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Un piano salverà il paesaggio: 15 giorni per denunciare gli scempi»
18 Marzo 2007
Beni culturali
Gli impegni di Rutelli. Ottimi, ma manca l’essenziale: potenziare le soprintendenze e attuare il Codice del paesaggio. Dal Corriere della sera del 18 marzo 2007. E una postilla

ROMA — Prima di partire per Tokio (dove lo attende l'Annunciazione di Leonardo da Vinci per l'operazione cultural-economica «Primavera italiana 2007») Francesco Rutelli lancia una nuova sfida: «Tutte le soprintendenze competenti in materia di paesaggio dovranno, entro quindici giorni, comunicare alla loro Direzione generale le emergenze e le criticità più rilevanti. Il pericolo è che si assista in silenzio a un nuovo sacco del territorio italiano dopo la crescita incontrollata delle periferie nel dopoguerra, la massiccia cementificazione delle coste negli anni '60-'70, i danni provocati da tre successivi condoni». Di fatto, nel giro di due settimane il Ministero centrale disporrà di una nuova, attualissima «carta del rischio paesaggistico» con un censimento dei disastri annunciati o già in costruzione: e potrà agire. Ancora Rutelli: «La tutela del paesaggio italiano per ora è una priorità nazionale. Bisogna muoversi presto, prima che diventi un'autentica emergenza. Intervenendo in modo serio, non qualunquistico, frenando la progressiva diffusione della cattiva qualità architettonica dei nuovi interventi ma senza fondamentalismi, senza imbalsamare il territorio. È in ballo la scommessa di una generazione, riuscire a consegnare il paesaggio italiano in buone condizioni a chi verrà dopo».

Il caso Monticchiello, ma non solo, è quindi stato un campanello d'allarme: l'Italia «profonda», rurale, testimoniata nei quadri dei pittori della nostra grande tradizione, è in serio pericolo per un fenomeno che Francesco Rutelli ironicamente chiamerebbe «villettopoli, ma non voglio contrapporre il termine a vallettopoli». Ma «villettopoli» rende bene l'idea del fenomeno di ritorno alle campagne italiane (purtroppo non ai borghi spesso diroccati, restaurarli e farli rivivere sarebbe la vera vittoria di un Paese civile) che quasi sempre si traduce in agghiaccianti e inutili microperiferie di seconde e terze case che sfigurano per sempre antichi centri e paesaggi sublimi.

Dice il ministro per i Beni culturali: «La crescita esponenziale dei valori immobiliari spinge alla cementificazione selvaggia, a lottizzazioni continue». Il problema è noto e il ministro così lo sintetizza: «Il 60% del territorio italiano è vincolato (5 milioni 575 mila ettari) ma l'80% è amministrato da comuni con meno di 5000 abitanti. Spesso non hanno un geometra in organico, non parliamo di un architetto paesaggista. La pressione è enorme. Quindi i vincoli si rivelano inefficaci». La pressione di chi? Rutelli ricorre all'ironia: «La carne è debole...». Ovviamente è la pressione di quei costruttori molto «legati» alle realtà locali che vedono nel mattone un immediato risultato economico. Per questo il ministro pensa anche a un patto con le associazioni di quella categoria imprenditoriale: una progressiva sensibilizzazione sulla qualità architettonica, un impegno al rispetto del paesaggio, magari qualche facilitazione per restituire vita e bellezza agli antichi borghi cadenti invece di continuare a cementificare nel verde.

Altri strumenti che il ministro sta identificando. Prima di tutto «mai più un condono edilizio», con gli atroci e definitivi sconquassi che quello strumento straordinario comporta. La nascita di un nucleo di carabinieri specializzati nella tutela del paesaggio sul modello di quelli che già seguono furti e traffici clandestini dell'arte. La rapida approvazione — il documento verrà consegnato a giorni — delle varianti al Codice dei beni culturali, nella debole parte relativa al paesaggio, suggerite dalla commissione presieduta dal professor Salvatore Settis, neopresidente del Consiglio nazionale dei beni culturali. Il ministro non ne ha parlato, ma c'è chi giura che finalmente le soprintendenze dovrebbero obbligatoriamente esprimere il loro parere sugli strumenti urbanistici, come piani regolatori o attuativi. Parere che diventerebbe decisivo nelle aree sottoposte a vincolo.

Intanto Rutelli ha annunciato qualche «intervento significativo». Si sta lavorando a un accordo per arrivare all'abbattimento dell'ecomostro di Alimuri, scheletro in cemento armato fermo da quindici anni sotto la scogliera di Vico Equense. Parziale demolizione (e riqualificazione di ciò che resterà, magari destinandolo a un centro di formazione professionale) dell'hotel Castelsandra a Castellabate in provincia di Salerno, detto anche «Hotel della Camorra», 25 fabbricati piazzati su 13 ettari del parco del Cilento: il Tar ha appena respinto il ricorso della proprietà. Divieto di edificazione, in accordo con la regione Sardegna, intorno alla splendida area archeologica di Tuvixeddu a Cagliari. Attento riesame per le strutture teatrali a Torre del Lago per le manifestazioni pucciniane. Chiarimenti sulla proposta di lottizzazione per la vigna Santucci a Mentana, vicino Roma. Confermato il blocco delle ultime tre palazzine per Monticchiello (Siena), la madre di tutte le «villettopoli».

Postilla

Ottima la grinta rivelata dal ministro Rutelli. Ma sarebbe meglio se il ministro, prima di parlare di modifiche al codice del paesaggio, si desse da fare per attuarlo per la parte che gli compete: smettendo di firmare con le regioni “intese” che non significano niente e che fingono di essere quelle, ben più impegnative, previste dal Codice; smettesse di dire che il ministero non ha più poteri di annullamento, sostenendo le soprintendenze che li esercitano (come quella di Trieste a proposito di Baia Sistiana); e, soprattutto, assumesse subito i provvedimenti necessari per rafforzare le soprintendenze e le loro strutture regionali, essenziali per controllare effettivamente e durevolmente, mediante la pianificazione, il paesaggio italiano. Abbattere gli ecomostri è certamente utile, e paga bene in termini pubblicitari; ma serve a poco se non si lavora per impedire che sorgano, oggi e in futuro. Dare alle soprintendenze poteri per il controllo dei piani attuativi può essere un’idea convincente, ma è controproducente se prima non le si mette nelle condizioni di svolgere i loro compiti attuali.

Si veda anche la postilla all’intervista di Erbani a Settis del 14 marzo

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