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Loris Campetti
Tutto il potere al (super)mercato. Fuoco sul lavoro
28 Aprile 2011
Articoli del 2011
A proposito dell’apertura degli esercizi commerciali il 1° maggio, difesa da umini dell’ex-sinistra. Il manifesto, 28 aprile 2011, con postilla

La domanda «ma si può andare avanti così?» non è della casalinga di Voghera ma dell'ex vicedirettore del Corriere della sera Dario Di Vico. Quel che «non può andare avanti così» è il tentativo vetero-operaista novecentesco di cosiderare intoccabile la festa del 1° Maggio. «Si possono difendere strenuamente i nostri privilegi sapendo, tra l'altro, che saremo gli ultimi a usufruirne? Si può aprire una querelle politica sul sacrilegio di aprire i negozi il 1° Maggio a Firenze, Roma e Milano?». Ad aprire la querelle, in realtà, è proprio il Corsera che ha scelto di cavalcare la decisione del democratico sindaco di Firenze, Matteo Renzi, di alzare le serrande della sua città nel giorno della festa dei lavoratori. «L'happy hour non si tocca, è la nostra trincea», è il grido di dolore di Di Vico scatenato contro la Cgil. Bisogna monetizzare e non rifiutare il lavoro festivo, lo impongono la modernità, la crisi, la concorrenza, i diritti dei consumatori e il Corsera. Facciamola finita con «i nostri sacri valori religiosi o politico-culturali che siano».

Ancora più esplicito è l'attacco di Antonio Polito, dalle pagine dello stesso giornale milanese combattente, al «vade retro shopping». Polito accusa la «discendenza marxista», per la quale «il cittadino-produttore viene prima del cittadino-consumatore». Un vero scandalo. Invece, aggiungiamo noi, non deve scandalizzare che Renzi, tra i due cittadini, scelga quello consumatore: non è un provocatore ma un coerente dirigente del Pd, nel cui atto costitutivo si cancella il lavoratore per promuovere il consumatore. Del resto, dallo statuto del Pd scompare anche la lotta antifascista, ma a questo aveva già provveduto diversi anni fa la Borsa di Milano decretando giornata lavorativa il 25 Aprile.

Nessun valore può ostacolare il libero mercato, figuriamoci il supermercato, «la catena non si ferma, non c'è ragione», cantava Giovanna Marini. La festa del 1° Maggio diventa come la sabbia che i luddisti mettevano negli ingranaggi delle macchine. Se il lavoratore viene retrocesso a schiavo - vedi Marchionne - mentre il consumatore viene incoronato come primo fattore anticrisi, si capisce tanto accanimento contro il 1° Maggio e quel che rappresenta. Sono passati 31 anni dall'80, quando il manifesto organizzò il convegno «Liberare il lavoro o liberarsi dal lavoro?» che si concluse presso a poco così: «Liberare il lavoro dal profitto».

Era un altro mondo, oltre che un altro secolo, quando i negozi restavano chiusi il 1° Maggio e anche il 25 Aprile. Anche quest'anno, a dire il vero, i negozi sono rimasti chiusi il 25 Aprile, persino la Borsa, ma solo perché la Liberazione coincideva con la sacra Pasquetta. Checché ne dica Di Vico, c'è valore (religioso) e valore (politico-culturale). Basta alzare gli occhi su Varsavia: per la prima volta dal secondo dopoguerra non ci sarà il corteo del 1° Maggio. Per lasciar spazio alla processione che celebrerà la beatificazione di papa Wojtyla. O tempora o mores.

Postilla

Ci sono gesti che rappresentano la natura dei nostri tempi in modo esemplare, riassumendo in una decisione amministrativa apparentemente modesta un evento epocale. La proposta (la decisione) di tenere aperti gli esercizi commerciali il giorno della festa dei lavoratori è uno di questi. L’evento che quella decisione splendidamente rappresenta è semplice a dirsi: la riduzione dell’uomo, da titolare di diritti, in cliente, in soggetto utile unicamente in quanto disposto a comprare merci, o a favorirne la vendita.

Dopo secoli di riscatto l’uomo diventa di nuovo servo: non più del Signore arroccato nel suo castello, ma dei meccanismi anonimi dell’economia data; non più servo della gleba, ma servo del Mercato. Ridotto tale dall’uso spregiudicato dei sempre più raffinati saperi e delle sempre più evolute tecnologie della persuasione occulta, della manipolazione culturale, della formazione surrettizia dell’ideologia dominante.

Anche il mercato ha i suoi intellettuali organici. Non ci meraviglia più di scoprire come alcuni di questi provengano da sponde una volta antagoniste. Anche questo è segno triste dei tempi. Rincuora solo il fatto che ancora ci siano aree che resistono: più nella società civile che nelle istituzioni.

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