Iannello è un segugio dal fiuto implacabile. La borsa a tracollo con una pianta di Napoli, quartiere per quartiere, e la macchina fotografica con il rullino sempre innestato, l'architetto va continuamente a caccia di abusivi sulle pendici dei Camaldoli, a Pianura, al Vomero alto, in Via Manzoni, via Petrarca, via Orazio. Gira a piedi prediligendo le zone a rischio. Appena scorge un cantiere sospetto si informa, sfoggia una invidiabile faccia di bronzo, si spaccia per funzionario di aziende che forniscono servizi e chiede di vedere le carte, i progetti, i permessi. A volte basta una lettura attenta del cartello che per legge dovrebbe trovarsi sulla palizzata di ogni cantiere. Un particolare lo incuriosisce e lui indaga, si intrufola. Più di frequente il cartello non c'è per niente. E allora ecco che si apposta, si nasconde e scatta fotografie. Nel suo archivio ce ne sono a migliaia: documentano ampliamenti e variazioni, garage che si trasformano e capanni per gli attrezzi che moltiplicano il loro volume. Sono sagome anonime, riprese durante la loro crescita, in vari stadi dello sviluppo: dal piccolo scheletro in cemento armato fino alla sistemazione degli infissi, passando per tramezzi e solai. Una tranquilla, domestica galleria di orrori.
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Scovare gli abusivi è rischioso. A casa, di notte, squilla il telefono, ma all'altro capo c'è il silenzio. Niente riesce ad impedirgli, appena scorge uno sbancamento, di correre dai vigili, di controllare che vengano messi i sigilli e di tornare al cantiere per assicurarsi che nessuno li abbia violati. Insieme al Wwf e al Comitato per la difesa dei beni culturali e ambientali presieduto da Alda Croce, firma un'infinità di esposti alla Pretura di Napoli o al Comune. Le denunce sono esasperatamente dettagliate, un capolavoro di prosa rovente colato in uno stampo burocraticamente ineccepibile, con la descrizione dei manufatti e il rosario degli articoli violati. Nel suo mirino finiscono interi fabbricati, palazzine a schiera, ma anche ampliamenti e sopraelevazioni. La sua attenzione è catturata da Vincenzo Sagliocco, un vero portento del mattone fuori legge, che costruisce su un tratto di verde panoramico e sottoposto a vincolo, compreso fra via Manzoni e via Petrarca. Sagliocco è autore di innumerevoli abusi in varie parti della collina di Posillipo. Qui si concentra una furia speculativa, che riempie anche gli ultimi buchi sopravvissuti nei decenni precedenti. Vengono lottizzati parchi e giardini. Iannello corre da un capo all'altro della città e per risparmiare tempo compila un modulo prestampato di denuncia: chiunque fosse a conoscenza di un abuso deve soltanto riempire le parti lasciate in bianco, con la località e il tipo di illegalità commesso. Il resto - l'intestazione, il destinatario, gli articoli di legge violati, la richiesta di un sequestro e di una procedura di urgenza - è già tutto scritto.
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Dal giugno del 1975 questa immensa mole di denunce trova un interlocutore più attento. Al Comune di Napoli si insedia una giu nta di sinistra presieduta dal comunista Maurizio Valenzi. Iannello mantiene aperto con il Pci il contenzioso sull'Italsider, ma alleanze e opposizioni non sono un vincolo permanente: i comunisti lo strattonano perché vorrebbe chiudere lo stabilimento di Bagnoli, ma gli stessi comunisti hanno preso l'impegno di contrastare speculazioni e abusi edilizi. E così l'architetto si schiera a fianco dell'amministrazione che usa le ruspe per sfidare una delle più radicate forme di illegalità. Il primo successo è l'abbattimento di tre palazzine nel parco di Villa Paratore, che sorge sul lembo estremo di Posillipo, sopra l'insenatura della Gaiola. Dalla parte degli abusivi si odono gli strepiti di Canale 21, una tv privata dove sono asserragliati monarchici, fascisti e il peggio del folklore neoborbonico. E anche la camorra, che in quegli anni non ha il peso che avrà negli anni successivi, lascia intendere di non gradire. Ma Valenzi non demorde. E in mezzo a un'opinione pubblica incredula vengono abbattuti quattrocento edifici abusivi, e diecimila alloggi sono confiscati.
[…] Finora ha ricevuto molti incarichi professionali, ma niente che gli consenta quel benessere che si riserverebbe qualunque architetto con le sue qualità, con una coscienza morale meno spessa, con maggiore accondiscendenza verso i desideri del committente, soprattutto se pubblico, e con quel ruolo nella vita politica napoletana. E non solo napoletana: dimessosi nel 1968 dalla carica di segretario provinciale del Pri, Iannello è membro del Consiglio nazionale di quel partito. Nel 1970 la Cassa per il Mezzogiorno gli affida il progetto di un centro di servizi culturali a Massafra. Si mette al lavoro, ma dopo un sopralluogo, stende una relazione in cui denuncia che il suolo scelto era stato destinato nel Prg in corso di approvazione a edilizia privata e accusa gli amministratori locali interessati alla lottizzazione. In alternativa propone che per quell'opera si utilizzi l'antico castello del paese, che ha bisogno di restauri. Da quel momento, nonostante solleciti per sapere cosa ne pensino, Iannello non ha più notizie dalla Cassa. Un anno dopo il Comune di Ischia vorrebbe costruire una strada carrabile e gli chiede di realizzarla. Lui dimostra che il danno ambientale sarebbe gravissimo. Molto meglio, assicura, un parco a verde pubblico con area pedonale. Il Comune, senza molto entusiasmo, gli dà il via libera. Il progetto è pronto, ottiene l'approvazione della Sovrintendenza e anche un finanziamento regionale. Ma non c'è niente da fare: il proprietario del suolo si oppone (preferiva evidentemente la strada) e il comune non se la sente di insistere.
Ogni impegno pubblico si traduce in un gravame privato. La scelta di non farsi pagare quando l'incarico ha un particolare rilievo sociale o, meglio, quando è connesso strettamente con la sua milizia ambientalista, quando in qualche modo si sovrappone ad un'iniziativa presa per conto di Italia Nostra, diventa un'abitudine, un costume che spesso urta le più elementari necessità sue e della sua famiglia. E' convint o che l'amministrazione statale o locale debba pagare, e anche bene, chi lavora alle sue dipendenze. Non è, insomma, un anacoreta che si diletti in opere di carità. E inoltre ha una tale considerazione per l'autorità pubblica, un tale culto per il primato dello Stato, da indurlo a pensare che il lavoro svolto in nome di interessi collettivi conservi una qualità e un prestigio da riconoscersi anche nell'onorario. In ogni circostanza, però, segue il dettato di una coscienza vigile. Nel 1973, diventato assessore alla Pubblica istruzione, Giuseppe Galasso istituisce una commissione di indagine sull'edilizia scolastica, che a Napoli è in condizioni di deprimente degrado. Iannello è chiamato a farne parte e per un lungo periodo si trasforma in detective, alternando rigore sociologico ad acume analitico. Ma non vuole una lira, nonostante scriva di suo pugno interi capitoli della relazione finale. Perché non esige compensi? In assenza di risposte certe si può solo supporre che abbia inteso troncare in anticipo qualunque sospetto, data la stretta amicizia con Galasso e la comune appartenenza al Pri.
L'architetto interpreta la militanza ambientalista come un servizio integrale che richiede una dedizione costante, cui sottomettere le spettanze professionali, le tecniche di studio e di lavoro. E' una regola dell'esistenza che si misura nei rapporti umani e che lo guida negli atteggiamenti minimi. In questo modo di concepire la vita non ha alcun posto l'interesse personale, è bandita la più innocente vanità. Questi comportamenti lo impongono a qualsiasi interlocutore, ma non hanno nulla di ascetico. E' gioviale e generoso. Ha una spiccata attrattiva per l'arte della convinzione, è un retore senza toga, spigliato, suasivo, martellante. Accanto alla parola, però, usa se stesso, il suo stile di vita per indurre in qualcun'altro un'opinione. Non ostenta nulla, l'esibizione lo ripugna, ma il risultato è che difficilmente sarebbe possibile ignorarlo. E poi ha un gusto esasperato per constatare di persona. Trascinerebbe chiunque - i giornalisti sono gli accompagnatori che predilige - e a qualunque ora del giorno e della notte, a visitare un luogo in cui è stato commesso uno scempio. Osserva e poi racconta, facendo sfilare un'impressionante mole di fatti e di numeri e disperdendo il suo periodo in tanti rivoli, nei quali lo immerge una cultura famelica, di storico e di umanista oltre che di tecnico. E appunta ogni cosa si imponga alla sua vista e sia degna di cura su dei fogli che trova rovistando nella borsa, un cumulo dissennato di oggetti, che sono l'appendice di un ordine mentale rigorosissimo, frequentemente in contrasto con le norme di una vita fatta di orari, di riti familiari o sociali
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