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Franco Girardi
Tornare alla ricerca interdisciplinare sulla “questione delle abitazion
10 Febbraio 2011
Recensioni e segnalazioni
Segnalazione di un lavoro dell’università Federico II di Napoli, curato da Costanza Caniglia Rispoli e Amalia Signorelli

“La ricerca interdisciplinare tra antropologia urbana e urbanistica. Seminario sperimentale di formazione” a cura di Costanza Caniglia Rispoli e Amalia Signorelli, ed Scientifica Guerini, Milano, 2008.

Questa è una segnalazione tardiva se si guarda la data di edizione, argomento urgente se si bada al contenuto. Si tratta di un corso che le due autrici e curatrici, docenti alla Università Federico II di Napoli, la prima in urbanistica, l’altra in antropologia urbana, tengono da circa dieci anni agli studenti di architettura e ingegneria e di sociologia.

Lo scopo del corso è di addestrare i partecipanti al lavoro di gruppo interdisciplinare su temi di comune interesse concernenti la città, la sua formazione, l’uso che ne fanno gli abitanti, le risposte che essa offre ai loro bisogni e alle loro aspettative. E’ come riprendere in termini attuali (che diciamo di “vivibilità”) quello che un tempo fu detta “questione delle abitazioni”. I problemi che ne vengono fuori sono sempre tanti, anche se altri da allora, da affrontare su un piano diverso, squisitamente culturale (e pur sempre politico) ma non meno pressanti per l’urbanistica e per la politica.

Il libro riporta anche i contributi di altri docenti al corso seminariale: A. Dal Piaz, F.Rispoli, A.Baldi, P. Ferone, C.Caputo, D. Mello, E. Petroncelli, A. Miranda; e, riflettendone la struttura, si divide in cinque parti. Inizia col ricordare i principi le finalità e i metodi delle due dottrine che si confrontano nel corso, e si diffonde poi sui vari temi trattati e sulle esperienze effettuate, particolarmente nella città di Napoli. Ne segnalo, in breve, alcuni punti più significativi e le principali questioni trattate.

Anzitutto, il fine dell’impegno interdisciplinare è quello di indagare le relazioni esistenti tra gli abitanti e i luoghi, le quali ( detto con le parole del libro) sono “relazioni dotate di senso, significanti di significati e orientate secondo valori”. Perciò, si avverte, occorre non tanto “guardare” le cose con gli occhi, ma “vedere” con la mente la sostanza umana vitale che le anima.

Il che, mi sembra di poter dire, comporta di allargare l’interesse su altre dottrine oltre quelle considerate nel seminario (per esempio la psicologia della percezione e in genere quelle di ambito semiologico), nonché di affrontare problemi non nuovi per noi, ma forse non ben afferrati e risolti.

La questione principalmente trattata nel libro è, naturalmente, quella del lavoro interdisciplinare, la quale, a ben vedere, è connaturata al nostro mestiere di urbanisti, applicato a una materia di per sé multidisciplinare.

A questo proposito vale la pena ricordare come non sia mai stato facile

definire con sicurezza quale sia il ruolo proprio dell’urbanista, in bilico tra la tentazione demiurgica e l’ansia di dover praticare cose che altri, meglio di lui, sono deputati a fare. Ruolo che, se si intende la interdisciplinarietà non quale mero incontro di competenze a più voci ma, come è detto nel libro, “quale pratica comunicativa tra campi disciplinari distinti… che consenta il riconoscimento condiviso di problemi in vista di soluzioni possibili”, comporta per l’urbanista di saper cogliere l’essenziale contenuto (obiettivi e metodi) delle varie dottrine, e per parte sua dare la forma appropriata alle cose che esse suggeriscono di fare (nello spazio e nel tempo). Ruolo afferente alla disciplina estetica, che il nostro amico Vezio De Lucia più di una volta non ha esitato a riconoscere nel perseguimento della bellezza.

Altro problema, tutt’altro che secondario, e quasi conseguente al primo, è quello della “partecipazione”. A questo proposito, diversamente da come si pensa e si procede abitualmente nella produzione urbanistica ed edilizia specialmente ma non solo pubblica, vanno tenuti in considerazione e debbono essere presenti non solo i due abituali soggetti operativi: da una parte i politici amministratori, i quali avendo il potere decidono di fare i piani urbanistici ed edilizi, dall’altra gli urbanisti architetti e ingegneri che, in qualità di esperti, propongono come farli. In verità c’è un terzo essenziale soggetto: i cittadini utenti (“assegnatari” è la significativa parola escogitata per indicarli) i quali nel prodotto astratto di quei piani devono vivere e conferire concreta vitalità.

Ci sono voluti anni di esperienze sconfortanti per accorgersi di questo soggetto centrale nel processo di produzione della città (in latino: urbs e civitas) ma in realtà non si è fatto né si fa gran che per attivarlo al meglio. Qualche illustre urbanista ha avvertito(non del tutto a torto) dei rischi che si possono correre, se lo si stuzzica più che tanto. Se è lecito chiudere l’argomento sul faceto, possiamo ricordare il vecchio proverbio sul padrone di casa, che è bene stia sempre dietro alla casa che si fa costruire; proverbio sempre valido in tempi democratici per i molti cittadini, come lo era per pochi privilegiati in quelli signorili.

Ce n’è, mi pare, quanto basta per presentare il libro certamente utile ai colleghi urbanisti architetti e ingegneri che vorranno leggerlo, e spero gradito a te, cui faccio pervenire una copia.

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