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Tzvetan Todorov
Todorov:“Una vergogna i respingimenti della Francia”
21 Giugno 2015
Articoli del 2015
Afferma il filosofo, intervistato da Anais Ginori:«Penso in particolare ad afgani, iracheni, siriani, etiopi, libici, maliani. Noi occidentali abbiamo, almeno in parte, la responsabilità di queste persone: se non possono restare nel loro Paese è anche per colpa nostra».

Afferma il filosofo, intervistato da Anais Ginori:«Penso in particolare ad afgani, iracheni, siriani, etiopi, libici, maliani. Noi occidentali abbiamo, almeno in parte, la responsabilità di queste persone: se non possono restare nel loro Paese è anche per colpa nostra».

La Repubblica, 21 giugno 2015 (m.p.r.)

Parigi. «Le scene di respingimento degli stranieri al confine franco-italiano sono insopportabili, vergognose». Il filosofo bulgaro Tzvetan Todorov è indignato dall’atteggiamento del governo socialista che ha blindato le frontiere, esattamente come fece quattro anni fa l’esecutivo della destra di Nicolas Sarkozy. Le maggioranze politiche cambiano ma la paura ancestrale dei “barbari”, che Todorov ha raccontato nei suoi saggi, riaffiora comunque. «Siamo responsabili in parte di questi movimenti migratori », spiega ricordando come il rigetto dello straniero non sia nuovo per i francesi. Centocinquant’anni fa, i “topi” da cacciare erano gli italiani che varcavano il confine per sfuggire alla povertà. «La Francia ha sempre avuto difficoltà ad accettare il passaggio da grande a media potenza, sperimentando nella sua Storia regolari picchi di febbre nazionalista».

Siamo in una nuova ondata di paura e incapacità di gestire il problema dell’immigrazione?
«Oggi il contesto è nuovo. Siamo davanti a un aumento dell’integrazione della popolazione mondiale, dovuto alla diffusione dell’informazione e alla facilità di spostarsi. Fino a qualche decennio fa, l’idea di partire per l’estero sfiorava pochi. Oggi, prima grazie alla tv e poi a Internet, assistiamo a un’unificazione dei popoli. È un fenomeno che ci accompagnerà ancora nei prossimi anni, e forse secoli. Rifiutarlo non è costruttivo».
I pochi sforzi di accoglienza che sono disposti a fare i governi ora si concentrano sulla distinzione tra migranti economici e politici. È d’accordo?
«Non mi pare assurdo, soprattutto quando le cause politiche sono guerre che abbiamo incoraggiato o addirittura provocato “noi”, intendo l’Unione europea e gli Stati Uniti. Penso in particolare ad afgani, iracheni, siriani, etiopi, libici, maliani. Noi occidentali abbiamo, almeno in parte, la responsabilità di queste persone: se non possono restare nel loro Paese è anche per colpa nostra. Alle guerre, bisogna aggiungere le persecuzioni politiche. La nostra responsabilità è meno diretta, ma se i valori che professiamo non sono pura ipocrisia dovremmo proteggere anche chi è perseguitato per le proprie idee».
Allora perché le procedure per l’asilo politico sono sempre più difficili, soprattutto in Francia?
«La Francia è stata in prima fila per promuovere un intervento militare in Siria. E ora è una delle nazioni in Europa che accoglie meno profughi siriani: ha accettato 500 rifugiati, mentre la Germania ne ha accolti 10mila. La Francia ha anche giocato un ruolo fondamentale nella guerra in Libia, senza che i dirigenti politici dell’epoca abbiano per un solo istante riflettuto sulle conseguenze disastrose dell’intervento militare, sia sul piano della dispersione delle armi nella regione, sia sull’anarchia creata nel paese. Tutti dobbiamo capire che un atto compiuto a migliaia di chilometri può avere oggi una conseguenza molto concreta sulle nostre vite».
E per i migranti economici, cosa si dovrebbe fare?
«Il bisogno di partire non è meno forte che nel caso di guerre e persecuzioni politiche. Quando si è convinti che non si può guadagnare onestamente da vivere nel proprio Paese, si è disposti a fuggire a qualsiasi prezzo e senza badare ai pericoli. Penso che dovremmo riuscire a dare un’informazione corretta sulle condizioni di vita in Europa: spiegare che qui non è un paradiso. E poi sarebbe opportuno fare accordi di cooperazione per permettere ai migranti di trovare lavoro nelle loro nazioni. Anche questa è una nostra responsabilità: siamo interdipendenti gli uni con gli altri ».
Intanto però l’Europa continua a litigare davanti ai migranti in bilico sugli scogli di Ventimiglia.
«Trovo inammissibile il comportamento di alcuni Paesi dell’Unione europea, tra cui la Francia. Non si può pretendere costruire la nostra Unione, rallegrandoci della pace che finalmente c’è tra paesi europei, e allo stesso tempo disinteressarci della protezione delle nostre frontiere esterne. Accettare i migranti solo perché hanno rischiato la vita e sono in pericolo di morte è una situazione assurda. Cosa sarebbe? Una sorta di “concorso d’ingresso” disumano, con un premio al più disperato?»
I governi sono ostaggio della xenofobia in aumento?
«La xenofobia è un sentimento più spontaneo dell’ospitalità. Non a caso, le religioni tradizionali elogiano l’ospitalità: è l’atteggiamento più meritorio».

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