Probabilmente quello di ieri pomeriggio è stato il corteo Notav più massiccio di sempre, per dare un’idea i partecipanti sono stati almeno il doppio rispetto la recente manifestazione per il primo maggio. Torino ha dimostrato il suo sostegno morale e politico nei confronti dei quattro militanti incarcerati, lo ha fatto senza paura, nonostante un clima di intimidazione molto pesante che ha accompagnato i dimostranti, non meno di trentamila persone, lungo tutto il percorso. Alle due del pomeriggio, orario di concentramento in piazza Adriano la città appare deserta, avvolta in un coltre di paura data dalla scenografia da action movie, che prevede uno spiegamento di forze dell’ordine buono per i check point dell’Iraq ma non per la civile manifestazione annunciata. Così, circondati da un accampamento militare ambulante, i Notav hanno iniziato il loro cammino verso Piazza Castello, il cuore di Torino. Serrande abbassate, silenzio spettrale, vecchine affacciate dai balconi con facce sconvolte dalla paura ma incuriosite, ogni incrocio presidiato da carabinieri e polizia in assetto anti sommossa. Scudi alzati, caschi e manganelli.
Alle tre del pomeriggio la giornata per i Notav appare complicata perché Torino, medaglio d’oro per la Resistenza, si mostra nella sua faccia più gelida e indifferente. Apparentemente il corteo non sembra nemmeno troppo corposo ma, cammin facendo, la folla si ingrossa fino a diventare un fiume. La sfilata dei Notav davanti alla Stazione di Porta Susa, blindatissima oltre ogni buon senso, dura un’ora. Apre come al solito la banda della Val Susa e alcuni rappresentanti delle istituzioni locali; poi un fiume umano compatto, che va dai giovanissimi agli anzianissimi di ogni estrazione sociale. Ci sono accenti che testimoniano provenienze varie: romani, milanesi, veneti, napoletani. Ma soprattutto si è aggiunta una massa inattesa di torinesi. Un popolo che ha come unica rivendicazione il diritto al dissenso senza che questo debba essere trasformato, come sta accadendo nel caso dei quattro giovani incarcerati, nell’accusa di «attentato con finalità terroristiche». E, per tutto il pomeriggio, ad essere in secondo piamo è proprio il Tav, il cantiere, lo spreco di denaro, la ‘ndrangheta, gli appalti. L’unico pensiero dei manifestanti è rivolto alla libertà di dissenso messa sotto attacco.
Il fiume umano supera la stazione di Porta Susa e l’annessa caserma volante esposta in bella evidenza, e imbocca via Cernaia, la via dello shopping torinese. Qui si manifesta la chiave di volta di tutto il pomeriggio, perché i torinesi terrorizzati dai mezzi di comunicazione sull’arrivo delle orde barbariche si rendono conto che pericolo non c’è, e quindi la vita riprende normalmente. Negozi aperti, serrande rialzate, signore e signori a spasso che né solidarizzano, né si terrorizzano. Semplicemente vedono una manifestazione sì massiccia, ma normale. E fatta sorprendentemente da persone normali, nemmeno un terrorista. Una manifestazione come tante altre che in questi anni hanno costellato la vita del movimento.
Lo striscione portato dai ragazzi dei centro sociali di Torino recita: «Siamo tutti colpevoli di resistere. Libertà per i Notav». Un concetto ripreso da Nicoletta Dosio, tra le fondatrici del movimento oltre venti anni fa che dice: «Siamo qua per rivendicare il diritto al dissenso, alle libertà democratiche sono messe in crisi da un atteggiamento persecutorio verso chi prova a discostarsi dal pensiero unico. Oggi la nostra paura va ben al di là della costruzione del Tav, perché ci rendiamo conto che qualsiasi forma di diversità di pensiero potrebbe ricevere lo stesso trattamento riservato ai quattro ragazzi accusati di terrorismo».
Presente anche il magistrato Livio Pepino: «Una grande manifestazione che dimostra come il movimento Notav sia pacifico, di fronte a cui la militarizzazione della città è stata eccessiva. Un movimento che chiede dalle istituzioni un’apertura al dialogo. La risposta, purtroppo, continua ad essere la militarizzazione, come dimostra quanto accaduto oggi. Oggi abbiamo avuto una grande lezione di civiltà e capacità di stare insieme, che continua dimostrare quanto la repressione dura e pura non serva a nulla».
Atteso dagli organizzatori del Salone del Libro lo scrittore Erri de Luca ha preferito prendere parte al corteo dei Notav. Le sue parole: «Preferisco partecipare alla protesta in mezzo ai cittadini che solidarizzano verso quattro ragazzi accusati di terrorismo perché avrebbero incendiato un compressore». L’arrivo nella centrale piazza Castello ha quantificato la portata della manifestazione perché tutta la spianata è stata riempita, ed una notevole parte del corteo non è nemmeno riuscita ad entrare. La Questura ha quantificato tutto questo in duemila persone, poco più di una riunione di condominio ben riuscita.
Inspiegabilmente gli unici momenti di tensione si sono avuti durante i comizi conclusivi, quando una colonna di poliziotti in assetto anti sommossa si è avvicinata velocemente alla piazza ricolma di persone passando da una via laterale e fermandosi solo pochi metri prima di raggiungere il cuore della folla, che stava ascoltando pacificamente gli interventi. Alcuni momenti di tensione per la manovra apparentemente inspiegabile, e poi un ordine di dietrofront ha spento gli animi bollenti.
Ora, dopo il successo di questa manifestazione popolare, la palla passa allo Stato. Continuare ad usare la mano inflessibile della repressione o costruire un percorso comune che metta da parte ogni forma di estremismo.
Il monumentale tribunale vuoto, assolutamente vuoto, circondato dai blindati e dalle grate di ferro ancorate col cemento al suolo come la zona rossa di Genova nel 2001 - quasi lì dentro ci fosse l’oggetto del desiderio della folla che gli sfilava accanto -, è il simbolo dell’ottusità del potere. Della sua incapacità di capire e pensare, come accade, appunto, a ogni potere, quando perde la ragione del proprio agire, e resta appeso al proprio apparato della forza senza giustizia (che si rivela, appunto, violenza).
Guardando quella folla multicolore, che sfilava serena, a volto scoperto, davanti ai cordoni cupi, catafratti, chiusi dietro i propri scudi, che sigillavano il percorso con un muro nero blu e verde scuro (c’erano tutti i corpi dello Stato, carabinieri, polizia, guardia di finanza) era difficile immaginare come sui primi fosse possibile distendere l’ombra fosca del terrorismo e sui secondi appiccicare l’etichetta della legalità. Ai primi la violenza, agli altri la giustizia. Piuttosto, verrebbe da dire, il contrario.
Il Movimento No Tav ieri, come altre volte, ha vinto. Con una semplice marcia ha strappato di mano ai propri nemici ogni elemento di credibilità per sostenere l’assurda teoria – ma sarebbe meglio chiamarlo teorema – che tenta di riconfigurare le azioni di protesta di quella popolazione sotto il segno cruento dell’accusa di terrorismo. E nello stesso tempo ha mostrato l’isolamento, l’irragionevolezza, la povertà di argomenti di chi, per sostenere una causa razionalmente insostenibile, è costretto a ridurla a questione di ordine pubblico, in cui, come è noto, chi ha il manganello dalla parte del manico decide.
Da oggi, almeno qui, sull’asse che va da Piazza Castello alla Sagra di San Michele, quell’operazione si è infranta contro un materiale resistente e intelligente che sarà davvero difficile ignorare.