La trappola in cui si trova incastrata l'Italia è ormai evidente...>>>
Il nostro Paese, come altri dell'Unione, subisce oggi una doppia perdita di sovranità. Da una parte patisce quel che patiscono tutte le realtà nazionali: la crescente sottrazione di potere da parte delle nuove feudalità finanziarie internazionali. Come un tempo i baroni insidiavano il potere del re sul territorio, allo stesso modo grandi banche e finanza occulta – « gli ignoti sovrani », come li chiama Guido Rossi - condizionano la vita e la politica economica dei governi. Ma al tempo stesso noi, come gli altri stati d'Europa, abbiamo perduto lo strumento che da millenni, insieme alla forza militare, fonda la sovranità degli stati: la moneta.
Ora, qualunque uomo di stato – figura di cui in Italia si è persa traccia e temiamo anche la “semenza” - da tempo avrebbe indirizzato i propri sforzi a raccordare le forze europee interessate a combattere la guerra di distruzione sociale ingaggiata dalla Troika e dalla Germania contro l'Unione. I governanti italiani avrebbero dovuto mantenere contatti febbrili non solo con la Francia, ma anche con la Spagna, con la Grecia, con il Portogallo, con l'Irlanda E non solo con i loro governi, anche con i loro popoli, la loro gioventù, gettati nella disperazione dalla crisi e dalla politica di austerità. Avrebbero dovuto contrastare una pratica autoritaria di governo dell'Unione con la forza e la mobilitazione di una parte vasta di popoli che ne fanno parte.
Certo, ai politici nostrani questa sarebbe apparsa come una iniziativa populistica: ci si muove attraverso le istituzioni rappresentative, non si mobilita il popolo. Ma questo popolo, come ricorda Fitoussi nel Teorema del lampione, vede ormai da troppo tempo la politica economica dell'Unione « indipendente da ogni processo democratico ». E si può costruire un grande edificio sovranazionale senza mobilitare le grandi masse dei vari paesi? In realtà l'Unione sta cancellando la più grande pagina di emancipazione politica della seconda metà del '900: l'avvento della democrazia. Vale a dire la società democratica, quella avanzata forma di vita associata che nasce dopo la seconda guerra mondiale. Nasce allora, perché quelle precedenti, a parte fascismo e nazismo, anche in USA, erano solo società liberali.
Ma oggi in Italia l' inerzia e il vuoto tramestìo da parte delle forze del centro-sinistra e del governo in carica, si combinano con un atteggiamento attendista e con una inettitudine di manovra che sgomenta. Si crede di esorcizzare il sisma sociale che va sgretolando il paese annunciando riprese prossime venture, uscite dai tunnel, scatti, crescita, ecc. consumando 9 mesi per riformare l'Imu: con l'effetto di non cambiare nulla della pressione fiscale, e aggiungendo supplementari e frustranti difficoltà al cittadino contribuente. Un'altra bandierina pubblicitaria recente è il semestre europeo dell'Italia, che naturalmente non cambierà assolutamente nulla della nostra sorte, come nulla hanno cambiato i precedenti semestri per i paesi di turno. Pura politica degli annunci, la sola dimensione in cui pare essersi rifugiata la superstite creatività del ceto politico del nostro tempo. Ma nulla autorizza svolte e riprese senza un cambiamento radicale della politica dell'Unione. Usando prudentissimi condizionali, il Bollettino di gennaio della Banca d'Italia ricorda implacabile: « il miglioramento dell'economia si trasmetterebbe con i consueti ritardi alle condizioni del mercato del lavoro:l'occupazione potrebbe tornare a espandersi solo nel 2015». Il «2015»! «potrebbe»! E nel frattempo?
Sul piano politico non è chi non veda il grande pericolo che è davanti a noi. Oggi in Italia, a criticare in maniera radicale e convincente la politica autoritaria e antipopolare della UE è la destra e il movimento 5 Stelle. L'irresponsabile “senso di responsabilità” del centro sinistra sta consegnando alla destra la critica all'austerità, questo terreno irrinunciabile per salvare il nostro paese e la stessa Unione. Di questo passo il governo Letta prepara le condizione di un successo elettorale del centro destra dagli esiti imprevedibili.
Di fronte a questo scenario uno spiraglio importante si apre con le prossime elezioni europee. La candidatura a presidente del Parlamento di Alexis Tsipras - caldeggiato, su questo giornale, da molti compagni e promosso ora da un importante gruppo di intellettuali (Manifesto, 18.gennaio) - incarna una scelta politica densa di significati e di opportunità. Tsipras e non Martin Schulz – degna persona – perché il leader tedesco è il rappresentante di una partito, la SPD, che ha scambiato, entrando nel governo di coalizione, i vantaggi nazionali per il proprio elettorato con l'accettazione della politica di austerità sostenuta dalla CDU e dalla Merkel. Una scelta apertamente antieuropea, di egoismo nazionalistico simile (non nella gravità, ma nella condotta politica) a quella del 1914, che portò i socialisti tedeschi ad appoggiare l'entrata in guerra del loro paese. Come opportunamente ricordato da Gad Lerner (Repubblica, 4.1.2014)Una candidatura, aggiungiamo, calata dall'alto, senza nessuna contrattazione, assunzione di impegni, senza nessun sondaggio dell'opinione del popolo della sinistra.
Ma Tsipras merita il nostro appoggio anche per altre ragioni. Non solo perchè incarna una critica radicale ma costruttiva nei confronti dell'Unione. Egli è il leader di Syriza, un partito che ha conseguito il 16% dei consensi, grazie a una paziente politica di tessitura delle disperse forze della sinistra greca. Syriza è una lezione per tutti noi. Per noi che costituiamo, senza dubbio, una delle costellazioni politico-intellettuali fra le più variegate e creative dell'Occidente, ma non riusciamo a solidificare la nostra fluida vitalità in un organismo unitario e potente. Abbiamo sviluppato sino al parossismo il gusto della distinzione e della differenza e abbiamo perduto l'intelligenza strategica che ci consegnava la tradizione comunista italiana: la ricerca dell'unità. La ricomposizione delle diversità e dei conflitti interni come orizzonte imprescindibile per sconfiggere l'avversario. Qualcuno ricorda che Gramsci volle chiamare Unità il giornale del suo partito?