la Repubblica, 25 giugno 2017 (m.p.r.)
15 ottobre1976
AZIENDE, NON SCHEDATE I DIPENDENTI
Da molto tempo si sapeva che industrie pubbliche e private continuavano imperterrite a schedare i loro dipendenti, violando l’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori che vieta ogni indagine «sulle opinioni politiche, religiose e sindacali dei lavoratori ». Si sapeva pure che alcune aziende si erano rivolte a studiosi di diritto del lavoro per conoscere il modo migliore di aggirare quel divieto e avevano, quindi, adottato la tecnica delle indagini su “attitudini” o “propensioni” dei dipendenti: altre aziende, invece, non erano ricorse neppure a questa finzione ed erano rimaste fedeli ai vecchi metodi.
Questi clamorosi episodi non insegnano soltanto che non basta scrivere una norma per eliminare radicate abitudini alla discriminazione. Spingono pure a riflettere sulle ragioni complessive che hanno finora impedito un’effettiva garanzia della libertà di opinione dei lavoratori.
È vero che un disegno di legge su questa materia venne presentato nel 1974 dal ministro dell’Interno, Taviani; ma si trattò di una proposta fatta senza convinzione e che, soprattutto, ignorava l’ampiezza dei problemi, la necessità di una legge dettagliata e rigorosa, le esperienze degli altri paesi.
Ma, soprattutto, l’articolo 8 dello Statuto dei lavoratori è indebolito dal restare un’eccezione in un sistema in cui la regola è quella della libertà indiscriminata di raccogliere informazioni su tutto e su tutti.
5 gennaio 1997
SU ABORTO E BIOETICA SERVE PIÙ LAICITÀ
Aborto, famiglia, morale sessuale, questioni in largo senso riconducibili alla bioetica sono i temi di una predicazione che ha assunto sempre più toni da crociata. Così il cattolico in politica, ovunque nel mondo, deve divenire braccio secolare della Chiesa, destinato ad incontrare, in una sorta di permanente trasversalismo, i suoi simili sparsi in tutto l’arco d’un Parlamento. Nella situazione italiana, questa posizione comincia a produrre effetti che incidono anche sulla politica quotidiana. Vi è già una concorrenza tra partiti che spinge ad un integralismo che mai s’era riscontrato nella storia repubblicana. L’insistenza su valori assoluti, non negoziabili, da parte di uno schieramento che scavalca il confine tra maggioranza e opposizione, incide sull’insieme della dinamica politica.
All’interno dell’Ulivo assistiamo ad una sorta di abbandono da parte delle componenti laiche e di sinistra, con una delega ai cattolici per tutto quanto riguarda i valori. Se questo fosse stato l’ atteggiamento della sinistra negli anni ‘60 e ‘70, se fossero state accettate come oggi le interpretazioni della parte più arretrata del mondo cattolico, non avremmo avuto il divorzio, l’aborto, la riforma del diritto di famiglia. V’erano in quel tempo una cultura forte e la capacità di farne un elemento attivo nella società, sì che furono vinte battaglie cominciate su posizioni minoritarie. La questione cattolica, dunque, merita una discussione che finora è mancata, e che coinvolge anche l’altra questione, quella della sinistra.
Quando (Silvio Berlusconi) è “sceso in campo”, aveva già pronto il suo elettorato, frutto di una trasformazione in cui già si potevano cogliere i tratti del populismo: l’appello diretto ai cittadini che, convocati in piazza, venivano aizzati contro il nemico o ossessivamente chiamati a rispondere “sì” a qualsiasi domanda; la riduzione delle persone a “carne da sondaggio”; le donne neppure oggetto rispettabile, ma pura carne da guardare (le premonitrici ragazze di Drive In) o di cui impadronirsi. Non l’“amore per le donne”, ma le donne come suo personalissimo “logo”. Il tratto possessivo di questa antropologia politica è evidente. Il potere come esercizio di qualsiasi pulsione, con una brama proprietaria che non tollera limiti. La bulimia di volersi impadronire di tutto e lo sbalordimento che lo coglie quando accade che gli si chiede di rispettare qualche regola. Proprietario di tutto. Delle istituzioni. Delle persone che lo circondano.
25 febbraio 2016
LE UNIONI CIVILI
E IL RISCHO “EXIT” CULTURALE
La discussione sulle unioni civili era cominciata sottolineando che finalmente era alle porte una legge da troppo tempo attesa, che avrebbe consentito all’Italia di recuperare un livello di civiltà dal quale si era allontanata e che, in questo modo, l’avrebbe riportata in Europa. Ma, avendo perduto troppi pezzi, la legge approvata finirà con l’essere considerata come una nuova testimonianza di una arretratezza di fondo che, anche quando si fanno sforzi significativi, non si riesce davvero a superare. Che cosa vuol dire Europa in una materia davvero fondamentale, non per una forzatura ideologica, ma perché riguarda i fondamenti stessi del vivere? Vuol dire costruzione di un sistema sempre più diffuso e condiviso di principi e regole, che è stato affidato ad un documento comune, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati.
31 marzo 2017
COME TUTELARE
LA NOSTRA DIGNITÀ DIGITALE