Ilmanifesto, 11 luglio 2015
di Dimitri Deliolanes
Atene. L’economia è paralizzata ma la società ellenica continua a reagire con orgoglio. L’ultima proposta ateniese, molto rigida, è però migliore di quella pre-referendum, più favorevole ai poveri
È giunta per Alexis Tsipras l’ora della politica di governo, delle manovre non lineari allo scopo di portare la Grecia fuori dalla camera a gas a cui l’hanno condannata, per due settimane almeno, Schäuble e Dijsselbloem. Il premier manovra avendo il sostegno di un paese vivace e orgoglioso, consapevole della sua forza ma anche dei suoi limiti. Per risolvere il problema subito, da lunedì.
Con il blocco dei capitali l’economia è paralizzata e quando finirà la liquidità finirà anche la pazienza dei greci. È quello che probabilmente spera il potente partito neoliberista europeo per far fuori i «rossi» di Atene e dimostrare ai popoli europei che l’evasione dall’austerità è impossibile: evitare il grexit ma promuovere l’Alexit, lo tsipras-exit, magari sostituito o affiancato dall’uomo degli oligarchi, l’ex giornalista Stavros Theodorakis.
Tsipras sa come può far fallire questo progetto di «soft golpe». Sa di essere l’unico leader politico del paese, senza opposizione credibile né fuori né dentro il suo partito. Tocca a lui decidere cosa dire ai creditori, come fare le mosse giuste e in quale direzione. Sempre sulla scia delle chiarissime indicazioni che sono emerse dal referendum: continuare a negoziare ma tornare a casa con un accordo, non con un nuovo fallimento. I greci non vogliono austerità ma non vogliono neanche essere cacciati
dall’eurozona. E Tsipras non vuole dare fuoco all’Europa.
Ma ci saranno anche tagli proporzionali alle pensioni, aumenti all’Iva nelle isole, escluse quelle meno turistiche e più isolate, ma anche per tutti gli alimenti, esclusi gli essenziali, e anche i ristoranti.
Inoltre, dopo aver letto le ripetute prese di posizione di Matteo Renzi, personalità centrale negli equilibri europei, Tsipras in persona ha insistito affinché all’abolizione delle baby pensioni fosse data la massima priorità: da oggi fino al 2022 tutti andranno gradualmente in pensione a 67 anni o dopo 40 anni di contributi. Entusiasmo a Palazzo Chigi.
Ma questo sforzo di distribuire il peso in maniera più favorevole agli strati più poveri non è sufficiente a rendere buone queste proposte brutte, di austerità e di recessione, in vista di un compromesso forse onorevole ma sbilanciato verso la parte dei creditori. Il popolo greco continuerà a sanguinare.
Condizione perché l’accordo auspicato si risolva in favore della Grecia è che sia accompagnato da un chiaro e preciso impegno degli europei ad affrontare, in una data precisa, il problema del debito, reso ancora più urgente in vista dei 30 miliardi che Atene ha già chiesto al Mes — un altro passo indietro del governo. Ancora ieri il sempre “flessibile” Schäuble e la stessa Merkel esibivano pubblicamente fortissimi impedimenti amministrativi e normativi a procedere a un deciso taglio del debito greco e dare così soddisfazione a Washington. Per evitare un uso politico dell’ottusità burocratica teutonica (come è successo più volte con Varoufakis), Tsipras ha preferito usare il termine «rendere sostenibile» il debito, facendo capire che anche spalmarlo all’infinito con tassi ridicoli sarebbe una soluzione soddisfacente.
Un ultimo aspetto della vicenda, non secondario: ieri celebri corrispondenti da Bruxelles e meno celebri commentatori di opposizione in Grecia davano per scontata la ribellione dei deputati intransigenti di Syriza, arrivando al punto di definirne perfino il numero: 40 circa. Nel pomeriggio è effettivamente uscito un documento di critica alle proposte del governo, firmato da tre deputati e da tre membri della segreteria, totale sei persone. Probabilmente al momento del voto, attorno a mezzanotte, saranno di più. Ma è difficile che la maggioranza si spacchi.
Stando a Bruxelles, gli acuti osservatori non potevano prevedere che in mattinata Tsipras avrebbe affrontato il suo gruppo parlamentare dicendo che non può ammette fratture sulla strategia da seguire in questo «momento storico»: «Siamo arrivati insieme e ce ne andremo insieme. Dobbiamo governare. Tra una soluzione brutta e una catastrofica, bisogna scegliere la prima. Cerchiamo di dare battaglia sul debito e non siamo soli. E se la maggioranza viene a mancare, allora non farò ricorso agli altri partiti. Io non sono Papademos». Parole chiare, responsabili, senza infingimenti e demagogia.
di Pavlos Nerantzis
Durissima resa dei conti nel partito al governo, ma dopo sei ore di riunione a porte chiuse anche gli aderenti alla «Piattaforma di Sinistra» assicurano il sostegno parlamentare al premier greco Tsipras
La proposta di Tsipras ai creditori ha messo in gioco la sopravvivenza del governo prima e durante il dibattito parlamentare. Mentre scriviamo è in corso il dibattito in parlamento, ma ad eccezione di un paio di membri di Syriza che hanno annunciato il loro no al mandato per Tsipras a trattare, la parte più a sinistra del Partito, «Piattaforma di sinistra» ha annunciato il proprio sostegno al premier.
La palla dunque, ora, passa all’Eurogruppo. Il dilemma per i dirigenti di Syriza era cominciato quando è stato reso noto il contenuto delle proposte greche: dovevano scegliere se far cadere il governo o accettare un terzo programma considerato «lacrime e sangue»; un pacchetto di proposte, secondo i dissidenti, lontano dalle dichiarazioni programmatiche del «programma di Salonicco». Le discussioni nelle riunioni delle componenti del partito sono state accese. Tutti erano consapevoli che un voto contrario alle proposte di Tsipras avrebbe provocato un colpo d’arresto al governo delle sinistre. Una sconfitta per la sinistra greca, un colpo duro per l’Europa della solidarietà e dei diritti. Solo una settimana la Grecia con il «no» aveva dato un chiaro mandato a Tsipras per trattare senza mettere in discussione la permanenza del paese nell’eurozona.
Ora in molti si chiedono se abbia senso accettare nuove misure di austerità. Il primo a reagire è stato, come ci si aspettava, il ministro della Ristrutturazione produttiva e dell’energia, Panayotis Lafazanis, leader della «Piattaforma di sinistra», la potente componente all’interno di Syriza, che mentre scriviamo, ha confermato l’appoggio a Tsipras nel dibattito parlamentare.
La sua prima reazione è stata categorica: «non voteremo, ha detto, un terzo memorandum». Secondo Lafazanis, sibillino, la Grecia «non ha nessuna pistola alla tempia, esistono opzioni alternative» a un nuovo accordo con la troika. Altrettanto dure e scettiche nei confronti della proposta del governo sono state le reazioni di alti dirigenti della sinistra radicale greca.
Il clima è cambiato quando si è sparsa la voce secondo la quale saranno radiati dal partito e dal gruppo parlamentare tutti coloro che si oppongono al piano Tsipras. Quasi 6 ore è durata la riunione a porte chiuse senza la presenza di giornalisti e di telecamere. Sei ore drammatiche che hanno messo alla prova la compattezza del partito.
Tsipras, parlando venti minuti, ha lanciato un appello ai deputati esortandoli ad appoggiare un accordo con i creditori per ottenere un terzo piano di salvataggio in cambio di riforme. Altrimenti, ha detto, «non accetterò che il governo perda la maggioranza» (Syriza possiede 149 seggi sui 300 e Anel, i «Greci indipendenti», l’altro partner di governo, 13 seggi). Il premier greco ha ribadito che il governo «non ha alcun mandato per un Grexit».
«Ci troviamo di fronte a decisioni cruciali, abbiamo un mandato per ottenere un accordo migliore rispetto l’ultimatum che l’Eurogruppo ci aveva posto, non abbiamo un mandato per portare la Grecia fuori dall’eurozona». E poi ha concluso: «o andremo avanti tutti insieme o cadremo tutti insieme».
«L’uscita dall’euro è l’unica soluzione» ha detto uno dei tre rappresentanti del gruppo parlamentare di Syriza, Thanassis Petrakos, mentre l’altro, Nikos Filis si è schierato contro.
«Non abbiamo avuto né un piano preciso alle trattative con i creditori, né una buona squadra di negoziatori» ha sostenuto il vice-presidente della camera, Alexis Mitropoulos, ex socialista del Pasok. Ottimismo, invece, sull’accordo e sull’approvazione del parlamento greco, è stato espresso dal vice-ministro dell’economia, Dimitris Mardas e il ministro degli interni, Nikos Voutsis.
«La scommessa è quella di ottenere la fiducia degli investitori» ha sostenuto l’ex ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, mentre il suo successore Euclid Tsakalotos ha fatto notare che «la proposta è migliore rispetto al passato perché tra l’altro parla della necessità di ristrutturare il debito».
La riunione del gruppo parlamentare di Syriza si è conclusa senza votazione e nonostante le tensioni, si ritiene che al momento della votazione non voteranno contro più di 10 deputati.
Nonostante l’approvazione, si fanno insistenti le voci di dimissioni di alcuni ministri facente parte della «Piattaforma di sinistra»: Panayotis Lafazanis, Dimitris Satratoulis, vice-ministro della Previdenza sociale, Kostas Isychos, vice-ministro della difesa e Nikos Chountis, vice-ministro degli esteri.
Un’incognita è rimasta fino all’ultimo la posizione di Panos Kammenos, leader degli Anel, del partito di destra e partner di governo. Kammenos non ha firmato le proposte presentate ai creditori (non ha firmato nemmeno il ministro Lafazanis) perché prevedono la diminuzione delle spese militari e l’annullamento dell’aliquota Iva alle isole. «Non vuol dire niente che il nostro leader non abbia firmato. La Grecia rimarrà in Europa» ha detto il ministro Terence Kouik, braccio destro del leader Anel.
A favore della proposta greca si sono schierati il partito di destra Nea Dimokratia, i socialisti del Pasok e i centristi del Potami, il leader dei quali, Stavoros Teodorakis si è incontrato ieri a Bruxelles con Jean-Claude Juncker. I comunisti del Kke, invece, hanno denunciato «il terzo memorandum promosso dal governo» e ieri hanno organizzato una manifestazione di protesta alla centralissima Platia Syntagmatos di fronte al parlamento.
di Pavlos Nerantzis Grecia. La nuova proposta greca è di oltre i 12 miliardi di euro (quella precedente era di 8 miliardi) per i prossimi due anni, in cambio di un prestito pari a 54 miliardi di euro. Non è escluso, si possa arrivare fino ai 70 miliardi di euro.
Le misure discusse al consiglio dei ministri e presentate ai creditori – prima ancora di essere discusse nel gruppo parlamentare di Syriza e nel parlamento — prevedono nuovi tagli e aumenti delle tasse per far incrementare gli introiti statali, un impegno per la ristrutturazione del debito e un programma pari a 35 miliardi di euro per attirare investimenti e favorire occupazione e crescita. La nuova proposta greca è di oltre i 12 miliardi di euro (quella precedente era di 8 miliardi) per i prossimi due anni, in cambio di un prestito pari a 54 miliardi di euro. Non è escluso, si possa arrivare fino ai 70 miliardi di euro.
Parte di questo maxi-prestito finirà alla ricapitalizzazione delle banche elleniche le quali dovranno rifondersi: dai quattro istituti di credito (National Bank of Greece, Piraeus, Eurobank e Alpha Bank) ne rimarranno due. Il testo ellenico è di 13 pagine e si basa su un recente rapporto di 47 pagine e sulla proposta avanzata dal presidente della Commissione europea Juncker. Il testo prevede modifiche significative ai sistemi fiscali e previdenziali, nel tentativo di convincere le istituzioni che Atene ha adottato un approccio più realistico. Il surplus primario sarà dell’1% nel 2015 e del 2% nel 2016, ma ci sono degli interrogativi su come il governo riuscirà a ottenere l’obiettivo di quest’anno visto che per il momento la crescita è di appena 0,5% a causa dei ritardi per arrivare ad un’intesa.
Nella proposta è prevista una tassazione dell’Iva a tre livelli, con medicinali, libri, spettacoli d’arte e teatrali al 6%; alberghi, energia, prodotti alimentari freschi e generi alimentari di base al 13% (e non al 23% come proponevano i creditori) e degli alimentari lavorati, ristoranti e altro al 23%. Inoltre resta in vigore il 30% di sconto sulle aliquote Iva sulle isole, una vera e propria «linea rossa» per il governo.
L’aumento dell’Iva sugli alimentari significa che i prezzi aumenteranno subito dell’8,85%, mentre quelli degli alberghi potranno aumentare del 6,1%. Inoltre, il governo manterrà la controversa tassa sugli immobili (Enfia) nel 2015 e 2016 (quando Syriza era all’opposizione l’aveva aspramente denunciata) e aumenterà nel contempo gli sforzi per combattere l’evasione fiscale. Previsto anche l’aumento della tassa di solidarietà come pure di quelle sul lusso e sugli introiti delle grandi società dal 26% al 28% e per gli armatori fino ad oggi mai toccati dal fisco.
Per quanto riguarda le riforme previste nel sistema pensionistico sembra che Tsipras abbia intenzione di applicare la legge degli ex ministri del Pasok, Loverdos e Koutroumanis, che forniva una pensione di base e proporzionata per chi ne ha maturato il diritto a partire dal gennaio 2015. In cambio il governo greco insisterà sul rinvio dell’attuazione della «clausola di deficit zero» per le pensioni integrative (ci sarà la graduale riduzione dei benefici dell’Ekas entro il 2019).
Tutto sommato i pensionati saranno lievemente colpiti dalle nuove misure, mentre il nuovo sistema pensionistico avrà anche lo scopo di scoraggiare il pensionamento anticipato con l’introduzione di sanzioni più severe.
La proposta del premier greco prevede anche l’attuazione dei suggerimenti dell’Ocse, che includono l’apertura delle professioni chiuse, come i notai, la revisione della competitività in aree caratterizzate da pratiche di oligopolio e l’adozione di nuove strategie per combattere la corruzione aziendale, in particolare in relazione alle procedure d’appalto pubbliche. Nel campo delle privatizzazioni si parla di un nuovo modello con la partecipazione dello Stato.
I porti del Pireo (la cinese Cosco ha già acquistato una parte degli stabilimenti) e di Salonicco saranno privatizzati, secondo la proposta di Atene, così come andrà avanti l’affitto delle tedesche Fraport e Sientel degli aeroporti di periferia (nel passato Syriza si era opposto). Oggi i creditori dovranno valutare il piano ellenico, ma non è detto che sarà approvato. Tutto dipenderà da Berlino e in particolar modo dal ministro delle finanze Schauble, che controlla la maggioranza dell’Eurogruppo. Quello che interessa è la sostenibilità del debito greco ed eventuali nuove misure che i falchi europei potrebbero chiedere all’ultimo momento.
di Anna Maria Merlo
Crisi dell'Europa. Tecnici francesi hanno aiutato i greci a redarre un testo di impegni in grado di convincere i creditori. Prudenza tedesca. Oggi l'Eurogruppo, i vertici di domenica (a 19 e a 28) potrebbero venire annullati. Il piano di Atene deve poi passare al vaglio di almeno 8 parlamenti della zona euro. L'appello dei sindacati europei perché i cittadini non siano "penalizzati dal voto"
François Hollande è stato il primo a reagire dopo la presentazione della proposta greca, giovedì in tarda serata. «Serie e credibili, volontà di concludere», per il presidente francese. Per il primo ministro, Manuel Valls, «solide, serie, concrete». Non c’è da stupirsi della reazione francese: sono tecnici di Bercy (ministero delle Finanze) che hanno consigliato i greci e suggerito le migliori formule per arrivare a un’approvazione, che dovrebbe arrivare oggi all’Eurogruppo (sempre che ad Atene la proposta passi al parlamento).
Ieri, il fronte dei creditori ha cercato una risposta comune. Juncker (Commissione), Draghi (Bce), Dijsselbloem (Eurogruppo) e Lagarde (Fmi), in una video-conferenza, hanno discusso per presentare una analisi comune, che riceverà il via libera all’Eurogruppo di oggi e dovrebbe aprire i nuovi negoziati per un terzo piano di aiuti alla Grecia. Per il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, oggi ci sarà una «decisione importante», perché il testo greco è «tra i più approfonditi» presentati ai ministri delle finanze. Se tutto fila liscio, come spera Renzi, potrebbe essere reso inutile il vertice dei capi di stato e di governo di domenica.
Ma a Bruxelles insistono sul fatto che il Consiglio a 19, previsto domenica, dovrebbe comunque riflettere sulla richiesta greca di un «ri-profilamento» del debito, in sostanza una ristrutturazione. Inoltre, il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, ha anche convocato, sempre domenica, un Consiglio dei capi di stato e di governo della Ue, a 28, che ha in programma una decisione sugli «aiuti umanitari» alla Grecia – alimentari, medicinali. La commissaria al Budget, Kristalina Gorgieva, ha dichiarato: «stiamo organizzando un programma di sostegno di emergenza» che potrebbe raggiungere i 7 miliardi in un anno.
In Germania nessun entusiasmo. Solo l’Spd ha visto nelle proposte greche «un grande passo avanti», anche se Axel Schäfer sottolinea che «avrebbe potuto essere fatto da tempo». La Cdu, il partito di Angela Merkel, si interroga: «quale credibilità ha questa lista? sarà applicata?», si chiede il vicepresidente del gruppo Ralph Brinkhaus. Peggio gli alleati bavaresi della Csu, che giudicano il programma greco ancora «insufficiente».
Prudenza tedesca, ottimismo francese, italiano e persino slovacco, un’accoglienza favorevole a Bruxelles: ma la strada non è ancora spianata per un’uscita dalla crisi.
Intanto, c’è l’attesa per il voto al parlamento greco. Poi, altri parlamenti dovranno pronunciarsi su un terzo piano di aiuti: Valls lo ha promesso alla Francia questa settimana, poi come sempre la Germania, la Finlandia, l’Austria, l’Estonia, la Lettonia e la Slovacchia. In Olanda saranno i deputati a decidere se il piano richiede un voto, che potrebbe anche essere deciso in Irlanda. In Slovenia, il paese che in proporzione al pil è il più esposto con la Grecia, ci potrebbe essere un voto se verrà decisa una ristrutturazione del debito.
I sindacati europei hanno inviato una lettera alle istituzioni e all’europarlamento a favore di «negoziati in buona fede con l’obiettivo di trovare «un accordo socialmente giusto ed economicamente sostenibile con il governo greco», per «mantenere la Grecia nella zona euro e nella Ue».
di Paolo Pini e Roberto Romano
Durante l’ultima settimana è stato un continuo stillicidio di ipotesi tra l’irresponsabilità e la stupidità, con la Francia nella parte del poliziotto buono che ha tenuto un dialogo aperto all’ipotesi del No-Grexit con un nuovo Memorandum in continuazione dei precedenti, e la Germania nella parte del poliziotto cattivo che puntava ad alleggerirsi del fardello greco dall’Eurozona; gli altri paesi erano comparse di poco conto, appoggiando gli uni o gli altri, con l’Italia che neppure ciò riusciva a fare.
Tsipras ha avuto il merito di trasformare il «no» in una unica voce dietro la quale ha raccolto tutti i partiti greci che erano per il Sì, e così si è presentato di nuovo in Europa, al Parlamento Europeo per chiedere di proseguire il negoziato. Così facendo ha sgombrato il tavolo per quanti puntavano alle dimissioni del suo governo come condizione politica sine qua non per la negoziazione.
Ma non è riuscito ad evitare che sul tavolo rimanesse, nella migliore dei casi, solo l’ipotesi di un Memorandum che sancisce (a) nessuna concessione alle richieste greche di fermare le politiche di austerità e (b) nessuna ristrutturazione del debito greco.
È difficile non pensare però che essa non sia altro che un equilibrio temporaneo: la crisi greca rimane in agenda ed il rischio di quella sistemica dell’Eurozona viene solamente posticipato perché i fondamentali non mutano.
Per i creditori il debito va pagato, e sono disposti a concedere linee di credito solo a condizione di un Memorandum 3 prosecuzione dei due precedenti. Ma l’esito di ciò è il perdurare della depressione in Grecia, nella misura in cui il governo ellenico non ha un piano B, accettando di non dichiarare default e non prevedere un modo controllato di uscita dall’euro.
Gli interventi previsti e sui quali il governo greco è costretto a convergere sono consistenti, 12 miliardi di tagli invece degli 8 precedenti, per ottenere 50–60 miliardi di aiuti nel triennio; tra gli interventi vi sono la revisione delle imposte verso l’alto che andranno a penalizzare la domanda interna ed i servizi che la Grecia oggi di più esporta (turismo) e quelli sulle pensioni che anche essi non sono certo nel breve periodo a sostegno della ripresa della domanda.
Che le privatizzazioni siano poi il grimaldello per far decollare il mercato interno, su questo è lecito avere dubbi. Alcune delle modalità con cui ciò verrà fatto non sono comunque da disprezzare, e non piaceranno certo alla Troika, perché segnano che nella modulazione possono passare interventi che sono pure nel programma di governo di Tsipras (aumento delle aliquote sui profitti, tasse sulle proprietà, e sul lusso, tagli alla difesa — purtroppo modesti per l’acquisto di materiale bellico, tagli alle pensioni anticipate, interventi contro l’evasione fiscale e la corruzione, aiuti ai meno abbienti), come è da apprezzare avere ottenuto una consistente riduzione dell’avanzo di bilancio all’1% nel 2015 e quindi 2%, 3%, 3,5% negli anni seguenti sino al 2018 che la Troika avrebbe voluto inalterato attorno al 5% ed oltre del Pil.
Altri interventi sono vere e proprie concessioni alla Troika: aumento dei contributi sanitari per i pensionati, abbandono del contributo di solidarietà alle pensioni più povere, revisione delle normative sul mercato del lavoro secondo le migliori pratiche europee ed adozione di legislazione per la contrattazione collettiva da concordare con le istituzioni. Ma che tutto ciò possa favorire la crescita in Grecia è assai difficile da pensare.
L’accordo non prevedendo peraltro nulla di definito circa la ristrutturazione del debito e lascia la Grecia con il cappio al collo. Costretta a ripagare i debiti in base ai programmi stabiliti e tenuta a onorare tassi di interessi che sono considerati da usurai, sebbene di mercato (ma il mercato può ben essere in mano agli usurai!), alla Grecia rimarranno ben poche risorse per affrontare i nodi strutturali di offerta e di domanda.
Le risorse che servono per pagare i creditori verranno sottratte ad iniziative per ristrutturare la struttura produttiva greca che contribuirebbero anche a sostenere la domanda interna.
Così i nodi strutturali della Grecia non possono essere affrontati ed anche nell’ipotesi che una qualche crescita prima o poi si presenti all’orizzonte, il vincolo esterno continuerà a mordere, e quindi la necessità della Grecia di farsi finanziare con flussi esteri i deficit commerciali. Nel medio e lungo periodo quindi il rischio è che si ripresentino i problemi di sostenibilità del bilancio pubblico e dei conti esteri che assillano la Grecia da ben prima del suo ingresso nell’Eurozona, senza che nel breve periodo lo stato di depressione dell’economia sia alleggerito. Lo scenario rimane quindi cupo per la Grecia.
Se questo sarà la base dell’accordo (e come potrebbe essere altrimenti?) che verrà sottoscritto con l’Eurogruppo e con il Consiglio dei 28 entro domenica, la Grecia certo prenderà tempo, ma non è detto che ciò dia tempo all’Europa.
Nel frattempo, l’austerità continua, mentre la crescita può attendere.