I partiti e i populismi si dividono tra quanti non vogliono l'Europa e quantiu predicano l'austerity o l'hanno praticata. Gli italiani vogliono invece una Europa diversa. Solo la lista con Tsipras sembra esprimerli. Il manifesto, 16 marzo 2014
L’entusiasmo per l’Unione europea è comprensibilmente in calo per il modo iniquo e controproducente in cui la si sta costruendo. Tuttavia, l’europeismo e la consapevolezza dei vantaggi dell’unificazione mantengono radici più diffuse nei cittadini di quanto i politici percepiscono. Si è creato un ulteriore carenza di rappresentanza democratica che la lista L’altra Europa con Tsipras potrebbe riempire.
Un recente sondaggio realizzato per la Commissione europea (Eurobarometro standard 80) rivela che per il 74% degli italiani, i 28 stati dell’Unione dovrebbero cooperare di più per risolvere i problemi che l’affliggono; il 65% ritiene che l’Italia non possa affrontare da sola le sfide della globalizzazione; il 53% è favorevole all’Unione economica e monetaria e il 50% crede che per il nostro paese non ci sia un futuro migliore fuori dall’Ue (contro il 30% che lo ritiene possibile).
Tuttavia una quota crescente di italiani, passata dal 46% al 55%, pensa che l’Ue non stia andando nella giusta direzione ed è pessimista sul suo futuro; in particolare, essi ritengono che la disoccupazione sia il principale problema e (il 64%) che l’Ue, fautrice delle politiche di rigore, non stia creando i presupposti per ridurla. In definitiva, la maggioranza degli italiani è molto preoccupata per le politiche comunitarie e i loro effetti negativi; tuttavia, ribadisce la sua convinzione di fondo europeista, la convenienza del nostro paese a puntare sull’Ue e la necessità di accelerane la costruzione, ma cambiando il modo di realizzarla.
La questione su cui riflettere è che queste valutazioni largamente diffuse tra gli italiani trovano una scarsissima rappresentanza nelle forze politiche presenti nel nostro Parlamento.
Come è noto, Forza Italia – che esprime circa il 25% dell’elettorato - ha posizioni tradizionalmente euroscettiche e il governo Berlusconi, non solo ha condiviso le politiche di rigore della Commissione europea (che a parole critica), ma è andato oltre, inserendo nella Costituzione il vincolo del bilancio pubblico in pareggio.
Nel Partito Democratico — quasi il 30% degli elettori — le posizioni europeiste sono generalizzate, ma pur con interessanti eccezioni prevale l’adesione conformistica alla visione rigorista comunitaria che giustamente preoccupa la maggioranza degli italiani. D’altra parte, le decisioni iperrealiste dei governi Berlusconi e Monti sono passate in Parlamento con i voti determinanti del Pd.
Grillo – le cui posizioni fanno testo per il Movimento 5 Stelle, che esprime il 20–25% dell’elettorato — vuole non solo uscire dall’Euro e dall’Ue, ma anche rompere l’unità d’Italia. I piccoli partiti di destra e di centro — che arrivano a circa il 15% — o sono contrari all’Unione europea (come Lega e Fratelli d’Italia) o condividono le politiche di rigore (come Ncd e Udc).
E’ in questo quadro contraddittorio tra le posizioni dei cittadini e quelle delle forze politiche che stiamo andando alle elezioni europee; è in esso che s’inserisce la nuova lista L’altra Europa con Tsipras. Essa si è costituita per sostenere nel Parlamento europeo un programma che rigetta la controproducente logica economica del rigore; vuole cambiare i trattati intrisi della logica che ha portato alla crisi e ne impedisce la soluzione; intende rilanciare la crescita e l’occupazione su basi socialmente ed ecologicamente accettabili; chiede per l’Ue istituzioni (anche economiche) democraticamente rappresentative, in grado d’interagire più efficacemente con i mercati e contrastarne le speculazioni che arricchiscono pochissime persone a danno dello sviluppo complessivo.
La distanza tra le posizioni maggioritarie tra gli italiani (gli europei) sull’Unione europea e quelle euroscettiche o euroconformiste che prevalgono tra le forze politiche allarga il vuoto di rappresentanza democratica. L’altra Europa con Tsipras - che nasce rifiutando non la politica, ma il suo distacco dalla società causato da molti suoi «professionisti» - se non ricadrà in quelle patologie, in nuove forme di autoreferenzialità, nella riproposizione di logiche minoritarie e personalismi, potrà colmare quel vuoto.