Un utile intervento nella discussione aperta su eddyburg, oggi e domani, iniziatanell’ambito della seconda edizione dei Seminari di eddyburg. Con ampiapostilla
Mi scuso in quanto, per una sere di imprevisti, non ho potuto scrivereil mio contributo nella giornata di giovedì, come avevo annunciato nellaprecedente mail. Essendo una persona precisa mal sopporto il non rispettare gliimpegni assunti. Questa dilazione mi permette però di iniziare da due provocazionilanciate da Cervellati nel corso della presentazione dell'ultimo volume di DeLucia, tenutasi a Bologna due giorni fa (venerdì), ed alla quale hopartecipato.
La prima riprende una considerazione cui si è accennato anche alla tre giorni diSezano: il rapporto fra i cittadini e i diversi livelli amministrativi dellostato. In particolare con regioni e province. «E se si pensasse di mantenere leseconde ed abolire le prime?» Su questa domanda/affermazione Cervellati hasollecitato De Lucia a confrontarsi in una possibile futura pubblicazione. La seconda, una interpretazione un po' forzata (tanto da sorprendereVezio) del termine "dolente" riportato nel titolo, fatto discenderenon tanto da "dolore" bensì da "dolo". Punto di vista che,anche se non voluto o non ricompreso nelle tesi sostenute da Vezio nel suoscritto (cosa che posso presumere solo dalla sua reazione, non avendolo ancoraletto), non mi sento di contestare anzi, quasi mi vede solidale, soprattuttoalla luce della lettura (in corso) del tuo (di Eddy) Memorie di unurbanista.
Ho letto diversi libri che trattano l'argomento dell'evoluzione dellamateria urbanistica in Italia, ma tutti sono incentrati sull'analisi dellanormativa e presentano, come vizio di fondo, una limitatezza nella contestualizzazionedei provvedimenti legislativi e giurisdizionali all'interno della cornicepolitico-economica-sociale nella quale erano collocati e dalla quale eranogenerati. Il suo testo, che mi sta coinvolgendo come pochissimi altri libri nondi narrativa abbiano mai fatto, è esemplare nell'analisi degli accadimenti e,soprattutto, nel restituire lo spirito e le atmosfere che facevano da ambiente.Mi risultano ora molto più chiari certi passaggi, e ho trovato vari spunti dadover approfondire. Certo è, in mia opinione, che allora, come ai giorninostri, tanti sono stati gli sforzi e le pressioni da parte della classedirigente per attuare provvedimenti che indirizzassero verso comportamenti avolte in palese contrasto coi dettami costituzionali, in vari casi - perl'appunto - dolosi, o più in generale privi di rispetto nei confronti deicittadini e di tutto ciò che si può e si deve definire "pubblico".
La cosa che mi rattrista è che oggi, a differenza di allora, è per lo piùassente nelle compagini istituzionale e, ahimè, anche fra la gran parte deiprofessionisti, quel fermento che portava a dibattere in maniera ragionata deiproblemi che si dovevano affrontare. Ed è per questo che sono pienamented'accordo con Paula nel sostenere che le attività di eddyburg non debbanoessere finalizzate a una semplice informazione e distribuzione di opinioni madevono essere di stimolo per cercare di generare altro. In particolaresottolineo la necessità, che a quanto conosco dalle le mie fonti su internetsolo eddyburg è sensibile, che bene traspare nelle Memorie, e conla quale mi confronto quotidianamente nel mio lavoro, di un approcciopluridisciplinare alle tematiche in questione, sul quale bisogna insistere percontrobattere ad una sempre più pressate idea di settorializzare i problemi ele relative soluzioni.
Riprendendo proprio il sottotitolo del suo libro, L'Italia cheho vissuto, non mi è potuto venire in mente che il riferimento a"L'Italia che vorremmo" del "Resoconto". Per me è da lì che bisognerebbe ripartire nel "nuovo" corsodi eddyburg. Confidando nella formazione di una comunità composta dal"monocrate", dai "senatori" e dagli"apprendisti"; partendo dalle basi conoscitive e di commento sugliargomenti trattati nelle precedenti scuole; continuando il discorso avviatonell'ultimo seminario a Sezano; ipotizzerei (come per altro già contenuto nel"Resoconto") la formazione di gruppi di lavoro che si occupino didifferenti tematiche organizzate e contenute nel più ampio scenario de"L'Italia che vorremmo".
In ogni gruppo vedrei la presenza di uno o più dei"senatori" con maggior esperienza professionale nel campo oggetto distudio, con il compito di indirizzo e revisione; di un "coordinatore"che possa avere il polso della situazione rispetto all'andamento dei lavori, mache non si configuri né come "schiavista" né come"parafulmine"; di un numero adeguato (né troppi né troppo pochi) dipartecipanti, a libera adesione, secondo le capacità di apportare contributo algruppo e alla disponibilità di tempo da dedicare.
Eventuali sottotemi potrebbero essere assegnati a uno o più componentidei gruppi. Fra tutti i temi da affrontare si potrebbe valutare anche secercare di "risolverli" in ordine di priorità legate a scadenzeistituzionali o altro (attivando da subito solo alcuni gruppi), in modo daconcentrare gli sforzi e non disperdere energie e apporti su argomenti menoimpellenti.
Capisco che una tale organizzazione possa essere eccessiva, ma credoche impostando la struttura in questa maniera si riesca a capire in breve tempola reale disponibilità di partecipanti, competenze e tempo dedicato. Unastruttura troppo "libera" genererebbe l'inflazione di alcuni temirispetto ad altri che resterebbero poco approfonditi, e un laborioso lavoro disintesi di troppi contributi eterogenei.
Il coordinamento e l'individuazione di obiettivi comuni eliminerebbeinoltre il problema di non avere oggetti precisi su cui scrivere in tempistichenon ben definite.
L'attività dei vari gruppi, una volta che l'argomento è statoadeguatamente discusso, deve poi condurre alla proposta di organizzareincontri/seminari/scuole a seconda delle necessità riscontrate (approfondimentodi un problema, condivisione degli studi effettuati, necessità di un dibattito,...). Tali eventi potrebbero essere organizzati dal gruppo stesso che li hacurati in modo da non pesare sempre sulle stesse persone (Ilaria e Mauro), lequali potrebbero avere un ruolo di guida e supervisione. Così si eviterebbe direndere queste occasioni puramente puntuali e senza dare un seguito alpost-incontro, in quanto inserite come tappe intermedie di un percorso.
L'utilizzo del sito per lo scambio di opinioni e materiali è tanto piùnecessario affinché il "monocrate" abbia la possibilità di controllosenza doversi occupare in maniera diretta e costante di tutte le questioni,attività facilitata anche dalla presenza dei coordinatori con i quali avrebbeun rapporto diretto per il monitoraggio.
Anch'io valuterei attentamente (punto 6) la possibilità di rendere piùo meno visibili i contenuti delle discussioni sul sito a seconda del livello diapprofondimento interno e per evitare di aprire dibattiti futili su argomentiancora non ben declinati.
Trovo molto interessante il suggerimento di Dusana di cercare dioccuparsi anche degli accadimenti in seno all'Unione Europea, soprattutto invista delle prossime elezioni. Partecipando al recente festival della rivista"Internazionale" (che si svolge annualmente a Ferrara), ho appresocome negli altri Paesi il tema delle elezioni europee sia entrato nel dibattitonon solo politico, ma anche pubblico, già da diversi mesi. Invece, in Italia,siamo costretti a ruminare sempre le solite questioni (certo alcune non di pococonto e che dovrebbero essere risolte in maniera seria e definitiva). Questonon ci permette di capire cosa sta succedendo "fuori", un"fuori" che i nostri politici cercano in ogni modo di farlo apparirecome un castello kafkiano, ma di cui noi però siamo parte integrante e sulquale abbiamo diritto e dovere di esprimerci. Mi rendo perfettamente conto chele tematiche sono molteplici e complesse, ma credo che sarebbe giusto provaread alimentare il dibattito al fine di stimolare le persone a prendere coscienzadell'importanza della prossima scadenza elettorale. Anche se l'Europa nonincide direttamente sulla pianificazione urbanistica degli stati membri,diversi sono i settori in cui vengono varati provvedimenti che vanno adinfluenzare le scelte che lo Stato membro e le sue amministrazioni sottordinateeffettuano, con ricadute anche pesanti sulla pianificazione e gestione delterritorio.
Per la questione fondi non ho esperienza diretta. Ritengo interessantela possibilità di contattare fondazioni a cominciare, come proposto, dallaOlivetti; mentre trovo più difficile trovare sponsor affidabili. Sicuramenteprevederei delle "tasse di iscrizione", modulate sulla base dellalunghezza degli incontri organizzati, delle difficoltà organizzative e sullaeventuale possibilità di rilasciare crediti formativi.
Inoltre non sarebbe da scartare (almeno fino a quando si sia trovatoun finanziatore esterno) una autotassazione: nel sito avevo visto che era statafondata una associazione collegata a eddyburg fondata dai principalicollaboratori. Se fosse ancora attiva la si potrebbe utilizzare per associare ipartecipanti e incassare una quota sociale: ma ciò comporterebbe un po' diburocrazia e non sono a conoscenza dei fini di questa "struttura".Altrimenti, sempre che sia possibile, si potrebbe passare per "Zone".O, più semplicemente, attraverso un libera (ma concordata) donazione. Iopartecipo a una piccola associazione locale e, anche con una quota di solo 20euro annui, si riesce a fare comunque un po' di cassa.
Inchiusura confermo la disponibilità per la gestione del sito.
Tiringrazio molto delle tue osservazioni e proposte, le condivido quasi tutte, ecomunque ne rinvio l’approfondimento e le decisioni alla discussione neigruppi. Mi soffermo ora solo su un paiodi punti.
(1) Cancellare le regioni invece delle province? Mi sembra una questioneposta con la stessa superficialità semplificatrice di quella con cui ragionanoquanti vogliono sopprimere le province. La questione dell’ordinamentoamministrativo) (dei poteri pubblici) nell’Italia di oggi va vista secondo duepunti di vista: dal punto di vista economico (il migliore impiego dellerisorse) e quello politico (la democrazia). Sotto il profilo economico misembra che oggi c’è una quantità di sprechi di risorse che vanno enormemente aldi là dei risparmi derivanti dalla riduzione del numero di appartenenti alla“casta”: pensiamo al costo delle spese per le guerre, nostre o altrui, a quellodella catastrofi “naturali” provocate dall’incuria dei governi politica,all’asservimento ai mercati internazionali là dove le produzioni locali sarebberomigliori e meno costose, ai mille costi provocati dalla logica della “societàopulenta”. Dal punto di vista della politica la questione è: come organizzarela democrazia in modo efficace in una materia (l’organizzazione del territoriocome habitat dell’uomo e come patrimonio dell’umanità) tenendo conto che esistonodiverse “scale“ (diversi livelli territoriali) alle quali i problemi possonoessere affrontati e risolti e che,poiché il pianeta è uno, il sistema del governò deve avere il requisito della multiscalarità(altra questione emersa con forza dal seminario).
(2) concordo pienamente con te sulla necessità assoluta diguardare “fuori” dai confini della penisola. Non solo perché (oltre al paese,la città, la provincia, la regione, il continente) anche il pianeta è una dellenostre patrie, ma anche per la ragione elementare che altrimenti non sicomprendono i nostri stessi problemi di oggi. L’asservimento della politicaall’economia e dell’economia al cosiddetto Mercato, la dequalificazione dellavoro in quanto potere e diritto/doveredell’uomo, la distruzione dei beni attraverso la loro riduzione a merci, lasostituzione del privato al comune e del collettivo all’individuale, delpubblico al privato (insomma, dell’Io al NOI), tutti questi sono i portati diuna mutazione generale prodotta dalla globalizzazione capitalista. Per cercardi cambiare qualcosa di noi dobbiamo avere consapevolezza piena del contesto,storico e geografico, di cui facciamo parte.
Ciao, e ancora grazie dellatua reiterata dichiarazione di disponibilità (e.s.)