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Paolo Urbani
Tutela del paesaggio: Martini fai come Soru
20 Luglio 2007
Toscana
Un noto giurista critica la via toscana alla tutela del territorio e ne indica le ragioni. Da il Tirreno 14 luglio 2007, con una postilla

La regione più bella d’Italia è sulle pagine della stampa da parecchi mesi. I lettori hanno imparato a conoscere siti come quello di Monticchiello, la Val D’Orcia, Montegrossi, la Val di Magra, Fiesole, Capalbio, Bagno a Ripoli, san Macario, Lucca, più per gli interventi urbanistici in fase di attuazione in contrasto con la tutela del paesaggio che per la loro storia millenaria.

Il fenomeno sia ben chiaro è assai più ridotto di quello che si riscontra ormai in tutto il territorio nazionale, ma il problema resta.

Molti intellettuali autorevoli come Alberto Asor Rosa, Vittorio Emiliani, comuni cittadini, si sono riuniti in comitati e chiamano in correità la regione Toscana per l’assenza di controlli sui piani urbanistici e di vigilanza sugli usi del territorio locale in rapporto alla tutela ambientale e storico-artistica.

Le ragioni di questo processo di trasformazione che coinvolge in primo luogo le aree rurali, sono almeno quattro, sia di carattere giuridico-istituzionale che economico.

La principale è legata all’eliminazione – nella lr. 5/1995 – del sistema di controllo preventivo sui piani regolatori da parte regionale, in ossequio all’abolizione nazionale del sistema dei controlli sugli atti degli enti locali e ad una forzata interpretazione del principio di sussidiarietà – secondo il nuovo titolo V cost. – che considera la vicinanza delle istituzioni locali ai territori come la miglior cura dell’interesse pubblico. Teoria questa, che se applicata alla pianificazione del territorio riconoscerebbe implicitamente una “riserva” di piano regolatore cosicchè le popolazione locali – o meglio la rappresentanza politica di quelle collettività – avrebbero il diritto di disporre del proprio territorio come meglio credono. L’autoapprovazione dei piani regolatori e la mera verifica della loro coerenza agli atti di pianificazione sovraordinata come ad es. il piano territoriale di coordinamento provinciale – che di regola non detta prescrizioni ma solo indirizzi – hanno lasciato spazio a previsioni urbanistiche comunali spesso in contrasto con i principi dello sviluppo sostenibile. E questo sta accadendo in tutt’Italia. Di fronte a questo paradosso, basterebbe citare due sentenze del Tar Toscana con le quali prima la provincia di Lucca (6287/04) e poi la stessa Regione Toscana (98/05) hanno tentato inutilmente, come estrema ratio, di ottenere l’annullamento del Regolamento urbanistico del comune di Lucca perché in contrasto con il PTCP della provincia e con il PIT (piano d’indirizzo territoriale) regionale.

La lr 1/2005 “norme per il governo del territorio” prova a rimettere ordine nel sistema di controllo degli usi del territorio ma affidandosi ancora una volta all’autodeteminazione degli enti locali ancorché bilanciata da un sistema di concertazione che àncora le trasformazioni del territorio alla redazione degli statuti del territorio ed ai contenuti del PIT. Si tratta di modelli di pianificazione ancora in fase di elaborazione che pongono problemi interpretativi sull’efficacia delle disposizioni anche ad un giurista e che comunque richiederanno del tempo per arrivare a regime.

Il secondo motivo risiede in un sistema di partecipazione alle scelte pianificatorie comunali che non ha nulla a che fare con le inchieste pubbliche dei paesi anglosassoni, poiché l’amministrazione è restìa, ancor oggi, ad un’urbanistica effettivamente partecipata che potrebbe mettere in discussione la propria vision territoriale.

Il terzo è legato alla crisi fiscale dello stato che spinge i comuni a considerare gli usi edificatori del territorio come fonte di reddito per rimpinguare le casse comunali attraverso la riscossione dell’ICI e degli oneri di urbanizzazione che, sganciati, in base ad una legge finanziaria del 2002, da qualunque reimpiego nelle opere e servizi pubblici, possono essere utilizzati per finalità generali.

Il quarto motivo risiede nella perdita di senso – per le popolazioni locali – del paesaggio agricolo e nel progressivo omologarsi verso un non meglio definito paesaggio turistico fatto di seconde case, lottizzazioni intensive, e nell’abbandono progressivo del rapporto tra conduzione del fondo e attività edificatoria, tranne i casi di specializzazioni agricole gestite da veri imprenditori agricoli. La pressione speculativa tanto sulle coste come nelle colline interne distrugge le campagne italiane in funzione di una mal intepretata modernizzazione fatta prevalentemente di case con piscine abitate tre mesi l’anno.

Il paesaggio naturale ma anche quello “artificiale” opera dell’uomo, testimonianza avente valore di civiltà da tramandare alle generazioni future, non è più in grado di autogovernarsi diventando così in molti casi territorio in attesa di trasformazioni edificatorie.

Nel frattempo però, in molti piani regolatori vigenti dei comuni toscani vi sono previsioni urbanistiche che andranno in attuazione negli anni futuri e che presto potrebbero costituire oggetto di nuovi “scandali” edilizi, come già si sono affrettati a dire i responsabili regionali. Come dire il peggio deve ancora venire! Eppure quei piani regolatori sono comunque passati all’attenzione degli uffici regionali; possibile che una regione che svolge funzioni di programmazione e quindi di previsione degli sviluppi futuri non si sia resa conto, calcolatrice alla mano, che i volumi edificatori previsti in quei piani, specie di piccoli comuni, erano ben oltre i limiti dello sviluppo sostenibile e della loro potenziale crescita insediativa?

Che fare? Una soluzione ci sarebbe, quella del nuovo piano paesaggistico in fase di elaborazione, per di più oggetto di un protocollo d’intesa con il Ministero dei beni culturali come prescrive il Codice del paesaggio. Soluzione che, individuando nuovi beni paesaggistici di rango regionale o beni “identitari” sul territorio regionale, tra cui il paesaggio rurale, ponga limiti a queste nuove cementificazioni poiché le scelte del piano paesaggistico prevalgono, immediatamente, secondo la legislazione statale, sulle previsioni dei piani regolatori sottostanti.

Ma non pare che questa sia una strada promettente se la Regione Toscana intende redigere il contenuto del piano paesaggistico in collaborazione con comuni e province attraverso intese e accordi, lasciando poi agli enti locali la possibilità di una disciplina paesaggistica integrativa contenuta nel piano paesaggistico regionale (rectius piano d’indirizzo regionale).

Ora non vi è chi non sappia che le scelte sovraordinate non possono sempre essere ridiscusse con i destinatari di quelle tutele – a meno di non voler riprodurre anche qui la sindrome nimby (not in my back-yard) - poiché gli enti locali si muovono nell’ottica degli interessi particolari versus gli interessi generali di collettività anche più ampie di quelle regionali, come testimonia la risonanza internazionale di questa regione e le numerose presenze di cittadini stranieri che la frequentano per la qualità del paesaggio finora tutelato.

Mi domando se il presidente Soru, cui si deve il merito di aver sostenuto ad oltranza l’approvazione, un anno fa, del piano paesaggistico della Sardegna, avrebbe ottenuto lo stesso risultato di tutela, qualora si fosse messo a “contrattare” con i comuni costieri se era giusto o meno ridurre i 57 milioni di mc previsti sulle coste sarde dai vigenti strumenti urbanistici comunali!

La tutela del paesaggio non si “contratta” – come fossimo in un’area di riconversione urbana – poiché la sussidiarietà ambientale è spesso in contrasto con la ricerca del consenso. Il problema di fondo, a ben vedere, è tutto qui.

Sono in grado le regioni ed il ministero dei beni culturali di svolgere un’effettiva tutela e valorizzazione del paesaggio italiano? O dobbiamo ridurci ad intendere la sussidiarietà come un nuovo localismo dei territori locali? Il ruolo delle amministrazioni d’area vasta – le regioni – o centrali come il ministero dei bei culturali, può, quindi, essere decisivo per l’attuazione dei programmi di conservazione anche in funzione di accompagnamento come si usa dire oggi, e di controllo.

Nel rapporto tra regione e amministrazione centrale, lontane dagli interessi particolari, si gioca quindi la partita della tutela del paesaggio con i comuni, non perseguibile solo nella sua staticità (pena in qualche caso la perdita di significato della tutela) ma nel suo evolversi, sempre e comunque, tuttavia, nel rispetto della effettiva conservazione.

Postilla

Il primo errore del sistema toscano non è, come sostiene l’autore, quello di sostituire l’approvazione dei piani comunali con la verifica di conformità alla pianificazione sopraordinata, ma dall’assoluta intederminatezza di questa. L’errore è aver sostituito, a tutti i oiverllo sovracomunali, piani di chiacchiere a piani di prescrizioni. In contrasto anche con il codice dei beni culturali e del paesaggio. Non sembra che i due ministeri competenti alla “intesa” (Beni e attività culturali e Ambiente e tutela del territorio) se ne siano accorti.

Sull’argomento si vedano l'articolo di Luigi Scano e molti altri documenti nella cartella dedicata alla Toscana

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