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Diego Novelli
Torino e il grattacielo: domande all’ultimo Piano
18 Febbraio 2008
Torino
Un invito a comprendere le critiche per ciò che sono, e a non costruirsi antagonisti di comodo quando si è criticati con agomenti serie. Da l’Unità del 23 novembre 2007

L’assessore al Territorio della Toscana, Riccardo Conti, liquida le critiche avanzate da Vittorio Emiliani su ciò che accade da un punto di vista urbanistico in quella regione, con l’accusa di essere un grafomane (vedi Unità del 17 novembre) con «una visione ottocentesca dello Stato e del paesaggio». A Torino il Sindaco è stato ancor più sarcastico nei confronti di chi ha espresso riserve sulla sua vocazione per i grattacieli. Chi non la pensa come lui «vorrebbe vedere tornare le pecore in Piazza San Carlo». Ma non basta. Con il concorso dei prestigiosi progettisti (Piano e Fuskas), di due degli annunciati grattacieli (ma ce ne è già un terzo dietro l’angolo), si è scatenata da parte delle autorità cittadine e regionali una campagna «per la modernità, per lo sviluppo, per la trasformazione», contro «i retrò, il vecchiume», contro «coloro che temono il futuro» (Renzo Piano), tra innovatori e conservatori.

Conosco e stimo Renzo Piano da almeno trent’anni, da quando collaborò con l’Amministrazione di sinistra di Torino per i primi interventi nel centro storico e soprattutto per il riuso degli edifici industriali abbandonati e più precisamente il Lingotto. Fu lui ad indicarci come la deindustrializzazione, nella sua crudeltà (perdita di occupazione), poteva rappresentare un’occasione per ridisegnare la città, recuperando spazi per i servizi, per il verde, per il decongestionamento provocato dallo sviluppo selvaggio degli anni Cinquanta e Sessanta quando furono costruiti tremila edifici abusivi e vennero rilasciate, da parte delle amministrazioni centriste, ben cinquemila licenze edilizie in contrasto con il piano regolatore allora vigente.

Credo sia interessante cercare di capire ciò che sta accadendo oggi, non solo a Torino e in Toscana, ma in Italia, soprattutto negli Enti Locali governati dal centro sinistra, visto che la destra è sempre stata schierata dalla parte della speculazione fondiaria. Non avendo riserve ideologiche nei confronti dei grattacieli (fui affascinato la prima volta che vidi quelli di Chicago, molto più belli di quelli di New York) la domanda che in molti ci siamo posti è questa: la modernità di una città è rappresentata da uno o più “segni fallici”, inventati da oltre cent’anni che per Torino, tra l’altro, alterano la linea dell’orizzonte (skyline) unico al mondo con il fondale delle montagne? Ma al di là delle questioni estetiche (non dimenticando però che la Costituzione tutela il paesaggio), ci sono almeno tre questioni di fondo che sollevano perplessità. Se ne può parlare, oppure si è subito tacciati di essere dei “dinosauri o dei trogloditi”?

1) Il progetto di Renzo Piano richiede una nuova variante al piano regolatore, a pochi mesi di distanza da quella che portava l’altezza massima degli edifici da cento a centocinquanta metri. Il nuovo grattacielo sfiora i duecento metri, calcolando anche le “vele” che saranno installate in cima per tutti gli impianti tecnologici. La Mole Antonelliana, con la stella, supera di poco i centosessanta metri. Non discutiamo dei costi dell’opera: paga la Banca San Paolo-Intesa (anche se si tratta di un istituto di diritto pubblico e non di una azienda privata). Ma è peccato chiedere quali saranno i costi di gestione, la quantità di energia necessaria per tenerlo caldo d’inverno e fresco d’estate, con il petrolio a cento dollari al barile? E poi: quale sarà lo scenario energetico fra dieci-venti anni? La vera architettura d’avanguardia, innovativa, che considera anche i cambiamenti climatici possibili, è quella autosufficiente, “la casa passiva” come viene chiamata in Germania, oppure a Friburgo dove hanno già realizzato “il quartiere sostenibile”.

Renzo Piano, trent’anni fa, ci indicava come risanare le case fatiscenti del centro storico, coinvolgendo gli abitanti, senza deportarli nei nuovi ghetti della periferia. Ci entusiasmava con le sue idee sulla città moderna al servizio dei cittadini, ponendo al centro dell’attenzione dei pubblici amministratori le esigenze e le aspirazioni delle persone che vivono la città. Anche lui ha cambiato opinione?

2) Il grattacielo in questione rappresenta una gigantesca speculazione immobiliare. Se venissero applicati gli standard urbanistici fissati dal piano regolatore di Gregotti e Cagnardi, per realizzare i volumi di cubatura previsti sarebbe necessaria un’area di ottantamila metri quadrati (otto ettari!). Il presidente del San Paolo ha presentato invece l’operazione come un regalo alla città, «vuole lasciare un ricordo di sè». Un po’ di megalomania non guasta mai.

3) Contrariamente a quanto scritto da Curzio Maltese su la Repubblica del 14 novembre, non esiste a Torino contrapposto «al rumore sul grattacielo di Piano», il silenzio sull’operazione Ligresti (l’intramontabile pregiudicato uomo d’affari) che vorrebbe realizzare un nuovo villaggio residenziale ai confini della città, al posto di un parco pubblico. Addirittura si sono opposti un gruppo di esponenti dei vecchi Ds, valutando la speculazione attorno ai cento milioni di euro. Il fatto è che l’Assessore all’urbanistica di Torino considera benevolmente la rendita sui suoli purchè il frutto della speculazione venga reinvestito in città come ha promesso Ligresti. Anche questo sarebbe un segno di modernità e di sviluppo.

Ma ciò che maggiormente sconcerta è la caduta, da un punto di vista culturale, da parte del centro sinistra su questi temi. Mentre il problema della casa si fa ogni giorno più acuto per milioni di famiglie, di edilizia popolare (o convenzionata) non si sente più parlare e tanto meno di una nuova legge urbanistica sui regimi dei suoli. I piani regolatori delle grandi città attraverso le varianti a go-gò (a Torino abbiamo superato quota centosessanta) sono diventati un mercato diretto dai costruttori e dagli speculatori. L’ultima puntata televisiva di Report su Milano è stata illuminante e nel contempo agghiacciante. Nelle zone rurali fioriscono ovunque villaggi residenziali con villette e case a schiera, che continuano a mangiare fette del “Belpaese”. Ad esempio vorrei chiedere all’assessore Conti notizie dell’unico esempio che conosco personalmente della sua Regione: perchè è stato consentito lo scempio del nuovo villaggio realizzato sotto le bellissime mura del comune di Magliano in Toscana?

Non ho nostalgie per il passato, anzi considero la nostalgia un disvalore (a differenza della memoria), però “la voglia di futuro”, caro vecchio amico Renzo Piano, è per vivere meglio e non peggio. Non amo l’Italia degli outlet così ben descritta da Aldo Cazzullo nel suo ultimo libro.

Nota: sui temi dei grattacieli, e sul caso di Torino in particolare, Eddyburg ha dato spazio in questi giorni anche all'appello del Comitato " Non grattiamo il cielo" (f.b.)

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