendere e ottenere in modo non violento, resta d’altro canto vero che l’uso della forza per difendere una democrazia in grave pericolo o liberarsi dalla dittatura è legittimo nel quadro dell’insegnamento cattolico. Esistono tuttavia delle condizioni da rispettare perché l’uso della forza resti legittimo… e questo da spazio a utili discussioni. Nel frattempo però vige il dovere per ciascuno nella situazione particolare di giudicare e di agire.
Quando dieci mesi fa il Papa Benedetto visitò il Libano disse, sicuramente per effetto delle opinioni dei prelati mediorientali favorevoli al regime del clan Assad, che era peccato mortale vendere le armi ai contendenti nella guerra intestina siriana. In quell’occasione twittai che se era peccato vendercele, allora bisognava darcele gratis! Visto che il regime torturatore, e distruttore del popolo con ogni mezzo, di armi ne ha più che abbastanza, per non parlare degli amici pronti a donargliele.
Sono sempre stato a favore delle azioni non violente per la rivendicazione e la promozione della giustizia. Tuttavia ciò non può giustificare una condanna della lotta dei siriani per la loro libertà, autodeterminazione e dignità umana. L’azione non violenta ha un significato ugualmente valido di accompagnamento, di correzione e di orizzonte prospettico per rompere il ciclo maledetto dell’odio armato.
Si registrano, è vero, delle derive criminali abominevoli in alcuni gruppi della rivoluzione siriana. Il fatto che siano probabilmente teleguidati dal regime non risolve il problema. È preciso dovere della comunità internazionale d’istituire fin d’ora una corte di giustizia per i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra in Siria. Essa sarà indipendente e perseguirà i crimini di tutti. Ciò che oggi ipocritamente e stupidamente si fa è il giustificare i crimini sistematici e istituzionali del regime con quelli episodici di gruppi e persone del campo rivoluzionario, commessi contro le stesse regole che il popolo insorto si è dato.
È lecito chiedersi se, vista l’orribile efficacia della repressione del regime siriano, nell’ambito dell’ignavia internazionale, non fosse più morale arrendersi al regime stesso per evitare il peggio. Certo questo corrisponderebbe eventualmente all’insegnamento etico ecclesiale sulla proporzionalità dell’uso della violenza, anche calcolato sulle possibilità ragionevoli di successo. Molti di noi si erano chiesti fin dall’inizio se fosse realistico insorgere in modo non violento contro un simile regime, ben conoscendone la crudeltà e mancanza di scrupoli. La deriva violenta poi, conseguenza della repressione, appariva come una prospettiva infinitamente dolorosa e pericolosa. In questo, certo, la mancanza di chiarezza dei democratici occidentali è stata una vera trappola. Ci hanno spinto a muoverci promettendoci protezione e solidarietà e ci hanno vigliaccamente abbandonato; poi ci giudicano se ci siamo rivolti malvolentieri ai loro nemici per salvarci dal genocidio promessoci dagli Assad.
L’eroismo dei siriani è ragionevole e dunque morale perché proporzionale alla mostruosità e durevole caparbietà del regime baathista-alawita. Inoltre, tale eroismo è ormai adeguato alla prospettiva di farci ammazzare in massa qualora rinunciassimo a proseguire la lotta fino ad una sostanziale vittoria. Ciò non significa che non vi sia il dovere di trovare vie negoziali per salvare l’essenziale della rivoluzione, senza finire in una guerra interminabile che comunque perderebbe il paese. Anche la determinazione sanguinaria del regime rappresenta qualcosa sul piano dell’autodeterminazione dei siriani, di un certo numero di siriani, di alcuni gruppi rilevanti di siriani… e dunque vige il dovere di pensare a delle soluzioni politiche negoziali, senza aspettare solo di vincere con le armi.
Infine uno sforzo di riflessione morale va fatto sull’uso del chimico in Siria. Che il regime degli Assad disponesse di armi chimiche è noto a tutti. Se avesse potuto dotarsi dell’atomica, o almeno di testate armate con materiale nucleare di scarto, non avrebbe mancato di farlo. Israele glielo ha impedito fisicamente. Quando il Presidente Obama ha fissato la linea rossa delle armi chimiche, ha di fatto consentito di utilizzare impunemente tutte le altre contro il popolo siriano. Infatti non si è battuto ciglio quando si sono spediti i missili balistici contro i nostri quartieri residenziali e zone industriali.
In diverse occasioni si è capito che la preoccupazione principe dell’Occidente non fosse di natura morale ma strategica. Si temeva infatti che le armi chimiche finissero in mano agli insorti e si diffidava il regime da un uso irresponsabile di tale arsenale. Si è detto senza peli sulla lingua che la priorità era quella di assicurare innanzi tutto la sicurezza dell’alleato israeliano.
Forse si temeva che, per agitare più efficacemente lo spauracchio terrorista islamico, il regime fosse tentato di farsi rubare un po’ di materiale pericoloso. E ciò affinché, una volta usato (come si pretende da parte dei Russi a gran voce sia avvenuto a Khan al-Asal ad Aleppo) si potesse dimostrare che il virtuoso regime siriano era il vero baluardo della civiltà di fronte alla barbarie terrorista islamista. Forse una simile linea rossa c’era, ma non tanto pubblicizzata, fin da quando i siriani inviavano i terroristi islamici in Iraq a farsi esplodere contro gli americani e i loro alleati…
Ma guardiamo alla cosa dal punto di vista etico della rivoluzione siriana. Ammettiamo per un istante che ci fossimo appropriati di armi chimiche sottratte agli arsenali di regime conquistati eroicamente. Immaginiamo di avere la capacità di usarle contro le forze armate del regime per risolvere il conflitto a nostro favore e salvare il nostro popolo da morte certa. Cosa ci sarebbe d’immorale? Tutte le armi possibili sono usate contro di noi. È ampiamente dimostrato che il regime fa esperimenti micidiali d’uso delle armi chimiche contro i partigiani rivoluzionari e la popolazione civile, proprio per vedere di superare quella maledetta linea rossa impunemente.
Chi volesse profittare della scusa dell’arma chimica usata da noi (noi, si fa per dire!) una volta (e non è affatto dimostrato) contro il regime, dovrà riconoscere di usare un argomento del tutto insostenibile e che gli si rivolge contro. Tutti questi che ci danno lezione di morale militare hanno gli arsenali pieni di nucleare, chimico, biologico e via ammazzando!
Se avete paura, giustamente intendiamoci, per la sicurezza dello stato di Israele, allora siate bravi, intervenite a pacificare la Siria, distruggete l’arsenale chimico, restituiteci il diritto all’autodeterminazione democratica e poi mettete alla giovane democrazia siriana quelle linee rosse che riterrete necessarie. In fondo per voi non cambia nulla sul piano della sicurezza se come partner regionale avete un regime assassino o una baldanzosa Siria democratica!
Invece se ci lasciate sbranare dal regime assassino, allora, ve lo promettiamo, la necessaria doverosa e disperata autodifesa ci consiglierà, ci obbligherà a costituire un tale micidiale pericolo alla sicurezza regionale da obbligarvi ad assumervi comunque le vostre responsabilità. Siete di fronte a gente che ha perso tutto, gli occhi sono accecati dalle croste delle troppe lacrime, i nostri figli sono crocefissi nelle galere del vostro alleato oggettivo. Abbiamo anche vissuto una guerra così sporca che i ragionamenti morali del Padre Paolo ci lasciano alla fine indifferenti. Solo un minimo di giustizia ci farà rinsavire. Solo un minimo di sincera autocritica da parte vostra ci permetterà di pensare a quel negoziato… che sappiamo in fondo necessario. Non è per minacciare, è invece per allarmare riguardo ad un pericolo oggettivo e già reale che mi lascio andare a propositi così drammatici. Ogni giorno, dei giovani rivoluzionari democratici, male armati e affamati, passano ai gruppi islamisti meglio organizzati, più motivati, meno digiuni, più addestrati e più garantiti di vita eterna in caso ci si debba sacrificare.
Per noi siriani della rivoluzione, la riconciliazione tra forze islamiste radicali e forze democratiche è una necessità strategica. Le scaramucce dolorose e i crimini insopportabili avvenuti tra noi devono trovare soluzione, essere riassorbiti, per presentarci uniti di fronte al pericolo totale rappresentato dal regime, appoggiato direttamente o indirettamente da troppi. Il tentativo di seminare guerra intestina tra le forze anti-Assad (a prescindere dal necessario intercettamento e disinnesco delle derive criminali) deve fallire. Questo gli agenti e i consiglieri militari americani farebbero bene a capirlo subito. Favorire i partner più affidabili, incoraggiare le evoluzioni più auspicabili è buono. Spingerci ad ammazzarci tra di noi non può esserlo.
Allorché l’Occidente, ma anche Russia e Iran, e l’Onu nel suo insieme, si pentiranno del crimine di complice irresponsabilità da loro commesso ai danni dei siriani, allora provvederanno a che Bashar al-Assad lasci Damasco e si ritiri coi suoi sulle montagne ancestrali, consegni i pieni poteri a un governo transitorio che prepari il vero passaggio democratico.
Le grandi potenze metteranno in grado le comunità locali siriane di assicurare la propria sicurezza, instaureranno efficacemente una corte internazionale di giustizia per la Siria, separeranno temporaneamente i contendenti del conflitto civile sulla base delle linee geografiche di appartenenza comunitaria, in vista d’una Siria unitaria confederale, assisteranno la massa dei civili diseredati e ridotti in miseria disperata, favoriranno l’evoluzione dell’islamismo politico nel suo plurale desiderio di democrazia musulmana, incoraggeranno le minoranze (proteggendole pure, è ovvio) a reinvestirsi nella cosa pubblica comune.
Quando questo succederà, allora noi vi promettiamo di fare di tutto per riassorbire la deriva violenta, radicale, islamista, qaedista! È nel nostro interesse. Essa infatti costituisce una non soluzione proprio per i ragazzi che vi ci sono arruolati. Sono nostri figli e non ci interessa perderli. Nessuna soluzione alla Tora Bora, neanche per i jihadisti stranieri!
La Siria sarà capace di elaborare una strategia pedagogica islamica di riassorbimento dell’estremismo. Non è la prima volta nella storia. Abbiamo la teoria e conosciamo la pratica. Non si può giocare il futuro del mondo sull’ipotesi islamo-pessimista. Lo sanno anche i politici che si fanno pubblicità a forza di xenofobia. Se non si vuole essere morali almeno si cerchi d’esser pratici. Razionalità sincera e moralità concreta vanno finalmente a braccetto.