Sbilanciamoci.info, 20 settembre 2013
Pochi hanno colto il significato più profondo della sostituzione dell’Imu con una tassa sui servizi (1). Il provvedimento del governo Letta non rappresenta “soltanto” una misura fiscale regressiva – cioè che alza le tasse ai più poveri per abbassarle ai più ricchi. È anche e soprattutto una nuova vittoria del “blocco edilizio”, una formazione sociale che da 50 anni condiziona la politica economica del nostro paese, condannando l’Italia ad un modello di sviluppo basato sulla rendita immobiliare e sull’immobilismo sociale – a scapito dei redditi dei lavoratori ma anche dello sviluppo industriale.
Di “blocco edilizio” parlò per la prima volta Valentino Parlato in un articolo sul manifesto. Si tratta di una formazione sociale, una lobby potremmo dire, capitanata da palazzinari, grandi costruttori, proprietari terrieri e colossi immobiliari - in parte spalleggiati dalle banche cui questi soggetti sono legati a doppio filo - e in grado di mobilitare quando necessario una moltitudine di piccoli proprietari della classe media, tramite i propri mezzi di comunicazione (ad esempio i giornali di proprietà dei grandi costruttori) e i propri referenti politici.
La prima grande mobilitazione del blocco edilizio avvenne nel 1962 per affossare la legge urbanistica proposta dal ministro democristiano dei lavori pubblici Fiorentino Sullo, mirata a limitare fortemente la rendita fondiaria. Oggi il blocco è forte almeno quanto allora, indebolito dalla crisi delle costruzioni ma ancora più influente politicamente. Non soloBerlusconi, esso stesso grande costruttore, con i suoi condoni edilizi e i “piani casa”, ma anche amministrazioni comunali di centro-sinistra estremamente compiacenti (si pensi alla Roma di Rutelli e Veltroni). Se negli anni ’60 e ’70 il blocco edilizio era in concorrenza con il capitale industriale nell’influenzare la politica – e spesso gli interessi erano contrapposti, ad esempio perché i prezzi alti delle case provocavano pressioni al rialzo sui salari – oggi il blocco edilizio ha come unici veri avversari le associazioni della società civile che lottano in difesa del territorio e qualche isolata amministrazione locale virtuosa.
Certo il settore delle costruzioni ha un ruolo importante nell’economia italiana e la crisi lo sta impattando in modo devastante, con conseguenze drammatiche anche sui lavoratori del comparto. Per cui si potrebbe pensare che in questa fase aiutare le costruzioni, o almeno non penalizzarle, sia nell’interesse del paese. Ma sarebbe sbagliato, oggi, identificare gli interessi del “blocco edilizio” con quelli del settore delle costruzioni nel suo insieme. Quest’ultimo rappresenta più che mai un settore complesso, e il blocco edilizio ne è soltanto la parte più potente e conservatrice, quella che vince tutti gli appalti, strizzando a volte l’occhio all’illegalità e al crimine organizzato. Lo Stato dovrebbe intervenire a sostegno del settore non abolendo l’Imu, ma con una politica industriale che aiuti quelle imprese che innovano puntando sulla qualità, sulla bioedilizia, sulla riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare.
Detassare la proprietà immobiliare servirà solo a rallentare la necessaria discesa dei prezzi immobiliari, dando una temporanea e illusoria boccata d'aria a chi ha costruito troppo durante il boom dei primi anni duemila e a chi gli ha prestato i soldi. Le costruzioni italiane dovrebbero invece essere accompagnare dall'intervento pubblico in un processo di selezione e riconfigurazione, per passare dall'essere il settore del cemento a quello della riconversione energetica. Solo in questo modo le costruzioni potrebbero tornare a “trainare” l’economia, contribuendo alla ripresa e alla crescita dei redditi. Purtroppo tra il dire e il fare c’è il governo del blocco edilizio.
(1) una delle poche eccezioni è questo articolo di Paolo Berdini sul
manifesto