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Franca Leverotti
Toscana. PIT e le Alpi Apuane. Contraddizioni inquietanti
24 Ottobre 2015
Beni culturali
Il piano paesaggistico della Toscana ha fatto tutto quello che poteva per salvare le Alpi Apuane? non sembra, e c'è chi prepara un ricorso.

E’ notizia delle scorse settimane che il PIT toscano, già oggetto di ricorsi al TAR da parte di alcuni concessionari di cave, è stato impugnato con ricorso straordinario al Presidente della Repubblica da alcune associazioni ambientaliste: Mountain Wilderness, Amici della Terra, SIGEA, VAS, LIPU, CAI regionale, Centro Cervati e La Pietra Vivente.

Stupisce innanzitutto che le associazioni “storiche” (Italia Nostra, Legambiente, WWF e anche il più giovane FAI) non abbiamo aderito: una latitanza che contraddice vistosamente lo Statuto fondativo di alcune e soprattutto non è in linea con l’intensa attività mediatica a supporto di Anna Marson intrapresa da alcune di loro nei mesi precedenti. Stupisce anche il silenzio stampa di alcune penne di punta del giornalismo italiano contattate personalmente: una libertà “limitata” di scrittura che vediamo come un segnale assai preoccupante.

L’impugnazione di questo piano trova le sue radici nel fatto che relativamente all’area del Parco le norme del PIT violano l’articolo 142 del Codice in tutti i suoi commi, le leggi di tutela dei Siti Rete Natura 2000, le leggi di tutela delle acque superficiali e sotterranee ed il principio di precauzione. Le deroghe infatti stabiliscono che si può continuare l’attività estrattiva e ampliare i bacini estrattivi; si possono riaprire le cave chiuse, senza limiti di tempo, ovvero anche quelle rinaturalizzate e abbandonate per la cattiva qualità del tempo, oggi superabile con la produzione del carbonato di calcio.

Ebbene NON era questo l’intento del PIT, basta leggere l’audizione di Anna Marson al Consiglio Superiore del Beni Culturali, il solo testo relativo all’accordo con il MIBACT rimasto disponibile in rete (dato anche questo assai preoccupante) laddove dichiarava che la Giunta Regionale aveva stabilito che le cave nel Parco, esaurita l’autorizzazione in corso, andassero riqualificate e poi definitivamente chiuse, mentre le cave fuori dal Parco non potessero andare sulle vette e sui crinali, auspicando in merito una presa di posizione solidale del Mibact.

Chi ha manomesso il PIT? La risposta ancora una volta è nella dichiarazione di Anna Marson a PIT approvato e presente nel sito di Eddyburg, laddove richiama dapprima il conflitto «tra interessi collettivi e interessi privati, poi la presenza di emendamenti non coerenti con i contenuti propri di un piano paesaggistico», denunciando anche la «partecipazione di consulenti delle imprese del marmo alla scrittura degli emendamenti nelle stanze del consiglio regionale ed esplicitando tra i motivi di depotenziamento del piano che «nelle Apuane (sono state) cancellate tutte le criticità relative a specifiche aree interessate dalle escavazioni».

Nessuno ha smentito l’Assessore; anzi le sue accuse hanno trovato conferma nella dichiarazione dei concessionari riportata nel giornale “Versilia produce” di aprile 2015, laddove specificano che hanno ottenuto “soltanto”:
a) l’eliminazione della carta delle vette e dei crinali (che trova appunto la sua ragion d’essere nell’audizione al Consiglio Superiore del MIBACT);
b) lo stralcio della limitazione temporale per la riattivazione delle cave chiuse in area Parco e sopra i 1.200 (aree protette dal Codice!);
c) la semplificazione delle linee guida per la valutazione della compatibilità paesaggistica;
d) il coordinamento tra autorizzazione paesaggistica e valutazione di compatibilità paesaggistica.

Quale seria valutazione paesaggistica ci possiamo aspettare, dopo le manomissioni dei tecnici dei concessionari di cava ai punti c) e d) ? Non illudiamoci che le “nuove linee” fermeranno il disastro; sono note le autorizzazioni rilasciate dal Parco in conferenza dei servizi: i dinieghi diventano prescrizioni e gli abusi vengono differenziati in abusi permissibili o non permissibili.

Questi sono i fatti ricostruiti su base documentaria, ma un professionista competente, ignaro degli eventi, non può non rimanere sconcertato dalla lettura dei contenuti del PIT non solo e non tanto per il sistema delle deroghe che inficiano tutte le tutele che coprirebbero le Apuane, ma a partire dal fatto che questo PIT non è stato sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale, valutazione inderogabile per un Parco, ricoperto da una ZPS cui si sovrappongono 10 SIC , e dove si prevede l’ incremento esponenziale delle attività estrattive.

Sorprende anche che nel testo del PIT si precisi genericamente che le Apuane «sono interessate da numerosi geositi, quando i geositi sono almeno 253 puntuali e lineari (9 campi carreggiati, 5 campi di doline; 14 cordoni morenici; 37 cavità carsiche; 24 doline; 3 marmitte; 17 circhi glaciali; 25 picchi; 20 creste ecc.). Altrettanto anomalo è trovare scritto in un piano che dovrebbe garantire la tutela del paesaggio che sino all’approvazione dei piani di bacino ed entro tre anni sono consentiti, previa valutazione paesaggistica regionale, ampliamenti delle aree estrattive all’interno del perimetro autorizzato non superiori al 30% del volume consentito dall’autorizzazione vigente, se l’autorizzazione è in scadenza e se è stato esaurito il quantitativo concesso. E’ consentita altresì la riattivazione di cave e rinnovi per volumi non superiori al 30% di quanto consentito nell’ultima autorizzazione. Questo sarà concesso una sola volta». Siamo in un contesto di Piano paesaggistico o di Piano estrattivo?

Nel caso del comune di Minucciano «in considerazione del valore economico e sociale che le attività estrattive anche sopra i 1.200 m rivestono per Minucciano si consente di proseguire lo scavo anche sopra i 1.200 metri, garantendo il minor impatto paesaggistico, a TUTTE le cave del Comune comprese nei Bacini 2, 3, 5. Le cave attive del Comune di Minucciano sono 19 (10 di queste sono sopra i 1.200 m), quelle inattive (che al momento non hanno trovato acquirenti) sono 7; non conosciamo il numero delle cave inattive censite nel piano regolatore del Comune. Da un’intervista al Sindaco Poli, dopo la sua elezione, si ricava che nelle 10 cave dei bacini di Orto di Donna e Acquabianca sono OCCUPATI 20 operai. Deroghe sono concesse anche all’Henraux per il bacino dell’Altissimo quando sono in corso processi con la locale ASBUC che contesta alla ditta la proprietà di ben 378 ettari rispetto ai 540 rivendicata dalla società . Continuerà così l’attività estrattiva che ha ridotto ad un mozzicone il picco di Falcovaia alla cava delle Cervaiole, il cui ravaneto ha sepolto una sorgente e imbianca periodicamente il canale del Giardino (non compreso stranamente nell’area Parco, ma interno al SIC 18), dove vive una specie protetta: la Bombina pachypus ( valutata In Pericolo (EN) nella recente Lista Rossa redatta dal Comitato Italiano IUCN). Infatti il recupero dell’estesa discarica di cava e del reticolo idrico sottostante si intendono raggiunti con l’utilizzo di tecniche meno impattanti (forse lo scavo in galleria?) e con <<interventi di risistemazione ambientale e paesaggistica durante e al termine della coltivazione». Sarebbero i primi interventi di risistemazione attuati dal 1997, anno di creazione del Parco, ma risulta difficile pensare ad una loro realizzazione contemporanea all’escavazione.

Sempre nell’Altissimo, sono state riaperte a partire dal 2010, in area Parco, ben 3 cave: il ravaneto della cava Macchietta (cava in galleria a m. 1081 ) sta compromettendo la sorgente della Polla; la cava Mossa è stata ri-aperta nel 2013 nonostante il parere negativo della Provincia di Lucca; la cava Buca è stata ri-aperta nel 2013 nonostante la presenza, accertata tramite georadar, di numerose fratture. Ma già la strada che conduce alla cava Cervaiole era stata realizzata senza l’autorizzazione del Parco: pochi esempi per mostrare il comportamento anomalo del Parco.

Alla Cooperativa dei beni comuni di Levigliani che coltiva le cave nella logica della valorizzazione e del mantenimento delle risorse per le future generazioni, il PIT dei concessionari consente «L’ampliamento delle attività estrattive esistenti, anche al di fuori del perimetro autorizzato, in deroga all’art. 10 della Disciplina dei beni paesaggistici, subordinato all’individuazione di specifiche modalità di coltivazione che riduca al minimo gli impatti sugli elementi della morfologia glaciale»: siamo al di sopra dell’Antro del Corchia. Si tratta del complesso carsico più lungo d’Italia (oltre 60 km esplorati ad oggi) e uno dei più importanti d’Europa: uno dei caposaldi del Geoparco (geosito n. 194) e al quale l’ISPRA ha dedicato il volume The Corchia cave (Alpi Apuane). Il Pit della Marson descrive questa stessa area caratterizzata dalla presenza di rilevanti valori naturalistici (elevata concentrazione di habitat e specie di interesse comunitario e/o regionale, presenza di Siti Natura 2000), geomorfologici (circhi glaciali e vasti complessi carsici ipogei ) e paesaggistici.

Non sono ammesse autorizzazioni all’escavazione nel Retrocorchia» recita il PIT, ma qui si scaverà ancora perché si prevede “la riqualificazione paesaggistica della cava e della discarica del Retrocorchia”, nonostante un progetto di ricerca sulla valorizzazione delle biocenosi esistenti, finanziata dall’ente Parco con Delibera Dirigenziale 50/2007 e 32/2009.

Questi pochi esempi rendono comprensibile – spero- il ricorso delle associazioni ambientaliste di nicchia contro il PIT, limitatamente all’area del Parco, e spiegano anche l’appello che le stesse hanno rivolto tramite il Gruppo di Intervento Giuridico onlus, al Presidente della Repubblica affinchè il PIT manipolato venga azzerato ed il Parco delle Alpi Apuane possa godere di un PIT conforme alle leggi dello Stato.L'autrice è stata Consigliere nazionale di Italia Nostra ed è referente del presidio Apuane del Gruppo di Intervento Giuridico onlus

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