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Ugo Mattei
Un mondo reso schiavo dalla ragione economica
28 Dicembre 2007
Capitalismo oggi
La seconda parte di un’interessante analisi del ruolo della proprietà privata nel sistema economico basato sulle merci. Da il manifesto del 28 dicembre 2007

La scoperta del «Nuovo mondo» non fu benedetta solo dai rappresentanti della fede cattolica. A legittimare la conquista delle Americhe furono i custodi della legge, che imposero l'appropriazione privata delle terre Il diritto che sancisce la proprietà privata entra in campo ogni volta che un prodotto dell'attività umana deve sottostare ai principî dello sfruttamento commerciale. È stato così per il colonialismo. È così per quei territori di confine come la manipolazione genetica e il world wide web

Il classico esordio di un corso universitario sul diritto di proprietà consiste nel chiedere agli studenti di sforzarsi nella descrizione innanzitutto esemplificativa e poi concettuale dell'argomento che sarà trattato. Invariabilmente gli studenti, basandosi sulla propria esperienza quotidiana, tendono a porre al centro della definizione un esclusivo potere dell'individuo su un bene materiale, sia esso un appartamento, un libro o un altro oggetto. Qualcuno identificherà poi la proprietà come l'oggetto su cui il titolare può vantare un diritto, come nella «roba» di verghiana memoria. A questo punto, il docente inviterà a non confondere il diritto con il suo oggetto. Altri studenti si spingeranno a parlare di proprietà di un'impresa, (gli stabilimenti di Mirafiori sono «proprietà» della Fiat), evocando il classico conflitto fra proprietà e lavoro, ma il docente interverrà prontamente per spiegare che, tecnicamente, le azioni non sono forme di proprietà ma semplici titoli di credito e che esiste una differenza profonda fra proprietà, impresa e azienda. Similmente, qualcuno dirà di avere la proprietà del proprio conto in banca o del proprio denaro, per scoprire anche qui che, tecnicamente, noi non siamo proprietari del denaro che depositiamo in banca. Godiamo di un semplice diritto alla restituzione dello stesso. Da questo momento in poi seguiranno domande alquanto problematiche.

Posso essere proprietario ed entro quali limiti di un altro essere vivente? Sono o posso essere proprietario del mio corpo o delle sue parti? Una coppia sterile è proprietaria delle uova congelate? (Fingiamo che la legge 40 non esista per carità di patria) Sono proprietario del mio posto di lavoro qualora assunto e garantito contro il licenziamento? Sono proprietario della mia immagine? La schiavitù è davvero finita o un'organizzazione carceraria privata è proprietaria degli ergastolani?

Potere assoluto sul mondo

Il test serve a mostrare la natura profondamente polisemica del termine e al contempo a spiegare agli studenti che il significato tecnico-giuridico, prodotto dal lavorio secolare della cultura giuridica academica notarile o giudiziaria, secondo le diverse tradizioni, ha poco o nulla a che fare con quello comune. Per ciascuna di queste e di altre domande simili, il giurista delle diverse tradizioni offrirà diverse risposte e utilizzerà un bagaglio tecnico che a forza di distinguere, farà perdere interamente il senso e il significato profondamente politico dell'«appropriabilità» privata delle risorse.

In Occidente siamo partiti dal diritto romano e dalla sua definizione di proprietà (dominium nella lingua latina) come potere assoluto (di «usare ed abusare» un bene) esercitabile su ogni oggetto del mondo fisico tangibile, compresi mogli, figli e schiavi su cui, come noto, il dominus aveva potere di vita o di morte. Per il giurista occidentale contemporaneo, dopo le lotte ottocentesche per l'abolizione della schiavitù, il diritto di proprietà (che ancora può esercitarsi su esseri viventi, ancorchè non più, legalmente, su esseri umani) ha oggi struttura variabile insieme alla molteplicità potenzialmente infinita delle forme dell'esperienza sensibile, e costituisce un insieme di poteri, facoltà e qualche obbligo (la Costituzione tedesca contiene il celebre enunciato: «la proprietà obbliga») che possono insistere su qualsiasi oggetto qualora il diritto «sovrano» stabilisca che esso è privatamente appropriabile. Il mondo appropriabile privatamente naturalmente varia, nello spazio e nel tempo, ed in modo anche molto netto, a seconda di quanto gli ordinamenti giuridici stabiliscono.

Un'espansione inarrestabile

La vicenda dell'abolizione della schiavitù - abbandonata in Occidente quando la struttura della produzione capitalistica l'ha ritenuta inefficienti rispetto ai suoi obiettivi - ha costituito l'ultimo arretramento significativo dell'appropriabilità privata di intere categorie di «oggetti» (per l'appunto gli esseri umani). Per il resto, la proprietà privata, celebrata come istituzione fondamentale di una società libera nelle «carte» dei diritti prestigiose come il bill of rights americano o la declaration universale dei diritti dell'uomo e del cittadino francese, ha sempre progressivamente conquistanto nuovi spazi alla logica del dominio individuale. Tolta la parentesi sovietica e quella degli gli altri (pochi) paesi in cui ancora i mezzi di produzione non sono oggetto di proprietà privata, la storia dei sistemi capitalistici ci mostra un processo apparentemente inarrestabile di espansione dell'appropriabilità privata dei beni, al fine di garantire giuridicamente lo sfruttamento economico di tutte le utilità che man mano, diventano appropriabili.

Man mano che avanza la frontiera (geografica o tecnologica) delle potenziali utilità, avanza dunque la struttura guridica del loro sfruttamento. Si tratta di un fenomeno espansivo documentato tanto dalla letteratura critica quanto da quella apologetica del capitalismo e delle sue istituzioni fondamentali di cui la proprietà privata, è la vera regina. Alcuni esempi, storici e contemporanei, renderanno l'idea in modo concreto di questo processo. La scoperta del nuovo mondo, all'origine dell'era moderna, conferisce alla proprietà privata una grande frontiera geografica di espansione. Un notaio viaggia sulla Santa Maria insieme a Cristoforo Colombo e documenta, con la precisione di tipica di questa professione dotta, i riti formali giuridicamente necessari attraverso cui il navigatore genocida può rivendicare legalmente la proprietà «scoperta» in nome della corona di Castiglia. Nella parte nord del continente nuovo, saranno i giuristi-filosofi più sapienti, seguaci della Scuola del diritto naturale (che a partire dal tardo quindicesimo secolo affina ed elabora in chiave di libertà la nozione romanistica del dominio), da Vittel a John Locke, a legittimare, sulla base della teoria della terra nullius abbandonata, selvaggia e quindi appropriabile per occupazione (come oggi le conchiglie sulla spiaggia), l'usurpazione delle terre abitate dai nativi.

In nome dell'efficienza

Risulta del tutto evidente che la proprietà privata ed individuale della terra non è un diritto in alcun modo naturale ed universale, né tanto meno l'essenza della libertà umana, ma un sempliche requisito istituzionale del suo «efficiente» sfruttamento economico in una logica di breve periodo quale quella tipica dello sviluppo capitalistico. Al più può leggersi come il presupposto della libertà di accumulazione borghese rispetto all'antico ordine feudale, il che è evidentemente un discorso del tutto storico e politicamente contingente. Infatti, i nativi americani, fossero essi al nord come al sud del nuovo continente, non essendo giuridicamente figli del dominio «romanista», non concepivano affatto l'appropriabilità privata della terra. Nella loro concezione, ancor oggi condivisa da molte popolazioni alla periferia dell'Occidente capitaista (si pensi alla festa boliviana della pacha mama o a gran parte del diritto fondiario africano) ma anche dal pensiero critico ed ecologista più avanzato, il binomio è semplicemente invertito. La terra non può appartenere ad un uomo proprio perchè l'umanità appartiene alla terra, sicchè la sottrazione e la violenza modernizzatrice sulla terra madre non può che causare la distruzione e la rovina dei suoi figli che con essa vivono in equilibrio.

Le grandi frontiere di possibile espansione per la proprietà privata capitalistica non sono prodotte soltanto dalla conquista politico-militare di nuovi territori fisici (quasi superfluo menzionare le frontiere contemporanee dell'espansione in Afghanistan e Iraq ecc.) ma anche dalle conquiste della tecnologia. Certe tecnologie sono infatti necessarie per sfruttare determinate utilità, anzi sono proprio costitutive delle utilità stesse. Per esempio, ai tempi dell'impero romano non avrebbe avuto senso immaginare una proprietà sull'etere elettromagnetico o radiotelevisivo, o ancora sulle profondità marine (è di qualche mese fa la notizia della conquista formale degli abissi del polo nord da parte della Russia) o, con l'avvento dell'«era internet», sull'informazione e quindi sui domain names dei siti, attribuiti oggi in proprietà privata sulla base del principio della prima occupazione, proprio come le terre nullius delle Americhe. È quasi superfluo notare che il principio dell'appropriabilità per prima occupazione è soltanto apparentemente neutrale. Esso infatti è a disposizione soltanto di chi abbia mezzi sufficienti per implementare le procedure dell'impossessamento ritualizzato necessarie per acquisire la proprietà. Solo i conquistadores infatti avevano sufficienti mezzi per occupare le terre americane (anche sconfiggendo le resistenze), ed erano sempre accompagnati da un giurista oltre che da un sacerdote per dar legittimità alla presa.

Oggi soltanto una minoranza (occidentale) di individui ha a disposizione i quindici dollari e l'accesso a Internet necessari per acquistare la proprietà di un domain name. Ed è per questo motivo che già sappiamo che determinate etnie sino state legalmente depredate perfino della propria presenza nel mondo virtuale, visto che, per esempio, Yanoumani.com è di proprietà di una compagnia statunitense. Per non parlare dei mezzi economici, tecnologici e politici necessari per occupare uno spettro di frequenze.

La difesa del bene comune

È assai interessante osservare come l'avanzamento tecnologico sia capace di restituire alla proprietà privata perfino spazi che essa aveva precedentemente perduto a causa dell'avanzamento della frontiera della civiltà. Nel corso del complicato processo di abolizione della schiavitù si era saputa imporre una visione del mondo per cui mai più il terribile diritto avrebbe potuto avere ad oggetto l'umano. Oggi la tecnologia consente l'espianto cadaverico, il congelamento degli embrioni, e l'utilizzo del Dna per la ricerca, tutti progressi utili ed affascinanti. Queste innovazioni tecnologiche vanno governate con strumenti pubblici al fine di trarre massimo giovamento sociale dalle utilità che producono. Nei fatti tuttavia è la proprietà privata, sempre più spesso concentrata nelle mani di potenti corporations, ad avere la meglio rispetto alle sue alternative pubblicistiche di governo della nuova frontiera del sapere.

In molti stati americani è la sua logica, sostenuta dai poteri economici e politici forti, a governare ormai le utilità che si possono trarre da cadaveri, embrioni e (la partita è soltanto all' inizio ma quanto mai aperta) genoma umano. Sicchè gli spazi pubblici si riducono a favore del profitto privato.

Sanno bene i boliviani a proposito dell'acqua, un altro bene comune assai attraente per il dominio privato, che quanto avviene al centro prima o dopo contagia la periferia. E la semiperiferia italiana farebbe bene per una volta ad abbandonare il miraggio culturale del centro (da cui sempre più massicciamente importiamo modelli giuridici e culturali) ed imparare anche dai modelli subalterni. La lotta per difendere i beni comuni se vuole essere vittoriosa deve essere lunga e continuativa. Non basta certo una giornata di sciopero e protesta ancorchè assai partecipata così come una giornata non è mai bastata per contrastare alcun altro orrore del capitalismo, a cominciare dalla guerra.

Il precedente articolo dedicato alla proprietà privata è stato pubblicato il 1 dicembre. In eddyburg è qui

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