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Maria Pia Guermandi
Un patrimonio trascurato
22 Maggio 2012
Articoli del 2012
Il patrimonio culturale decimato dal terremoto emiliano, ma l’incuria degli uomini ha ingigantito i danni sismici. L’Unità, 22 maggio 2012

Continua ad allungarsi, di ora in ora, l’elenco dei danni al patrimonio culturale nell’area terremotata: inatteso, per ampiezza, per chi non ha conoscenza di questi luoghi. E’ un tessuto di edifici e infrastrutture storiche diffuso capillarmente e per questo ne va respinta l’etichetta di “patrimonio minore”: proprio perché costitutivo del volto di intere cittadine e paesi, questo patrimonio ne rappresenta la stessa possibilità di esistenza. Non esiste Finale senza la sua torre dei Modenesi, Palazzo Veneziani, il Duomo, e neppure San Felice senza la Rocca, la parrocchiale eponima, la Canonica Vecchia, Villa Ferri (e la lista è solo esemplificativa, purtroppo).

Non ci sono forse emergenze da lista Unesco, ma un vastissimo repertorio di strutture che, in particolare per quanto riguarda l’architettura militare o quella signorile, testimoniano, nel loro insieme, l’eccellenza monumentale complessiva di un territorio che, fino ad adesso, aveva saputo conservarle con saggezza e competenza.

Fino ad adesso, appunto, perché l’intensità del sisma spiega solo parzialmente la gravità dei danni. Già Jean Jacques Rousseau, dopo il disastroso terremoto di Lisbona del 1755, additava la stoltezza degli uomini, rei di aver costruito troppo, e non la malevolenza della natura come maggiore colpevole della sciagura; così anche ora incuria e insipienza umana hanno aggravato quelli che potevano essere danni ben più sopportabili.

Il fattore moltiplicatore che ha ingigantito l’effetto distruttivo del terremoto sul patrimonio culturale è la mancanza di un programma di manutenzione degno di questo nome. Da anni, per mancanza di risorse e di personale, non vengono più effettuati controlli sistematici, per non parlare dei restauri riservati ormai solo alle “eccellenze”. Le verifiche anche statiche sono episodiche e legate ad eventi particolari. In pratica questo significa l’abbandono ad un destino di inesorabile degrado, accelerato, in questo caso, dall’evento sismico. E bastano davvero pochi anni di mancata manutenzione per aggravare il rischio di vulnerabilità in maniera determinante.

Come è successo per Pompei: non appena si cessa l’opera di ricognizione e manutenzione, i danni possono essere devastanti. Mancano i mezzi ed è sempre più evidente che il Ministero, il Mibac, annichilito dai tagli lineari tremontiani mai più recuperati, non è più in grado di garantire una decorosa operazione di controllo e manutenzione generalizzata e continuativa del patrimonio che è chiamato a tutelare. A questa condizione di impotenza oggettiva sarebbero chiamati a reagire, in prima istanza, coloro che la subiscono tutti i giorni in prima battuta, a partire dal Ministro e dalla dirigenza del Mibac che, al contrario, sembrano di fatto rassegnati ad una situazione di sfaldamento progressivo del sistema di tutela del patrimonio.

E la cecità nei confronti dei rischi territoriali è ormai generalizzata se le amministrazioni locali hanno potuto dar credito ad un incredibile progetto di stoccaggio di gas naturale in unità geologica profonda nel sottosuolo della Bassa Modenese.

Il progetto, contrastato a lungo dalla sezione di Italia Nostra e da Comitati locali e non ancora abbandonato, prevedeva di immagazzinare tre miliardi di metri cubi di gas naturale nel sottosuolo a circa tre chilometri di profondità esattamente nella zona oggi interessata dal terremoto con palese sottovalutazione dei rischi geologici e sismici che oggi si sono puntualmente manifestati in tutta la loro evidenza.

Contemporaneamente i media ci rimandano il mantra ossessivo di un’idea del nostro patrimonio culturale come strumento per generare ricchezza, petrolio a basso costo in grado di rilanciare la nostra economia perché capace di attirare masse di turisti pronti a spendere.

E che fare allora nel caso dei monumenti colpiti da quest’ultimo sisma, turisticamente poco eclatanti e spendibili, “importanti” non per il turista di passaggio, ma per il cittadino che quei luoghi quotidianamente vive?

Eppure anche in questo caso la risposta sarebbe abbastanza semplice: un programma nazionale di riqualificazione urbana, conservazione e restauro dei centri storici, consolidamento e manutenzione del territorio avrebbe sicuramente costi elevati, ma del tutto allineati alle decine di miliardi che l’attuale governo e il ministro Passera, in specie, è intenzionato ad investire nelle così dette “Grandi Opere”. Ma in più garantirebbe un tasso di occupazione addirittura triplo, secondo alcune stime, rispetto a queste ultime. Insomma, più lavoro e la prospettiva di un territorio migliore e di un patrimonio tutelato. Ce l’aveva già spiegato Cederna oltre trent’anni fa: è tempo di cominciare ad ascoltarlo.

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