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Piero Bevilacqua
Spezzare l'anello debole della Lega
25 Maggio 2011
Piero Bevilacqua
Fra le novità che emergono dal primo turno delle elezioni...

Fra le novità che emergono dal primo turno delle elezioni amministrative, l'arretramento della Lega è certo la più sorprendente. Le aspettative di una ulteriore avanzata sono state smentite. Ma questo è il dato di partenza. Come già alcuni osservatori hanno messo in evidenza, la Lega che esce da queste elezioni si trova stretta dentro sempre più evidenti difficoltà. Io direi che è finita in un cul de sac di contraddizioni insostenibili.

Non è solo il dispositivo tattico del «partito di lotta e di governo» che si sta rompendo. Probabilmente si è consumato uno spiazzamento strategico più profondo. Per afferrare la novità che il risultato elettorale comincia a rendere evidente è necessario svolgere una breve considerazione preliminare. E' necessario rammentare la diversità originaria di questa formazione politica. La Lega è nata per coagulare e dar voce a un risentimento collettivo. La recriminazione di ampi ceti e territori rimasti privi, per anni, di rappresentanza e di ascolto nel governo e nel Parlamento. Una sorta di autoidentificazione conseguita per contrapposizione al potere centrale – “Roma ladrona” - e a un Mezzogiorno rappresentato come un corpo parassitario in preda alle scorribande della malavita. Più tardi un nuovo nemico esterno, i clandestini, è stato utilizzato con la stessa funzione. Dunque, e com’è noto, una delle forze propulsive della Lega è stata la sua carica “antipolitica”, la critica e la denigrazione del ceto politico tradizionale, che rappresenta un “comune sentire” degli italiani da almeno un ventennio. Il suo populismo è stato sempre più autentico di quello mediatico berlusconiano, perché legato ai territori, a ceti produttivi istintivamente portati a vedere come impacci le mediazioni e i rituali della politica, i tempi lenti delle istituzioni.

Ma in quest'ultima esperienza di governo i dirigenti nazionali della Lega non solo sono apparsi a loro agio dentro i fasti imperiali di “Roma ladrona”. Non solo hanno tenuto il sacco, in ogni occasione, alle più sordide prove pubbliche e private del presidente del Consiglio, mostrando una subalternità al Capo che ha incrinato non poche sicurezze. Un Bossi che si contorce e inventa fasulle opposizioni interne al governo, destinate a sciogliersi come neve al sole il giorno dopo, appare non più libero, consegnato mani e piedi al magnate di Arcore. Il grande capo della Lega, per riprendere il suo gergo, finisce coll' apparire sempre più, anche ai suoi, come un “contaballe”. Ma occorre anche aggiungere che, in questa discesa negli inferi della più squallida politica, i leader della Lega sono apparsi , volenti o nolenti, compagni di governo di un gruppo politico che varie indagini della magistratura hanno mostrato come una ramificata “cricca” affaristica. Non è tutto. Negli ultimi mesi niente ha potuto più nascondere che la Lega fa parte di un Governo tenuto in piedi dal più sconcio mercato di piazza di parlamentari mai verificatosi nell'Italia repubblicana.

Ora, è vero che Bossi fa appello al residuo fondo di cinismo nell'animo dei suoi elettori, per poter tagliare il “grande traguardo” finale. La traversata del deserto per giungere alla terra promessa del federalismo. Una sorta di fine della storia, il paradiso conclusivo in cui i popoli della Padania si assesteranno finalmente pacificati e felici per i decenni avvenire. Ma raggiungere l'obiettivo finale, per un movimento, non solo fa venir meno le ragioni per continuare a marciare. Il risultato nasconde un altro rischio. Scoprire che il federalismo fiscale non cambia gran che nella vita delle persone e dei territori, e che la storia non è finita, ma continua come prima e forse peggio, può generare cocenti delusioni di massa.

Da un punto di vista sostanziale, il federalismo fiscale è destinato a restare a lungo una scatola vuota, uno slogan sempre più inservibile. I suoi risultati economici e politici si vedranno – se tutto dovesse andare per il meglio – a distanza di anni. Ma per il momento niente potrà impedire che gli amministratori locali della Lega, appaiano come severi esattori di un fisco sempre più esigente. La responsabilità fiscale ha un lato scomodo che molti sindaci e assessori dovranno sperimentare a proprie spese. Questa riforma dello Stato, infatti, non solo non è a costo zero, ma deve fare i conti con la presente situazione economica e con la feroce politica deflattiva della UE. Tonino Perna su questo giornale, è arrivato a ipotizzare, che essa è un modo per “decentrare “ il debito pubblico. Ora, rammentiamo che Tremonti è, per unanime opinione, l'uomo della Lega nel Governo. Ma lo stesso Tremonti è il severo applicatore in Italia di quella politica, che colpisce tutti, ma non meno di altri i ceti produttivi che la Lega pretende di rappresentare. E anche su questo versante le contraddizioni tra il governo e “il popolo della Padania” diventano stridenti.

Di recente si è visto che la presenza al governo non è servita neppure per arginare i flussi migratori ingigantiti ad arte da Maroni. Ma è apparso anche a tanti uomini semplici da quale giganteschi problemi mondiali proviene l'emigrazione che oggi attraversa l'Europa. Che può fare la piccola Lega di fronte a un mondo così apertamente ingovernabile? Al cospetto di tali scenari tramonta anche la minaccia secessionista. Le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità sono state così calorose, in Italia, non per un rinato patriottismo, ma per evidente ostilità nei confronti degli atteggiamenti antiunitari della Lega. Dietro cui sta una ragione evidente: in un mondo spazzato dalle scorribande delle forze finanziarie transnazionali, se già lo Stato–nazione appare insufficiente a difenderci, che cosa potrà mai una strana patria chiamata Padania, di cui non sono visibili né i confini, né tanto meno le dogane? Nel frattempo si è già appannata l'immagine mitologica del Nord immune dai fenomeni criminali, che serviva a marcare la lontananza e la diversità del Sud. E la patria onesta e laboriosa delle origini, anche da questo lato, svapora. La criminalità mafiosa è operosa anche al Nord.

E vero che la Lega, in tante realtà locali è anche buona amministrazione, servizio ai cittadini. Ma il fondo culturale che la sorregge è privo di forza e di progetto, quando non escludente e rancoroso nei confronti degli esterni. L'ancoraggio della Lega al cosiddetto territorio è privo di una cultura del territorio. Basti dare uno sguardo a che cosa è accaduto alla geografia del Nord-Est, sconvolta da una cementificazione caotica che oggi penalizza anche le attività produttive che doveva servire. Paradossalmente, in Italia una cultura territoriale ricca e avanzata esiste da tempo, anche se di rado prende forma di rappresentanza politica. Mi riferisco non solo a quanto hanno prodotto negli ultimi anni i vari movimenti ambientalisti, ma anche a quella potente leva di immaginario che è stata ed è l'elaborazione di Slow Food. Un nuovo racconto culturale che ha riempito i luoghi di cucine, prodotti, agricolture, tradizioni, apertura al mondo. La stessa cura di quell'immenso patrimonio che è il nostro paesaggio, e che imprime al nostro territorio una connotazione unica, da chi è venuta ? Non certo dalla Lega. Anche qui occorre cercare a sinistra, a Italia Nostra, al FAI, alla Rete dei Comitati coordinata da Asor Rosa, al sito eddyburg di Salzano. E ora si potrà guardare anche alla Società dei territorialisti, promossa da Alberto Magnaghi, che raccoglie le numerose intelligenze che in Italia si occupano di territorio.

Dunque, in questa fase, la Lega vede liquefarsi gran parte delle ragioni della sua forza e non può tornare all'opposizione, senza rischiare l'insignificanza. Deve restare attaccata al governo e condividere tutte le abiezioni in cui sarà trascinata in questo finale di partita. E qui occorre rammentare che la “maggioranza del popolo italiano” di cui così tanto, in questi anni, si è vantato Berlusconi, in realtà non era che il frutto di un patto politico tra forze diversissime tenute insieme dall'abilità indubbia ( ma anche dal potere televisivo) del premier. E' noto: si è sfilato prima Casini, poi Fini, tardivamente, dopo aver commesso l'errore capitale di gettare AN nell'inghiottitoio del PdL. Oggi occorre mostrare agli elettori della Lega che le vele di questo partito si sono afflosciate e nessun vento le gonfierà. Anche quest'ultimo anello della catena si sta rompendo, bisogna spezzarlo definitivamente, ed il Grande Gioco di Berlusconi è finito.

Www.amigi.org. Questo articolo è inviato contemporaneamente al manifesto

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