Il manifesto, 9 luglio 2015
L’Europarlamento ha approvato le regole per il Ttip con 436 sì (Ppe, S&D, Alde), 241 no (Gue, Verdi, destre) e 34 astenuti. In pratica sono state approvati le «raccomandazioni» che includono un sistema alternativo alle controverse corti arbitrali private per le dispute investitori-stati (il cosiddetto Isds).
Le regole in Europa — a quanto pare — valgono per il debito greco, ma per la maggioranza del Parlamento europeo, come da paradigma orwellianio, valgono meno. Soprattutto se alla mattina le tribune dell’emiciclo a Strasburgo hanno traboccato come mai in almeno vent’anni per Alexis Tsipras e al pomeriggio si deve votare la Risoluzione con cui il Parlamento europeo esprime la sua valutazione sul Trattato transatlantico di liberalizzazione di scambi e investimenti tra Usa e Ue.
Valgono meno perché se una buona parte delle commissioni parlamentari ha espresso preoccupazioni per come la Commissione europea sta conducendo il negoziato — con scarsa trasparenza e considerando servizi, agricoltura e regole come merce di scambio per l’accesso al mercato finanziario, energetico e degli appalti Usa — fuori dal Parlamento gli hanno fatto eco oltre 2 milioni di cittadini che hanno firmato una petizione che chiede lo Stop alle trattative. E ciò fa problema alla cabina di regia dell’istituzione Ue.
Il convitato di pietra si chiama «franco tiratore»: da ormai da mesi le email, i profili Facebook e Twitter degli europarlamentari vengono inondati da migliaia di messaggi di cittadini che gli chiedono di trattare con cura la fragile democrazia europea e di dar voce, nella risoluzione sul Ttip, alle preoccupazioni diffuse sul contenuto di un trattato che mira a costruire un mercato comune transatlantico che, valendo il 42% del Pil globale, aspira a fare legge per il resto del pianeta. Per questo, con una forzatura procedurale inedita, il presidente dell’Europarlamento il socialdemocratico Martin Schulz fa saltare l’emendamento 40 al testo, che avrebbe permesso di far esprimere l’aula sull’arbitrato internazionale per proteggere gli investitori dalle decisioni degli Stati, il famigerato Isds, su cui proprio il gruppo socialdemocratico si era spaccato.
Lo fa esercitando le prerogative del presidente su un argomento controverso e lo fa una seconda volta, scegliendo di porre in votazione un emendamento di compromesso, elaborato dal suo stesso gruppo, in cui l’Isds si salva nella sostanza ma non viene più chiamato tale, e anzi si prefigura l’introduzione di una «super corte» di giustizia imprecisata nel medio periodo, che è una toppa quasi più brutta del buco alla giustizia ordinaria creato con l’Isds.
Saltano, così, uno dopoTutti gli emendamenti della società civile vengono sacrificati all’altare della «grosse koalition» popolare — socialdemocratica che mai come oggi teme l’Europa infiammata dal rialzo d’orgoglio greco. l’altro gli oltre cento emendamenti presentati in meno di due ore, soprattutto quelli di buon senso sostenuti dalle campagne Stop Ttip.
Salta l’emendamento sulla Human Rights Clause, che avrebbe anteposto la tutela vincolante dei diritti umani rispetto alle dinamiche di mercato. Resta un capitolo sullo sviluppo sostenibile solamente consultivo senza nessuno strumento impositivo. Viene bocciata la lista positiva per i servizi pubblici, che avrebbe permesso di scrivere nero su bianco i servizi che si vogliono mettere sul mercato, salvaguardando quelli non elencati. Viene bocciata la possibilità di inserire il riferimento a settori sensibili da escludere dal negoziato, come dovrebbe avvenire per alcune produzioni agricole, fortemente a rischio di estinzione.
La Commissaria al Commercio Cecilia Malmstrom, furbescamente, ringrazia via Twitter il Parlamento per il sostegno ricevuto, ma sottolinea anche che l’Isds è morto, cui contrappone la sua proposta, quella che, per dirla con la campagna «Stop Ttip» europea, mette il rossetto al maiale pretendendo che diventi qualcos’altro. Ma i conti non tornano per la coalizione di maggioranza, che tanto grossa non è più. 241 sono stati i voti contrari alla Risoluzione, molti di più di quelli algebrici tra maggioranza e opposizione. Si attende la lista del voto palese per capire chi c’è stato e chi no a far finta, per l’ennesima volta, di voler la democrazia impedendone l’esercizio.
E se l’Isds s’ha da cambiare, come ammette anche la Commissaria, vanno riaperti anche gli accordi commerciali con Canada e Singapore, che contengono l’Isds ed espongono già a rischio di cause i nostri governi. Da lunedì 13 Usa e Ue si rivedranno a Bruxelles per un nuovo ciclo di negoziati transatlantici, e ritroveranno ad accoglierli le stesse proteste e gli stessi dubbi di ieri. Il Parlamento ha perso l’occasione di farsene interprete, di diventare parte del cambiamento e non del problema democratico europeo che verrà affrontato dalla grande mobilitazione Stop Ttip di ottobre, che sembra necessaria oggi ancor più di ieri.
L'autrice è portavoce della Campagna stop TTIP Italia