“Non siamo qui per recitare una poesia, ma per alimentare il dibattito attorno alla nuova legge urbanistica nazionale”. Con queste parole Paolo Avarello introduce il terzo seminario sulla nuova legge urbanistica, promosso dall’Inu, giovedì 15 settembre 2005. Non c’è certamente nulla di poetico nelle parole di chi, qualche tempo fa, aveva rimproverato all’urbanistica di essere una pratica troppo grigia (“la nostra missione (è quella) di cancellare l'immagine cupa, noiosa e burocratica dell'urbanistica”, Urbanistica Informazioni, n. 197/2004). Che la discussione su una nuova legge urbanistica fosse potenzialmente più noiosa di un’analisi dell’ultima prodezza di Kakà è, purtroppo, chiaro a tutti. Il primo avvertimento di Avarello è, quindi, accolto con comprensione dall’uditorio del seminario. Più difficile è, invece, accettare l’invito che segue: “interroghiamoci però solo su quello che c’è scritto, non su quello che non c’è scritto!” Ma come, per una legge quadro di principi non si devono discutere gli argomenti trattati? Si deve discutere solo “quello che c’è scritto”, chè così famo prima?
Intanto, le parole del presidente dell’Inu cadono nel vuoto. Tutti i relatori che seguono dicono la loro su “quello che c’è scritto”, su “quello che non c’è scritto” e su quello che avrebbero scritto loro. Soprattutto quest’ultimo punto viene sviluppato a dovere. Per quanto riguarda il rapporto pubblico-privato è evidente che nella legge “il rapporto con il privato riguarda soltanto la parte attuativa del sistema pianificatorio” (Barbieri); “la perequazione è un principio fondamentale, deve essere un principio fondamentale” (tutti); “per governo del territorio la legge intende…” (e su questo punto le opinioni private si sprecano). Intanto, gli articoli di legge stanno lì, impassibili, a indicare l’esercizio delle funzioni amministrative (tutte le funzioni, sia quelle strutturali, sia quelle operative) “prioritariamente mediante l'adozione di atti negoziali in luogo di atti autoritativi”, a stabilire che “il piano urbanistico può essere attuato anche con sistemi perequativi e compensativi”, che il governo del territorio comprende “l’urbanistica, l’edilizia, l’insieme dei programmi infrastrutturali, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio e delle bellezze naturali, nonché la cura degli interessi pubblici funzionalmente collegati a tali materie”, mentre non comprende, evidentemente, l’ambiente, il suolo, l’energia, i rifiuti, il clima, eccetera.
Soprattutto la questione dei principi sembra confusa: se 2.000 anni fa bastavano tre principi a definire l’essenza dell’architettura (firmitas, utilitas, venustas), oggi, a definire il principio di governo del territorio, non basta l’essenza di un’intera storia politica.
È un seminario assai strano: ogniqualvolta prende la parola un dirigente dell’Inu (Barbieri, Avarello e, più tardi, Campos, Oliva, …), la legge Lupi sembra essere la panacea di tutti i mali dell’urbanistica italiana; quando, invece, tocca alle sezioni regionali dell’Inu o a relatori diversi, seppure vicini, culturalmente, alla dirigenza Inu ma, evidentemente, non interscambiabili con questa, la legge viene criticata dalle fondamenta: non convince la definizione di governo del territorio, c’è una grande preoccupazione per l’autorevolezza dell’amministra-zione pubblica e della definizione di interesse generale, mancano accenni fondamentali alle direttive europee sulla sostenibilità, l’ambiente urbano, il suolo, eccetera; manca soprattutto ogni riferimento alla realtà del territorio italiano, alle problematiche specifiche riscontrabili e alle opzioni politiche possibili. Ciononostante, ogni relatore, favorevole o contrario alla legge che sia (o sembra essere), viene salutato con un congruo applauso.
“E’ tutto merito mio” sussurra Campos, “è dal 1992 che sto lavorando a una riforma urbanistica”. E poco importa se dopo la formulazione dei principi per una riforma urbanistica al congresso dell’Inu nel 1995 si è passati alla proposta Lorenzetti nella precedente legislatura e, da lì, al disegno di legge Lupi, culturalmente situato agli antipodi! Importante è rivendicare la paternità della (contro)riforma urbanistica, non la propria coerenza intellettuale. Altrettanto importante è salvare l’esperienza di pianificazione di Roma con il suo “pianificar facendo” le sue “compensazioni urbanistiche”, i suoi “diritti edificatori” riconosciuti, riconoscibili e, in fin dei conti, riconoscenti.
C’è, in tutto ciò, una formidabile speranza: non è affatto vero che la linea dell’Inu collima perfettamente con quella degli estensori della legge Lupi. Semmai, sono i dirigenti dell’Inu che si “allupano”; gli associati delle sezioni locali, invece, hanno, da tempo, superato le (im)posizioni centrali. Infatti, le migliori leggi regionali non esistono grazie a una legge quadro nazionale, ma grazie alla sua assenza. Diversamente da quanto crede Oliva, ammesso e non concesso che sia vero che le quattro migliori leggi regionali (Basilicata, Emilia Romagna, Toscana e Veneto) siano già oggi conformi alla legge quadro nazionale, ciò non è indice della bontà della legge nazionale ma della tolleranza con la quale si osserva il centro dalla periferia.