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Federico Rampini
Un miliardo di affamati mai così tanti nel mondo
20 Giugno 2009
Capitalismo oggi
Le crisi dei ricchi le hanno sempre pagate loro. Fino a quando sopporteranno? La Repubblica, 20 giugno 2009

Per la prima volta nella storia umana soffre la fame più di un miliardo di persone, un sesto della popolazione del pianeta. È la stima della Fao, l’agenzia dell’Onu per l’agricoltura e l’alimentazione. «La sicurezza alimentare è sicurezza tout court - dice Josette Sheridan del World Food Programme - Un mondo affamato è un mondo pericoloso per tutti». La recessione globale è una causa di questo pesante peggioramento: oggi ci sono cento milioni di affamati in più rispetto al 2008. Un altro fattore cruciale è l’inflazione delle derrate agroalimentari che colpisce soprattutto i Paesi in via di sviluppo. Se in Occidente i prezzi sono in flessione, nel Terzo mondo i generi alimentari restano del 24% più cari rispetto al 2006, un onere insostenibile per il potere d’acquisto.

La "frontiera della fame" viene situata dagli esperti della Fao a 1.800 calorie al giorno. Al di sotto di questo livello di nutrizione i danni per la salute sono spesso irreversibili. La Banca mondiale stima che entro il 2015 moriranno da 200.000 a 400.000 bambini in più all’anno. Il 40% delle donne incinte nei Paesi poveri soffre di anemia, quindi dà alla luce neonati più vulnerabili alle malattie. Il numero di bambini sottopeso aumenterà di 125 milioni l’anno prossimo.

La geografia della malnutrizione resta sbilanciata. Al primo posto viene l’Asia-Oceania, con 642 milioni di persone sotto la soglia della fame: un numero impressionante, che però va commisurato a una popolazione di quattro miliardi. Il primato rispetto alla dimensione demografica spetta all’Africa sub-sahariana: 265 milioni di affamati, un terzo degli abitanti. Seguono l’America latina con 53 milioni, Nordafrica e Medio Oriente con 42 milioni. Nei Paesi ricchi abita la quota più piccola, ma pur sempre impressionante di affamati: 15 milioni di europei e nordamericani sopravvivono a stento, vittime di una invisibile carestia in mezzo al benessere. «È una contraddizione insopportabile - dichiara il dirigente Fao Kostas Stamoulis - perché gran parte del mondo gode di una ricchezza senza precedenti, anche in mezzo a questa recessione, eppure le vittime della fame raggiungono un record storico».

La crisi colpisce i Paesi dell’emisfero Sud in vari modi. Innanzitutto la battuta d’arresto della globalizzazione non aiuta: calano le esportazioni, si riducono le entrate dei Paesi emergenti. Automaticamente gli Stati hanno meno risorse da destinare ai sussidi alimentari, tagliano le sovvenzioni ai contadini poveri per l’acquisto di sementi e fertilizzanti. Perfino il disastro dei titoli tossici e della malafinanza ha ripercussioni nelle aree più povere del pianeta: le banche fanno meno credito a tutti, compresi gli Stati sovrani del Terzo mondo. Raccogliere capitali attraverso emissioni di bond sui mercati è diventato più difficile. Un’altra emergenza è il poderoso riflusso dell’emigrazione. Le tensioni xenofobe dei Paesi ricchi sono solo una piccola parte del problema. Ben più grave è l’impatto della crisi in quelle zone come il Golfo Persico che tradizionalmente assorbivano manodopera straniera (da India, Pakistan, Bangladesh, Filippine) e ora ricacciano a casa gli immigrati senza lavoro. Così s’inaridiscono le rimesse degli emigrati, un sostegno vitale per le campagne povere.

Se nei Paesi ricchi la recessione ha avuto almeno un effetto-calmiere sui prezzi, nell’emisfero Sud questo sollievo è quasi introvabile. Pur inferiori ai picchi dell’iperinflazione esplosa nella primavera 2008, i costi delle materie prime agricole restano insopportabilmente elevati rispetto a un paio d’anni fa. Nelle aree più misere del pianeta, per comprare il cibo essenziale a una famiglia di cinque persone oggi occorre lavorare in media dieci ore in più a settimana. «I consumatori dei Paesi poveri - si legge nel rapporto della Fao - devono spendere per nutrirsi il 60% del loro reddito. La caduta del loro potere d’acquisto è brutale».

«Questa crisi - avverte il direttore generale della Fao Jacques Diouf - è una minaccia seria per la pace mondiale». Un anno fa a quest’epoca vaste metropoli dei Paesi in via di sviluppo erano sconvolte dalle rivolte per il pane e per il riso, da Haiti a Giacarta. Più ancora dei contadini, l’anello debole di questa emergenza sono i ceti poveri concentrati nelle zone urbane, incapaci di rifugiarsi in un’economia di sussistenza. È lì che si annidano i focolai di tensione più esplosivi. L’unico raggio di speranza, secondo la Fao, è che gli alti prezzi agricoli diano un sostegno a milioni di contadini poveri, incentivando l’aumento della produzione. Devono rassegnarsi a fare da soli, questo è certo: anche gli aiuti dal Nord al Sud sono in calo, con il pretesto della recessione.

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