UN ACCORDO TIEPIDO PER UN PIANETA
CHE HA LA FEBBRE ALTA
di Pietro Greco
I diplomatici parlano di una «svolta storica», arrivata dopo una estenuante maratona notturna. Ma quanto vincolante potrà essere la «piattaforma di Durban» se Usa, Canada, Giappone e Russia continuano a sfilarsi?
Con una sfibrante maratona, che si è conclusa ieri mattina alle ore 4.44, il ministro degli esteri del Sud Africa, signora Maite Nkoana-Mashabane, si è scrollata di dosso le ingiuste accuse di inefficienza avanzate dalle delegazioni di Francia e Germania, ha ottenuto il voto unanime dell’assemblea e ha evitato il fallimento diplomatico di Cop17, la diciassettesima Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione Onu sui Cambiamenti del Clima. Era visibilmente soddisfatta, addirittura entusiasta e fresca come una rosa Maite Nkoana-Mashabane, ieri mattina all’alba. E dal suo punto di vista di ministro degli esteri del paese ospitante Cop17 ne aveva ben donde. Nessuno, sabato sera, avrebbe scommesso un soldo bucato su questo accordo finale. Onore al merito di Maite e dei diplomatici del Sud Africa, dunque.
Quanto alla sostanza dell’accordo, il giudizio va quanto meno articolato.
Tenendo conto che erano almeno tre le questioni importanti in discussione: Cop17 e l’accordo globale per mettere su politiche comuni di contrasto ai cambiamenti climatici; il rinnovo del Protocollo di Kyoto, che riguarda i soli Paesi di antica industrializzazione e che scade nel 2012; il Green Climate Fund, che a regime (nel 2020) dovrebbe mettere a disposizione dei paesi in via di sviluppo 100 miliardi di dollari l’anno per cooptarli nella lotta ai cambiamenti climatici. Ebbene Cmp7, la Conferenza delle parti che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto è fallita. Almeno parzialmente. Perché non solo gli Stati Uniti, ancora una volta, non lo hanno ratificato, ma Canada, Giappone e Russia si sono sfilati. Non lo rinnoveranno alla sua scadenza. Solo l’Unione Europea e una manciata di piccoli paesi (Norvegia, Svizzera, Australia) hanno concordato di rinnovarlo fino al 2018. Quanto al Green Climate Fund si è deciso sì di implementarlo. Ma senza un’immediata dotazione di fondi. Si è creato il contenitore: e c’è chi lo considera un successo. Ma il contenitore è clamorosamente vuoto: e questo è un dato di fatto.
Eccoci, dunque, al piatto forte (si fa per dire). Quello che ha fatto gridare all’inatteso successo Maite Nkoana-Mashabane, i rappresentanti dell’Europa e molti altri. I quasi duecento Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione sul Clima riconoscono non solo che il cambiamento è reale e indesiderabile, ma anche che occorre uno sforzo congiunto, da parte di tutti, per contrastarlo. Questo sforzo deve consistere in un accordo, che dovrà avere «forza legale», che dovrà essere concluso entro il 2015 per diventare operativo a partire dal 2020. È un accordo con un’architettura barocca. E si espone a una duplice e divergente valutazione. Da un lato c’è chi saluta la novità politica: è la prima volta che c’è un accordo globale sulla necessità di un’azione congiunta nel quadro di impegno che abbia «forza legale». E, dunque, Durban ha realizzato quello che nessun’altra conferenza aveva mai ottenuto.
QUEI MALEDETTI 2 GRADI IN PIÙ
Dall’altro c’è chi guarda all’accordo con occhi tecnici: questo accordo non garantisce affatto che l’umanità riuscirà a contenere entro i 2 ̊C l’aumento della temperatura rispetto ai livelli dell’era pre-industriale. Entrambe sono delle verità. E tocca a ciascuno di noi valutare quale sia quella preminente. Intanto a Durban si contano, come sempre succede in queste occasioni, vincitori e vinti. Vincitore politico è certo il Sud Africa. Nonostante i sopracciò franco-tedeschi ha dimostrato di saper condurre in porto una barca oltremodo sgangherata. Vincitore è l’Unione Europea che si è ripreso lo scettro (effimero?) della leadership nella lotta ai cambiamenti climatici che Obama le aveva sottratto solo due anni fa a Copenaghen. Sconfitta – ma non troppo – è l’amministrazione Obama. È vero che non guida la carovana mondiale, ma è anche vero che potrà affrontare la prossima campagna elettorale per le presidenziali senza vincoli che la possano compromettere.
Restano invece nel limbo le grandi economie emergenti, la Cina, l’India, il Brasile. È vero che sono riuscite a non farsi lasciare il cerino in mano. Ma è anche vero che non sono riuscite ad assumere una posizione di leadership con la quale consolidare la loro scommessa sulla «green economy». Per loro, come per il clima, il passaggio a Durban è stato interlocutorio.
Corsivo
L’ULTIMA SUPERPOTENZA
di Pi.Gre.
L’accordo c’è e, infatti, i diplomatici parlano di successo. Ma è un accordo ancora privo di contenuti sostanziali. E, infatti, gli ambientalisti e molti scienziati parlano di grosso insuccesso. La domanda, allora, è: a che servono queste grandi assise del circo ecodiplomatico tipo Durban? La domanda è decisamente pertinente, se a vent’anni da Rio e dalla stesura della Convenzione sul Clima siamo ancora a un abbozzo di contenitore senza contenuti. E se l’unica piccola anforetta con un minuscolo contenuto – il Protocollo di Kyoto – torna a pezzi dal Sud Africa. Eppure, dopo averne riconosciuto tutti i limiti e le insopportabili lungaggini, la risposta è: le conferenze delle Nazioni Unite sul clima e sull’ambiente servono. Non fosse altro perché non hanno alcuna alternativa. Né efficiente, né democratica. L’Onu è barocca e inefficiente. Non è certo il governo ideale per affrontare i grandi problemi globali. Ma nessuno ha trovato finora di meglio. Nulla da fare, allora? Niente affatto. Occorre che scenda in campo, finalmente, l’unica, vera superpotenza residua: l’opinione pubblica mondiale. I governi, come i mercati, sono miopi. Non riescono ad alzare lo sguardo nel lungo periodo. Solo l’opinione pubblica mondiale ha la vista adatta. Purché sia sveglia e apra gli occhi.
L’UE: «UNA SVOLTA STORICA»
MA GLI AMBIENTALISTI:
«NON SONO PREVISTE SANZIONI»
di Emidio Russo
Entusiasmo a Bruxelles, che vede premiata la sua strategia. Anche il segretario generale Ban Ki-moon plaude. Ma il Wwf e il mondo ambientalista non è d’accordo: «Non è un accordo reale, mancano i vincoli».
L'accordo raggiunto a Durban nella notte tra sabato e domenica che stabilisce una nuova «road map» per il clima rappresenta «una svolta storica nella lotta contro i cambiamenti climatici»: lo afferma in un comunicato la Commissione europea. La soddisfazione, dopo un rush finale che aveva fatto temere i più che il vertice si sarebbe concluso con un clamoroso fallimento, è palpabile. «La strategia dell’Unione europea ha funzionato», afferma Bruxelles. «Quando numerose parti in causa hanno detto che Durban avrebbe dovuto soltanto applicare le decisioni prese a Copenaghen e Cancun, l’Ue aveva espresso il desiderio di una maggiore ambizione. Ed è quello che ha ottenuto», ha spiegato il Commissario europeo Connie Hedegaard, citato nel comunicato. «Kyoto divideva il mondo in due categorie, ora avremo un sistema che riflette la realtà di un mondo interdipendente», ha aggiunto il commissario europeo, che ha svolto un ruolo importante nelle trattative arrivate all’accordo dell’altra notte. «Con l'accordo sulla road map verso un nuovo quadro legale nel 2015 che includerà tutti i Paesi nella lotta contro i cambiamenti climatici, l'Ue ha raggiunto i suoi obiettivi chiave per la conferenza di Durban», ha concluso Hedegaard.
Anche il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, ha accolto con soddisfazione «la significativa intesa» raggiunta. La «piattaforma di Durban definisce il modo in cui la comunità internazionale si occuperà dei cambiamenti climatici nei prossimi anni», ha dichiarato Ban, poche ore dopo la fine delle trattative a oltranza che hanno impedito il fallimento della Conferenza.
AMBIENTALISTI CRITICI
Buona parte del mondo ambientalista tuttavia non è d’accordo. «Non hanno raggiunto un accordo reale, ma hanno attenuato i toni in modo che tutti saltassero a bordo», commenta Samantha Smith di Wwf International, notando che nel documento approvato non viene menzionato alcun tipo di sanzione. In base al protocollo di Kyoto del 1997 solo i Paesi industrializzati sono legalmente vincolati a ridurre le emissioni di carbonio, mentre quelli in via di sviluppo adottano misure su base volontaria. Con l’intesa raggiunta ieri, India e Cina si sono impegnate ad accettare invece in futuro target di emissioni legalmente vincolanti.
Critiche anche da Pechino: «Noi stiamo facendo quello che dovremmo e anche quello che voi non state facendo», ha detto durante i colloqui il negoziatore cinese Xie Zhenhua. Il riferimento era agli Stati Uniti, che nel 1997 non hanno ratificato Kyoto dicendo di non voler concedere alcun vantaggio competitivo alla Repubblica popolare. Il mondo, intanto, aspetta.