La Repubblica, 2 febbraio 2015 (m.p.r.)
Sergio Mattarella e Matteo Renzi. I due Presidenti. Formano una strana coppia, tanto sono diversi e lontani. Anche se, fra i due, c’è un filo politico e culturale comune. Mattarella è stato e resta un democristiano - di sinistra. Uno di quelli che si definiscono - e vengono definiti - cattolici democratici. Renzi, invece, è post-democristiano. Interpreta un modello di (post) democrazia personalizzata e mediatizzata. Dove i partiti contano meno perché, in fondo, si sono liquefatti. Per questo l’elezione di Mattarella permette di precisare il tipo di leadership e di democrazia interpretati da Renzi. Leader dei tempi liquidi, al tempo della democrazia liquida. Secondo la nota formula di Zygmunt Bauman. Cioè: senza appigli stabili e senza riferimenti coerenti. In continua evoluzione e ri-definizione. Renzi ne ha fatto un ambiente amico. Dove agisce e decide, perlopiù, da solo.
Il confronto con la precedente elezione presidenziale, nell’aprile 2013, risulta, al proposito, esemplare. Allora, le elezioni politiche avevano fatto emergere un Parlamento diviso in tre grandi minoranze politiche. In-comunicanti e divise anche al loro interno. Pd, Pdl e M5s. L’elezione del Presidente ne ha fornito una prova decisiva. Ha, infatti, dimostrato che si era alla fine di una stagione infinita. Il Berlusconismo. Una storia chiusa, ancora nel 2011. Senza che ancora se ne fosse preso atto. Riproponendo gli stessi riti e le stesse procedure. Come se il mondo fosse lo stesso di prima. Diviso in due. Pro oppure contro. Berlusconi. Come non fosse avvenuta l’irruzione del M5s. Veicolo della frattura fra società, politica e istituzioni. Così è stata bruciata la candidatura di Franco Marini, ex leader della Cisl e della Sinistra Dc. Ma, soprattutto, si è consumata la candidatura di Romano Prodi. Padre dell’Ulivo e del Pd. In aula. Per mano dei franchi tiratori del Pd. Molti più dei 101 di cui si è parlato. In questo modo è finita la finzione. Che si potesse continuare come prima. Con le stesse logiche di “partito”. Quando i partiti erano finiti, insieme ai loro riferimenti. Crollati, insieme al muro di Arcore. La “proroga” di Napolitano al Colle segna questo passaggio incompiuto. Perché è una nondecisione . In attesa di tempi diversi. Leader diversi.
Due anni dopo, quei tempi sono maturati. Tempi liquidi. Segnati da partiti liquidi. Le tre grandi minoranze, uscite dal voto del 2013 non esistono più. Non sono più grandi come prima. Due di loro, almeno. Il Popolo delle Libertà, si è diviso in diversi popoli. Forza Italia, guidata da Berlusconi. Il Nuovo Centro Destra guidato da Alfano. Entrambi, peraltro, proprio in questa fase si sono scomposti ulteriormente. Mentre il M5s si è, a sua volta, frazionato, in Parlamento. Ormai non è chiaro quanti siano i “fedeli” a Grillo e Casaleggio. E quanti parlamentari abbiano defezionato. Quel che resta del Centro, infine, si è riunito in un’altra sigla: Alleanza Popolare. Ma, in effetti, appare una periferia del PdR. Il Pd di Renzi. Il principale, se non unico, vero “partito” di governo. Sfidato, solamente, da partiti anti-europei e anti-politici. M5s e la Lega di Salvini, per primi. Tuttavia, lo stesso Pd non si presenta unito. È “geneticamente” diviso. Negli ultimi mesi, minacciato dalla tentazione della sinistra interna di integrarsi con Sel. Per formare una sorta di Tsipras all’italiana.
Ripercorro fatti e avvenimenti noti. In modo disordinato e superficiale. Ma in grado, anche così, di rendere più evidente il segno di questa Repubblica. Di questa democrazia. Liquida. Senza schemi né riferimenti stabili. in questo ambiente immateriale e frammentario Matteo Renzi ha affermato la propria leadership. In Parlamento e fra gli elettori. Renzi, come si è detto fin dal suo esordio, è “veloce”. Mimetico. Spregiudicato. Spietato, se necessario. Ha stabilito, da subito, un dialogo con il Nemico. Berlusconi. Un Patto, si è detto, intorno alle riforme istituzionali e alla riforma elettorale. Ma poi ha proceduto diritto al “suo” scopo. Scegliendosi di volta in volta i nemici prima ancora degli amici. A Destra e a Sinistra. Il Centro l’ha assorbito subito.
Così, ha avviato e impostato le riforme con alleati diversi. Il Jobs act e l’abolizione del Senato elettivo. Fino alla riforma elettorale. L’Italicum. Di cui è difficile delineare i contorni, dopo tante mediazioni e riscritture. Modellando, di volta in volta, maggioranze à la carte. Di volta in volta diverse, a seconda dei casi e degli obiettivi. Primo alleato: Berlusconi. Formalmente all’opposizione ma, puntualmente, a sostegno delle maggioranza, nelle occasioni che contano. Fino a ieri. Cioè, fino all’elezione del Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella. Che non piace a Silvio Berlusconi. Per ragioni “storiche”, trattandosi di un “cattocomunista”. A suo tempo, ostile alla legge Mammì. Ma anche per ragioni “politiche” legate al presente. Anzi, al “momento”. Perché Renzi l’ha scelto senza consultarlo. Senza accordarsi con lui. E, in fondo, senza consultare nessuno. Così ha “liquefatto” ulteriormente Fi, Ncd e M5S. Ma ha riunito - e solidificato - il Pd. E la Sinistra, con cui il Pd si era alleato alle elezioni politiche del 2013.
Da ciò la differenza rispetto al 2013, quando l’elezione del Presidente aveva sancito l’impotenza del Pd e della sua leadership. Avviandone la crisi. La scelta di Mattarella, invece, oltre che al Paese, è utile a Renzi. Perché lo rafforza. Lo àncora alla storia politica del Centrosinistra, mentre lo disàncora da ogni alleanza stabile. Fuori e dentro il partito.
Renzi: è il premier dei tempi liquidi. Un “premier liquido”. Capace di cambiare forma. E di adattarsi a un sistema politico liquefatto. Renzi. Solo e veloce. Senza veri amici (politici). Questa è la sua forza. Ma anche il suo problema. Perché non ha vincoli. Ma neppure appigli e approdi stabili. Non ha neppure futuro. In questi tempi liquidi: esiste solo il presente. Ogni giorno: un porto nuovo. Un equipaggio diverso. E nuove insidie, nuovi nemici. Il viaggio potrebbe diventare faticoso. E rischioso. Anche per un navigatore liquido.