La più grande fuga di notizie finanziarie mai avvenuta. Milioni di pagine di documenti che raccontano quarant’anni di affari
offshore per conto di capi di governo e politici di tutto il mondo, imprenditori, personaggi dello sport e star dello spettacolo. Tutto parte dallo studio legale Mossack Fonseca, con base a Panama city, nel cuore di uno dei più efficienti paradisi fiscali del mondo, finora impenetrabile. Grazie a un informatore, i giornalisti del quotidiano tedesco
Suddeutsche Zeitung e poi dell’Icij (International consortium of investigative journalists) hanno avuto accesso a un enorme archivio di carte segrete.
Nei documenti, analizzati in esclusiva per l’Italia da l’Espresso, compare una cerchia di uomini molto vicini al presidente russo Vladimir Putin. E troviamo pure il padre, deceduto nel 2010, del primo ministro britannico David Cameron, proprio lui che è da anni impegnato in una crociata contro i paradisi fiscali. Poi c’è il presidente ucraino Petro Poroshenko. Lo staff del leader di Kiev ha precisato che le tre holding registrate tra le Isole Vergini e Cipro «non hanno nulla a che fare con l’attività politica». Nel caso di Putin, le carte di Panama documentano dozzine di transazioni riservate, riconducibili a persone o società legate al leader russo, per un totale di circa due miliardi di dollari.
L’attuale presidente dell’Argentina, l’imprenditore Mauricio Macri, risulta amministratore di una società alle Bahamas. Contattato dall’Icij, un suo portavoce ha risposto che quella offshore faceva capo alla famiglia di Macri, non a lui personalmente. Anche il calciatore Lionel Messi, già sotto inchiesta in Spagna per evasione fiscale, si è rivolto allo studio Mossack Fonseca per creare una offshore. E nelle carte spunta pure il nome dell’attore Jackie Chan, con sei società.
Nell’immenso archivio panamense, come rivela il sito de l’Espresso, compaiono circa 800 nominativi italiani, tra cui Luca Cordero di Montezemolo, l’ex pilota di formula Uno, Jarno Trulli e due grandi banche come Unicredit e Ubi. Del resto, l’archivio segreto evidenzia che alcuni colossi finanziari globali sono coinvolti nella creazione di offshore al servizio di migliaia di clienti: si tratta di oltre 15 mila società anonime, collegate a istituti di credito come la svizzera Ubs e la britannica Hsbc.
La banca dati svela anche patrimoni segreti di altri potenti del mondo. La famiglia del presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha usato società di Panama per nascondere partecipazioni in miniere d’oro. I figli del premier pakistano, Nawaz Sharif, hanno comprato palazzi a Londra. E in Cina almeno otto tra ex e attuali componenti del comitato centrale del Partito comunista dispongono di società in paradisi fiscali: tra loro c’è il cognato del presidente Xi Jinping. Tramite lo studio Mossack Fonseca, sono state create anche le offshore a cui sono intestati gli yacht del re dell’Arabia Saudita, Salman bin Abdulaziz Al Saud, e del sovrano del Marocco, Mohammed VI. E c’è il cugino del dittatore siriano Bashar Assard, spesso indicato come “il cassiere del regime”.
L’inchiesta giornalistica è durata più di un anno, da quando 11,5 milioni di file panamensi sono stati recapitati alla Suddeutsche Zeitung, che tramite Icij li ha poi condivisi con 100 testate rappresentate da 378 giornalisti di un’ottantina di Paesi. Sullo stesso archivio sono già al lavoro anche le autorità fiscali della Germania, mentre il fisco Usa e inglese potrebbero presto acquisirli. I documenti riguardano oltre 200 mila società con sede in 21 paradisi fiscali, dai Caraibi a Cipro. Mai prima d’ora una simile mole di dati riservati era stata messa a disposizione della pubblica opinione e degli inquirenti.
I file descrivono operazioni che vanno dal 1977 alla fine del 2015. E illuminano per la prima volta la gestione di enormi flussi di denaro attraverso il sistema finanziario globale. Soldi legittimi se dichiarati all’Erario, ma che spesso vengono nascosti perché frutto di reati come evasione fiscale o corruzione.
In una risposta scritta alle domande dell’Icij, lo studio Mossack Fonseca ha affermato di «non aver mai agevolato o promosso operazioni illegali» Ramon Fonseca, uno dei due soci fondatori, intervistato da una tv panamense, ha precisato che lo studio «non ha responsabilità per ciò che i clienti fanno con le loro offshore», così come una casa automobilistica non ha colpe «se la macchina viene usata per fare una rapina».
Il Fatto Quotidiano
COSÌ I RICCHI DEL MONDO NASCONDONO I LORO MILIARDI
di Leonardo Coen
Altro che Spotlight, il film sullo scandalo dei preti pedofili di Boston. Siamo di fronte al Watergate dell’evasione mondiale. I giornalisti investigativi del consorzio americano Icij (cui aderisce, in Italia, l’Espresso), grazie ad una “gola profonda” - almeno, questa la versione ufficiale - hanno avuto la possibilità di consultare 11 milioni e mezzo di file su 200mila società offshore basate principalmente a Panama. Dove i potenti del mondo, i loro familiari e migliaia di vip hanno nascosto i loro soldi. Nomi come Putin. Come Cameron. Come i leader cinesi. Come Messi. Come l’attore di Hong-Kong, Jakie Chan. Come tanti italiani: per esempio, Luca Cordero di Montezemolo. L’ex pilota di Formula1, Jarno Trulli. O l’imprenditore Giuseppe Donaldo Nicosia, latitante, coinvolto in un’inchiesta per truffa con Marcello Dell’Utri: gli italiani coinvolti nel giro sarebbero circa 800.
I documenti riguardano operazioni effettuate dal 1977 alla fine del 2015. È probabilmente la fuga di notizie più clamorosa nella storia della finanza, o meglio dell’evasione, se, come pare, le banche e gli studi legali che hanno usufruito dei servizi offerti dall’offshore Panama “non avrebbero seguito le norme che permettono di individuare i clienti coinvolti in attività illegali”. Tutto nasce, sempre che questa sia la storia vera, da qualcuno che può accedere all’archivio dati dello studio legale Mossack Fonseca che ha base a Panama City, uno dei paradisi fiscali più efficienti e discreti del mondo, nonostante di recente ci siano state pressioni da parte Usa perché le cose cambino come è successo per la Svizzera.
Questo Mister X, un anno fa, decide di spedire al quotidiano tedesco Suddeutsche Zeitunguna la prima dose di file. Il giornale è nel circuito dell’Icij. Farne parte, significa condividerne gli scoop. Contemporaneamente, vengono avvisate le autorità fiscali di vari Paesi, a cominciare ovviamente da Germania e Usa, dove ha sede il consorzio dei giornalisti 007. Si decide di procedere, per il momento, in assoluto riserbo. Tant’è che i file sono aggiornati al mese di dicembre 2015, segno che Mister X non era stato ancora individuato. In realtà, Panama è il centro di smistamento dei miliardi imboscati: sinora, sono stati individuati 21 paradisi fiscali sparpagliati per mezzo globo, dai “classici”delle isole caraibiche, sino a Cipro - meta preferita dei russi - per arrivare in Nevada, spina nel fianco del moralismo a stelle e strisce.
I modi per celare i quattrini sono tra i più fantasiosi: trust e fondazioni (che a loro volta possono godere di altri vantaggi fiscali), più le solite società che rimandano ad altre società, in un gioco di scatole cinesi gestite con codici e password in continuo aggiornamento. Soldi, specie quelli infrattati dai politici, significano corruzione, furto, collusione col crimine organizzato. Sono 15.300 le sigle di comodo costituite dalle banche (colossi come la svizzera Ubs - amata da Gelli - e la britannica Hsbc). Ci sono società offshore che conducono al cerchio magico del Cremlino, agli uomini cioè di Putin, altre che portano al suo nemico, il presidente ucraino Petro Poroshenko (compreso il padre), a dimostrazione che pecunia non olet mai e non ha frontiere, quando si tratta di sottrarlo al fisco. Che dire allora di David Cameron, che a parole lancia una crociata politica contro l’evasione e poi nei fatti. Una nota meritano i fondatori dell’ineffabile studio legale Mossack-Fonseca, approdati a Panama alla fine del 1975. Juergen Mossack, origini tedesche, venne col padre, ex SS. Ramon Fonseca, invece, è divenuto famoso come scrittore e per anni è stato nel salotto buono del potere, in qualità di consigliere della presidenza. A marzo, quando l’Icij è uscita allo scoperto, ha capito che non poteva più mantenere quell’incarico e si è messo in aspettativa.