Modulando volta a volta richieste repressive e ideologiche, tali da delineare una trasformazione dell’assetto istituzionale francese. Stato di guerra, espulsione degli inquisiti con la sigla “S”, chiusura delle frontiere e, rinunciando «all’ingenuità, all’innocenza, al lassismo», chiusura delle «moschee islamiste» il cui finanziamento «non potrà essere in alcun caso pubblico o di provenienza straniera», niente diritto di cittadinanza all’ideologia islamista.
Sapientemente quanto irresponsabilmente mischiando terrorismo e migranti. Come se fossero la stessa cosa. Per una «guerra che non possiamo perdere», ha concluso Marine Le Pen, sguazzando naturalmente dentro i macroscopici buchi dei Servizi segreti francesi, dopo Charlie Hebdo, Bataclan e Nizza.
Che hanno dovuto, per dichiarazione del ministero degli interni, subito ammettere che l’attentatore era conosciuto, anzi su di lui era stata addirittura aperta una inchiesta.
Del resto il presidente statunitense Donald Trump non è stato da meno avvisando, subito dopo l’attentato, che «il popolo francese non sopporterà più a lungo cose del genere. Avrà grosse conseguenze sulle elezioni presidenziali!». Lui sì che se ne intende.
A dire il vero i primi sondaggi a poche ora dal voto del primo turno delle presidenziali, dicono una cosa diversa. Che emergerebbe il modernista di centro Emmanuel Macron, distaccando tutti gli altri candidati più accreditati. Dalla stessa Marine Le Pen, al liberal-conservatore di destra François Fillon, fino al sorprendente Jean-Luc Mélenchon che ha fin qui raccolto il difficile consenso a sinistra meglio è più del candidato socialista Benoît Hamon che pure ha portato importanti novità.
Un fatto è certo. La precisione «occasionale» del terrorismo jihadista è diventata endemica. Sconquassa la società civile, contrapponendola al proprio interno. E poi ormai accade e colpisce nei momenti cruciali della verifica politica. Come dimenticare che da qui all’estate gli appuntamenti elettorali rilevanti sono almeno altri due, in Germania e ancora una volta nella Gran Bretagna appena dopo la nazional-populista Brexit?
Sullo sfondo dell’endemicità degli attacchi jihadisti qui nell’Occidente europeo e non solo, resta la scena della guerra vera e solo apparentemente lontana. Dove il jihadismo terrorista (qaedisti e Isis, volta a voltab utili per le nostre stesse operazioni belliche geostrategiche) semina stragi tra gli stessi musulmani, dentro realtà ex statuali come Iraq, Siria e Libia che le nostre guerre hanno contribuito a distruggere. In una terra desolata, disseminata dalla disperazione di milioni di esseri umani che dalla guerra fuggono e al contrario da una scia di sangue di tanti foreign fighters già usciti in libertà dall’Europa e ora di ritorno. Il Medio Oriente che non c’è più, dove il sedicente «Califfo» potrà perdere Raqqa e Mosul, ma ha ormai lanciato il seme nefasto dello «Stato islamico» per riempire il deserto storico degli Stati che abbiamo devastato.