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Claudio Sardo
Strategia della divisione
30 Agosto 2011
Articoli del 2011
Provocando qualche mal di pancia all’azionista di riferimento il giornale del PD sostiene la proposta di sciopero generale. L’Unità, 24 agosto 2011

Il governo continua a fornire un’immagine di approssimazione e incertezza che lascia increduli. La pesantissima manovra correttiva è rimasta in pochi giorni senza padri. Ma al tempo stesso le numerose e contraddittorie ipotesi di modifica, elaborate all’interno della stessa maggioranza, si sono giustapposte senza trovare sintesi. vra si sposti ora sulla previdenza, senza che le ricchezze vere facciano la loro parte. Anzi, il risultato dello scontro politico crescente tra Pdl e Lega sembra essere quello della paralisi. Ormai non sono più l’equità dei sacrifici, l’interesse generale, l’esigenza della crescita la misura del confronto politico nel governo, semmai la (presunta) tutela delle categorie di riferimento e il posizionamento dei vari attori nella partita del dopo-Berlusconi.

L’Italia è malata. La crisi è globale. I sacrifici sono necessari. Chiunque abbia a cuore il destino del Paese, e noi siamo tra questi, non può non sentire un forte senso di responsabilità verso il bene comune. Ma c’è una barriera che il governo sta presidiando per impedire da un lato la convergenza tra le forze politiche e dall’altro la coesione tra le forze rappresentative delle autonomie sociali. In questo frangente è il delitto maggiore, che va persino oltre l’ostinazione di Berlusconi a resistere nel bunker di Palazzo Chigi nonostante il suo esecutivo sia da tempo inerte e abbia perso all’estero la credibilità residua.

Si possono chiamare le forze nazionali a una collaborazione, ma ci sono condizioni minime da rispettare. Non è possibile che le correzioni della manovra, ipotizzate nel governo, non intervengano sui principali fattori di iniquità. Non è possibile che la (presunta) tutela del blocco sociale del centrodestra prevarichi altri corposi interessi, compreso l’interesse nazionale alla crescita. Come si può pensare a un confronto costruttivo con le opposizioni se dai sacrifici restano fuori i grandi patrimoni immobiliari, se la lotta all’evasione non diventa la priorità delle priorità, se le speculazioni finanziarie vengono risparmiate, se ci si preoccupa della “parola data” dallo Stato solo per garantire i capitali scudati?

Non è questione di scambio politico. È un problema gigantesco di giustizia sociale. Se la comunità deve pagare un prezzo alto, è doveroso che si scomodi innanzitutto chi ha di più. E la misura delle ricchezze nel nostro Paese non è certo data dalla classifica delle dichiarazioni Irpef, che riguarda semmai il lavoro dipendente e chi già paga le tasse. Peraltro, qualunque studente di economia sa che in una fase di stagnazione i prelievi sulle ricchezze immobiliari e finanziarie producono effetti assai meno depressivi che non le tasse sul lavoro o sull’Iva. Ma il governo non vuole. O meglio, è talmente paralizzato da dare l’impressione che non possa. La tassa bis sui capitali scudati impedirebbe condoni futuri? Bene, avremmo preso due piccioni con una fava. Il sospetto piuttosto è che il governo si tenga aperta la strada di nuovi condoni.

Invece l’Italia ha bisogno di riforme strutturali. Servono le liberalizzazioni, ma non la svendita delle maggiori aziende pubbliche (come ha giustamente sottolineato Romano Prodi). Serve una riforma della Pubblica amministrazione che non può essere surrogata dall’intervento sui piccoli Comuni. Si può anche discutere di pensioni, rendendo flessibile la soglia di uscita, ma non si può pretendere che il carico della mano Senza queste condizioni, che il governo non sembra in grado di garantire, il compito prevalente delle opposizioni è allora quello di rappresentare e costruire un’alternativa. Non è un ruolo meno patriottico. Il senso di responsabilità nazionale può condurre in alcune circostanze a scelte coraggiose e incomprese da parte del proprio elettorato. È accaduto in altri momenti della storia italiana. Ma ora, a fronte della chiusura di una maggioranza che non riesce più a dominare le spinte centrifughe nel Pdl e nella Lega, è decisivo che trovino voce e rappresentanza quanti vogliono cambiare e lottare per ottenere maggiore equità. Sarebbe assurdo per le opposizioni farsi stritolare nella tenaglia, proprio mentre la destra cavalca l’onda dell’antipolitica (supportata da terzisti alla Montezemolo e persino da pezzi di sinistra), sostenendo che «tutti sono uguali, tutti rubano alla stessa maniera».

Anche lo sciopero generale indetto ieri dalla Cgil è una reazione al quadro ingessato e alla reiterazione di un’ideologia della divisione sociale, che si è spinta fino a modificare per decreto il recente patto sulla contrattazione. Non mancheranno le discussioni, anche nel centrosinistra, sull’opportunità di questa scelta. Ma a rompere il patto sociale è stato il governo. Quelle norme sul lavoro e la contrattazione devono essere stralciate dal decreto e rimesse all’autonomia delle parti. In fondo è questo un principio che dovrebbe appartenere ad altri sindacati non meno che alla Cgil.

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